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Metodo di Ricerca ed analisi adottato


Il medoto di ricerca ed analisi adottato è riportato suwww.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com

Vds. post in data 30 dicembre 2009 seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità delloStato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento al medesimo blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

giovedì 30 dicembre 2021

lunedì 20 dicembre 2021

La dominazione europea sull Africa


 Fonte. LIMES, Rivista Italiana di Geopolitica, Ottobre 2021

giovedì 9 dicembre 2021

L'ennesima crisi della Repubblica Democratica swl Congo.


 

47 CRISI DELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO  

                                                                                                                                                               Camille Mukoso S.I.

L'articolo mostra come la guerra nell'est della Repubblica Democratica Congo sia inseparabile dal funzionamento delle strutture socio-politiche congolesi, collegando le conseguenze nefaste delle guerre regionali con il genocidio ruandese del 1994. Mentre si punta il dito contro attori interni e forze esterne in una guerra che probabilmente durerà a lungo, si esamina il valore degli aiuti umanitari e della missione delle Nazioni Unite per la stabilità del Congo (Missione Monusco). Per far uscire il Congo dall'impasse, si propose un dialogo inclusivo per la pace, come quello della Conferanza nazionale sovrana del 1990-92. L'Autore, congolese collabora alla sezione francese dell'Africa della Radio Vaticana.

 Da: CIVILTA' CATTOLICA 3/17 Lug/2021 n° 4105

martedì 30 novembre 2021

L'Atlante delle Guerre e dei conflitti del Mondo




 L'Atlante è Presente nella Biblioteca del CESVAM (www.istitutodelnastroazzurro.org)

Info: www.atlanteguerra.it

venerdì 19 novembre 2021

Speranza per la Nigeria

 

 LA CIVILTA' CATTOLICA    


264 SPERANZA PER LA NIGERIA

Ascoltare la voce dei giovani

                                                                                                     Isidore -Splendour Chukwu S.I.

L'atteggiamento critico dei giovani, che chiedono cambiamenti positivi, costituisce un segno di speranza per la società. Essi saranno i futuri leader. Se parlano coraggiosamente  in vista di un domani migliore, la società ha il dovere di ascoltarli. Così l'attuale congresso nigeriano deve ascoltare le voci dei giovani che gridano #EndSARS, affinché si ponga fine alla brutalità della polizia e a tutte le forme di malgoverno nel Paese. L'autore è dottorando in missiologia alla Pontificia Università Gregoriana.



Da: CIVILTA' CATTOLICA, 6/20 Febb/2021 n° 4095

martedì 9 novembre 2021

TUnisia: situazione politica difficile




 I manifestanti tunisini cercano di marciare sul parlamento che praticamente è stato chiuso. Migliaia di tunisini protestavano contro la presa del potere politico da parte del presidente Kais Saied risalente a circa quattro mesi fa. I manifestanti hanno cercato di marciare sul parlamento, mentre fermati dai cordoni di poliziotti che hanno bloccato l'area.

Fonte Institute for Ecomomics adn peace. New Lettere Future Trend

domenica 31 ottobre 2021

Terrorismo in AFrica. Matrice islamista

I principali gruppi islamistici del terrorismo di matrice religiosa in AFrica sono in Somalia ed il AFrica Orientale con un collegamento con andamento est ovest nei paesi subsahariani fino a raggiungere la Nigeria  ove la concentrazione risulta molto  interessante. Vi è poi un asse verso nord attraverso il Mali ed il Niger  e ci si collega con L'Algeria e la Libia dove, a seguito delle primavere arabe i terrorismo ha quasi smantellato gli Stati di origine post coloniale.


 Traccia di Argomento di tesi di Laurea Master di 1° Livello in Terrorismo ed anti Terrorismo Internazionale www.unicusano.it/master
 


Fonte: Agi.it.

martedì 19 ottobre 2021

Terrorismo in Africa.


 

Le forme di terrorismo più diffuse in AFrica, sia il terrorismo di matrice Islamica che di altra natura e ragione, sono molteplici. 

Il continente africano è stato sempre un territorio importante per il jihadismo. Dal punto di vista storico i primi attentati di Al Qaeda, sul finire del secolo nel 1998 furono compiuti a Nairobi e a Der El Salaam.  Il 7 agosto del 1998 furono portati attacchi terroristici alle  ambasciate degli Stati Uniti in Kenyia e in Tanzania.  I due attacchi avvennero a Nairobi e Dar es Salaam la mattina del 7 agosto 1998, quasi simultaneamente, intorno alle 10:45 ora locale. La data era la ricorrenza dell'arrivo delle truppe americane sul suolo saudita durante la prima guerra del Golfo. In entrambi i casi, le ambasciate furono colpite dalla deflagrazione di ordigni esplosivi.


Da questa data inizia quella stagione terroristica che, a seguito delle cosiddette primavere arabae. ha sconvolto la struttura statuale postcoloniale di molti Paesi africani

traccia di tesi "Master in Terrorismo ed Anti Terrorismo INternazionale (www.unicusano.it/master
 info: didattica.cesvam@istitutonastroazzurro.org

sabato 9 ottobre 2021

Terrorismo. Repubblica Democratica del Congo. Le FDLR

 Il gruppo terrorista Forze Democratiche per la liberazione del Ruanda (Fdlr) è portatore del pensiero dell’Hutu power, un’ideologia razzista e di supremazia dell’etnia hutu appunto. 

Uno dei loro bersagli sono i tutsi, l’etnia giudicata nemica, in un prosieguo di quello che è stato il genocidio in Ruanda. 

Nonostante l’impegno, risalente al 2005, di abbandonare la lotta armata e di lasciare il Congo, le Fdlr hanno conservato una struttura militare e portato avanti la loro battaglia.


Traccia per una tesi per il Master "Terrorrismo ed Anti terrorismo internazionale" (info:didattica.cesvam@istitutonastroazzurro.org)

www.unicusano.it/master

mercoledì 29 settembre 2021

Terrorismo o presunto tale.

 Un rapporto pubblicato da Human Rights Eatch (HRW) il 7 settembre 2021 accusa l'Egitto di decine di esecuzioni extra giudiziali di presunti terroristi e chiede alla comunità internazionale di sospendere la consegna di armi al Cairo e di sanzionare i responsabili. Secondo la ONG tra il 2015 ed il 2020 ufficialmente sono morte nel corso degli scontri a fuco 739 persone, ma le autorità hanno reso pubblico solo un elenco di 141 persone. In moti casi all'epoca dei fatti le vittime erano detenute. " Con il pretesto di combattere il terrorismo il governo del presidente Abdei Fattahal Sisi ha dato via libera per sopprimere tutta l'opposizione compreso il dissidente pacifico. ( Info: Middle Est Eye".

Fonte. L'Internazionale  n. 1426 19 settembre 2023.


New Letter per l'Africa e Medio oriente: 

Africana e Mediooriente sono le new settimanali di Internazionale con le notizie dall'Africa e dal Medio Oriente. Per riceverle: internazionale.it/newsletter

domenica 19 settembre 2021

Un grande oasso indietro per la Gunea

Il 5 settembre 2021 il presidente Alpha Condè è stato deposto con un colpo di stato. Nel paese pochi lo rimpiangono ma è una sconfitta per la democrazia, in quando la classe politica del paese non riesce ad esprimere partiti in misura tale che la alternanza democratica possa conseguirsi. Inoltre ogni eletti tende sempre a trasfromare la democrazia non nel rispetto delle regole ma nell'approfittarsi delle regole per instaurare un proprio potere personale che pi sfocia in situazioni degenerare.

 Internazionale 1426 10 settembre 2021
 

giovedì 9 settembre 2021

Africa occidentale. Imboscate e rapimenti in Mali, Burkina Faso e Nigeria.

Fonte: Internazionale 1424 del 27 agosto 2021

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 Il 10 agosto l'esercito maliano ha annunciato che 15 soldati sono morti in una imboscata attribuita ai miliziani jiadisti vicino a Douentza nella regione centrale del Mopti. Gli assalitori hanno fatto esplodere un autobomba prima di aprire il fuoco contro i militari. 

 Nel Burkina Faso il giorno prima c'era stato un altro attacco jihadista a Gorgadji nel nord del paese che aveva provocato ottanta vittime ( 65 civili e 15 soldati).

 IN Nigeria invece il 24 agosto due persone sono state uccise ed una rapita durante un attacco di un gruppo di uomini armati ad una accademia militare nello stato di Kaduna, nel centro nord del paese. . Nella zona vi sono stati decine di attacchi e rapimenti di massa negli ultimi mesi. Il 22 agosto quindic liceali che erano stati rapiti all'inizio di luglio sono stati linerati dopo il pagamento di un riscatto. Finora 56 del 121 liceali rapiti da alcuni uomini armati nel dormitorio di un liceo cristiano a Chikun sono stati liberati o sono riuscit a scappare. ( Fonte il quotidiano Vanguard)

(terrorismo ed antiterrorismo)


 

martedì 31 agosto 2021

Il prezzo che l'AFrica paga per il cambiamento climatico

 Il continente africano ha contribuito poco al cambiamento climatico, ma ora ne subisce le conseguenze maggiori. Per questo molti paesi in via di sviluppo chiedono risarcimenti.

Articolo di Sally Hayden. The Irisch Times, Irlanda ne l'Internazionale n. 1424 17 agosto - 2 settembre 2021, del 27 agosto 2021

 L'Internazionale è presente nella Emeroteca del CESVAM (www.istitudelnastroazzurro.org)

venerdì 20 agosto 2021

Le 10 mappe che spiegano il mondo

Le 10 mappe che spiegano il mondo

Tim Marschall ha preparato questo volume che The evening Star lo ha definito uno dei più bei libri di geopolitica, con prefazione di Sir John Scarlett e traduzione di Roberto Merlini, ha i tipi di Garzanti, Miano  2015. Il volume non dedica un capitolo all' Africa, a pag. 131 che da un quadro geopolitico del continente aggiornato.




 Il Volume è presente nella Biblioteca/Emeroteca del CESVAM  ed informazioni ulteriori si possono trovare su www.il libraio.It


 

lunedì 9 agosto 2021

La Crisi della Repubblica Denocratica del Congo.

 

Da Inserire nel Valore Militare. 

L’Articolo mostra come la guerra nell’Est della Repubblica Democratica del Congo sia inseparabile del funzionamento delle strutture socio-politiche congolesi, collegando le conseguenze nefaste delle guerre regionali con il genocidio ruandese del 1994. Mentre si punta il dito contro attori interni e forze esterne in una guerra che probabilmente durerà a lungo, si esamina il valore degli aiuti umanitari e della Missione delle Nazioni Unite per la stabilità del Congo (missione Monsour). Per far uscire il Congo dall’impasse, si propone un dialogo inclusivo per la pace, come quello della Conferenza nazionale sovrana del 1990-92. L?autore congolese collabora alla sezione francese dell’Africa della Radio Vaticana.

 

Articolo di Camillo MUkoso S.I. in La Civiiltà Cattolica,   n. 4015 3/17 luglio 2021, anno 172 pag. 47

venerdì 30 luglio 2021

La Parola Genocidio

 

Genocidio è un termine che è stato coniato nel 1944 e che oggi è usato per eventi precedenti alla sua coniazione, distogliendo la prospettiva reale degli eventi stessi.

Nel volume Axis Rule in Occupied Europe, scritto da Raphael Lemkin, avvocato di origine israelita, la parola Genocidio è stata usata per indicare lo sterminio degli ebrei da parte dei nazisti tedeschi Genocidio è la combinazione della parola tratta dal greco antico “genos” con la parola tratta dal latino “cidio”. “Genos” fu interpretato da Lemkin come “razza” “tribù” mentre “cidio”, derivato dal verbo “caedere”, tradotto in “massacro”. Due parole di due lingue diverse, di due culture diverse, coniate e combinate tra loro per indicare un evento che mai si era visto prima nella storia della umanità come il sistematico sterminio di un popolo su scala industriale, scientifica, con il consenso di tutto un altro popolo e non solo, ma anche di parte di altri popoli, come fu l’azione dei nazisti tedeschi verso gli ebrei dal 1933 al 1945.

 L’uso di questa parola dovrebbe essere limitato al solo sterminio degli ebrei in Germania nel periodo considerato, dalle le peculiarità che esso mostra. Invece è diventato di uso comune in tutte le lingue per indicare altri eventi che poco hanno a che fare con lo sterminio degli ebrei, anche se vi sono alcuni elementi in comune. Abbiamo quindi il genocidio dei pellirossa negli Stati Uniti, il genocidio degli Armeni (195 -1916), il genocidio dei bosniaci (Anni ’90), il genocidio in Ruanda (anni ’90).

Applicare al passato criteri e mentalità di oggi è diventata una prassi comune. L’uso di termini impropri agevola questo che si può chiamare “anacronismo”. IL problema sorge quando degli anacronismi se ne fa un uso strategico per legittimare obiettivi di potenza. Niente è più pericoloso di un anacronismo abbracciato con entusiasmo dal popolo.[1]



[1] Nota  elabarota sull’articolo “Manuale di sopravvivenza agli anacronismi”, di Jacob L. Shapiro, in Limes, Rivista Italiana di Geopolitica, Agosto 2020

martedì 20 luglio 2021

Rivista QUADERNI n. 1 del 2021 Gennaio - Marzo 2021

indo: segreteriagenerale@istitutonastroazzurro.org

 

sabato 10 luglio 2021

Tunisia. Propsettive inquietanti

 A dieci anni da quella rivoluzione che fece cadere l’oltre ventennale regime di Zine El-Abidine Ben Ali, l’ombra di un ritorno al recente passato incombe di nuovo sulla Tunisia mettendo a dura prova la sua sempre più fragile democrazia. Il congelamento delle attività parlamentari e la sospensione del governo messi in atto dal Presidente Kais Saied domenica 25 luglio hanno aperto le porte ad una crisi politica e istituzionale senza precedenti, che pesa su un contesto già profondamente complesso dal punto di vista economico e sociale. A trovarsi tra l’incudine e il martello sono in primis le istituzioni democratiche che si trovano ora svuotate dei propri poteriDa tempo i tunisini sono chiamati a scegliere tra efficienza delle istituzioni e fedeltà ai valori democratici che hanno guidato le Primavere Arabe. La rivoluzione del 2011 continua ad essere per tutti un fondamentale riferimento storico e politico al quale si riconosce il merito di aver ricostruito il rapporto tra Stato e popolazione, ma le fratture socio-economiche che continuano ad attraversare il Paese hanno svuotato le promesse degli ultimi dieci anni. In questo senso, le manifestazioni che domenica hanno chiesto a gran voce l’esautorazione del Parlamento sono il riflesso dei fallimenti della classe dirigente, non solo dell’ultima legislatura, ma dell’intera struttura venuta a crearsi dopo la rivoluzione. 

 

A prescindere, tuttavia, dall’evidente affanno che ha caratterizzato la politica tunisina e che motiva oggi i sostenitori del Presidente, l’iniziativa presidenziale di domenica si presenta come l’ultimo passaggio di un percorso ben preciso, quello di Saied, costruito per stravolgere il sistema politico e destinato ad imprimere una svolta radicale alla transizione tunisina. L’ascesa di Saied, l’homo novus della politica tunisina che è riuscito a raccogliere consensi trasversali alle presidenziali del 2019, è infatti fondata sul malcontento generale nei confronti delle istituzioni e sulla promessa di un riassetto strutturale della macchina statale. La retorica dei suoi discorsi si è sempre sviluppata attorno al tradimento della rivoluzione da parte delle istituzioni, accusate di aver abbandonato il popolo e di aver permesso che la corruzione dilagasse: l’obiettivo ripetuto di Saied è stato quindi sin dall’inizio quello di invertire le gerarchie di potere per restituire la gestione del Paese alla rivoluzione “tradita” e al popolo, un progetto indebolito dal contesto che lo stesso perseguimento di questo obiettivo ha generato. Il voto che lo ha portato ai vertici della Repubblica gli ha infatti attribuito un ruolo di tutela di quelle stesse istituzioni che desidera ora neutralizzare o quanto meno riformare in profondità, creando così una spaccatura interna difficile da risanare. La tensione istituzionale ha quindi definito negli ultimi due anni la direzione politica tunisina che si è trovata, alla vigilia del cosiddetto colpo di Stato, divisa tra due fronti: da una parte la Presidenza del Parlamento e del governo rappresentate dall’islamista Rachid Ghannouchi e dall’outsider Hichem Mechichi, divenuti ideologicamente l’ultimo bastione a protezione delle istituzioni tunisine (e per certi versi identificati e percepiti nella retorica presidenziale come la vecchia politica da rinnovare); dall’altra Kais Saied, che ha tentato a più riprese di emanciparsi dalle aule parlamentari attraverso un processo di presidenzializzazione della politica tunisina. L’esasperazione politica generale di cui Saied si è fatto portavoce ha trasformato un conflitto sociale in uno scontro tutto interno alle istituzioni, portando al punto di rottura una situazione politica già strutturalmente fragile e sancendo la fine del compromesso politico che ha dominato la politica post-rivoluzionaria della Tunisia.

 

I segni premonitori di quello che si è concretizzato il 25 luglio non sono comunque mancati da quando Saied è entrato in carica e, in maniera specifica, negli ultimi mesi. Dopo le elezioni del 2019, durante le difficili consultazioni per la formazione del governo e una fase di continui rimpasti ministeriali, le ingerenze del Presidente della Repubblica sono state continue, tutte finalizzate alla creazione di un governo più vicino a Cartagine che al Bardo. Un caso esemplare dell’intromissione nei lavori dell’esecutivo e del Parlamento è stata l’imposizione di un Capo di Governo, lo stesso Mechichi, direttamente scelto dal Presidente dopo le dimissioni nel luglio 2020 di Elyes Fakhfakh. Ma a suscitare maggiori preoccupazioni tra le fila dei detrattori di Saied sono state le vicende che, tra aprile e maggio di quest’anno, hanno visto il Presidente calpestare, o tentare di far ciò,  le prerogative delle istituzioni democratiche. Un episodio significativo è stato quello che nell’aprile scorso, in occasione del 65° anniversario delle Forze Armate, ha visto il Presidente ritornare in maniera assertiva sul tema cruciale del controllo delle forze di polizia, che la Costituzione tunisina attribuisce al Capo di Governo: Saied sostenne in quell’occasione che il comando supremo è in mano alla Presidenza della Repubblica, un’affermazione che ha rievocato pericolosamente lo stato di polizia pre-rivoluzionario. Ad alzare però il termometro della preoccupazione si è aggiunta, nel maggio scorso, la scoperta da parte del giornale online Middle East Eye di un documento indirizzato al Capo dello Staff di Saied in cui si invitava il Presidente a sciogliere il Parlamento e richiedere i pieni poteri. 

 

Benché le premesse giustifichino il timore che le manifestazioni di piazza a sostegno della manovra di Saied siano espressione di una mera nostalgia della dittatura in vigore prima della rivoluzione, è importante anche ricordare che Saied, dal momento della sua elezione, ha dato prova di grandi capacità strategiche che gli hanno permesso di alimentare un preciso progetto politico gestendo e mantenendo sempre il sostegno popolare. Kais Saied ha saputo infatti sfruttare il preciso momento in cui si trova la Tunisia e le fratture interne al Paese per catalizzare il consenso, presentandosi – almeno ad una parte della popolazione – come il deus ex machina lontano dagli intrighi politici che condannano l’iniziativa riformista in una fase di profonda crisi. La crescente sfiducia nei confronti delle forze politiche al potere – in primis Ennahda, ormai percepito da una parte della popolazione come il partito personale di Ghannouchi – ha confermato agli occhi dell’elettorato la legittimità delle dure critiche alle istituzioni da parte di Saied. A ciò si somma inoltre il bilancio impietoso un decennio dopo la rivoluzione del 2011, che rivela una politica stagnante e fortemente corrotta. In questo quadro, la nuova ondata di Covid-19 a partire da giugno che ha messo in ginocchio il sistema sanitario tunisino e colpito il settore turistico, sul quale si era scommesso per la ripresa economica del Paese, combinata alla confusione creatasi attorno alla gestione dei vaccini (ad oggi solo un tunisino su sette è vaccinato) hanno rappresentato l’ultimo tassello che ha permesso a Saied di destituire, prima ideologicamente che concretamente, le istituzioni e le forze politiche. In questo senso, la manovra condotta domenica da Saied è da intendersi come il prodotto delle sue chiare e note ambizioni cesariste, nel tentativo di, appunto, invertire la gerarchia di potere e porsi automaticamente al vertice con il sostegno popolare.

 

La legittimità costituzionale o meno della manovra del Presidente Saied, che ha invocato l’articolo 80 della Costituzione come ha fatto ritualmente nel corso degli ultimi due anni, è ad oggi ancora ampliamente dibattuta. L’articolo 80 sancisce infatti che di fronte ad un’emergenza che minacci le istituzioni o la sicurezza del Paese, il Presidente della Repubblica può «adottare le misure rese necessarie dalla situazione eccezionale, sentiti il Capo di Governo e il Presidente dell’Assemblea dei Rappresentanti del Popolo e dopo aver informato il Presidente della Corte Costituzionale». Su questo articolo molti costituzionalisti tunisini stanno discutendo in questi giorni per stabilire la legittimità della manovra di Saied: da una parte, le critiche si articolano attorno ad una sostanziale mancanza delle condizioni necessarie per un’azione di questo genere, sottolineando come la crisi sanitaria e politica non possano essere considerate come minacce dirette alle istituzioni o alla sicurezza dello stato; dall’altra, l’iniziativa del Presidente viene giustificata, anche se con molta prudenza, come l’unica exit strategy percorribile per sbloccare la crisi profonda in cui versa il Paese e in virtù della quale è necessario un intervento deciso e mirato, un’azione impossibile, come è ormai chiaro, da parte del governo. Sul piano prettamente formale, pertanto, definire la manovra di Saied come un colpo di Stato risulta ancora prematuro.

 

Al di là però delle controversie riguardo alla validità dell’applicazione dell’articolo 80, a suscitare le maggiori preoccupazioni riguardo agli obiettivi dietro gli eventi del 25 luglio è stato il preciso calcolo con cui il Presidente ha sfruttato le zone d’ombra della Costituzione e i vuoti istituzionali che lui stesso ha contribuito a creare. L’organo che in questo momento sarebbe incaricato di verificare la legittimità dell’azione del Capo dello Stato sarebbe la Corte Costituzionale o, in sua assenza, il Presidente del Parlamento insieme ad almeno due terzi dei parlamentari. Ad oggi, tuttavia, la Corte, che avrebbe dovuto essere creata al massimo un anno dopo le elezioni legislative del 2014, non è ancora stata formata e i lavori per la sua costituzione sono stati rallentati e poi bloccati dallo stesso Saied nel 2021, mentre le attività del Parlamento sono sospese per (almeno) trenta giorni proprio a causa dell’iniziativa di Kais Saied. In questa fase fortemente critica mancano, quindi, i due dispositivi che avrebbero il potere di verificare le circostanze per la validità dell’applicazione dell’art.80 e giustificare la sospensione delle attività parlamentari e del governo, creando un corto circuito istituzionale e politico che lascia sicuramente un buon margine di manovra al Presidente Saied per muoversi in uno spazio ancora sconosciuto, permettendogli, in ultima battuta, di creare una dittatura cesarista in pieno stile bourgibiano. A dieci anni quindi dalla rivoluzione del 2011 che ha riconsegnato la democrazia in mano ai cittadini tunisini, i limiti strutturali e contingenti della transizione democratica sono venuti a galla, rischiando non solo di segnare una battuta d’arresto del tanto acclamato laboratorio democratico arabo, ma anche un suo sgretolamento.

 

Definire, ad oggi, quale sia la traiettoria futura della democrazia tunisina è ancora difficile. L’annuncio fatto lunedì 26 luglio dell’avvio di un’inchiesta su Ennahda e altri due partiti per finanziamenti esteri (una procedura formalmente avviata a metà luglio) solleva i dubbi riguardo all’indipendenza della magistratura in un momento così delicato per le istituzioni e rievoca lo spettro di un’inversione autoritaria, una situazione che quindi contribuirebbe ad alimentare le preoccupazioni generali tra i detrattori del Presidente. In questa fase estremamente delicata, tuttavia, è possibile delineare quelli che potrebbe essere i potenziali scenari futuri.

 

Nel primo caso, piuttosto improbabile, Kais Saied riuscirebbe nell’impresa titanica di risolvere la crisi sociale, economica e politica in cui versa la Tunisia o, almeno, gettare le basi di una ripresa concreta in questa fase emergenziale per poi restaurare le istituzioni e restituir loro i loro poteri costituzionalmente definiti. Nel secondo scenario, quello più temuto, l’iniziativa presidenziale di domenica rappresenterebbe la fine della seconda Repubblica tunisina e l’inizio di una dittatura cesarista: le istituzioni verrebbero così svuotate del proprio potere e il Parlamento diventerebbe un mero organo consultivo del Presidente. Tuttavia, anche qualora la democrazia tunisina resistesse a questa difficile prova (uscendone comunque claudicante) e Kais Saied ricostruisse le istituzioni che ha a lungo criticato, la manovra presidenziale e il sostegno che ha ottenuto, almeno sino ad ora, creerebbero un precedente a conferma dell’inefficienza degli organi democratici creati dalla rivoluzione, compromettendo irrimediabilmente la loro credibilità. Uno scenario che, in ultima battuta, sancirebbe la fine dell’eccezione democratica tunisina., quasi fossero condannate dallo stesso sistema che le ha elette per l’incapacità dimostrata nel far fronte alle crescenti problematiche del Paese. 

Fonte www. cesi.it

domenica 30 maggio 2021

In Africa la democrazia resta un sogno lontano

 UN quadro generale abbastanza sconfortamte per la democrazia in Africa. In quasi tutti i paesi questo sistema politico è praticamente ignorato dei 53 Paesi dello continente è molto difficile  trovare uno che realmente sia un paese democratico. Invece è facilissimo trovare paesi a regime dittatoriale come ad esempio l'Egitto che avrebbe tutte le caratteristiche di essere un paese democratico. Il caso Regeni ne è una prova evidente insieme all'altro caso dello studente di Bologna Zaki.La ragione di tutto questa potrebbe essere trovata nell'uso della forza che le classi dirigneti fanno per imporre la propria volontà. Conflitti, guerre e contrasti violenti allontanano sempre più la democrazia. Da ultimo l'Etipoia con il caso Tigrai è anch'essa entrata in un conflitto interno che limita la democrazia. La presenza di attori esterni molto attivi come la Cina e gli Stati Uniti non fa migliorare la situazione. InSomalia prosegue la "guerra segreta" degli Stato Uniti che sono nel 2020 hanno condotto 100 attacchi con droni nella Regione del Basso Shabelle contro gli integralisti islamici


 FOnte: Amnesty International

martedì 18 maggio 2021

Rivista QUADERNO N.4 del 2020, Ottobre - Dicembre 2020, 18° della Serie

 


Dall’Editoriale del Presidente Nazionale:

Questo numero speciale dei Quaderni è dedicato al Valore Militare nella Provincia di Arezzo, un Valore presente in tutti i momenti salienti della nostra storia patria, dal Risorgimento alla Grande Guerra, dal 2° Conflitto Mondiale alla Resistenza, come testimoniato dalle numerose decorazioni collettive e individuali nel corso degli anni. Un territorio che ha subito in particolare le terribili rappresaglie naziste dopo l’8 settembre 1943 di Bucine e Civitella Val di Chiana, le cui vittime sono state ricordate nel corso della Giornata del Decorato 2017 che l’Istituto ha celebrato ad Arezzo. Torneremo a fine ottobre

nella Città toscana, per celebrare il XXXI Congresso Nazionale; sarà l’occasione per rendere un doveroso omaggio al Gonfalone che si fregia della massina decorazione al Valor Militare e ricordare, nel Centenario della traslazione del Milite Ignoto, il passaggio del convoglio che ne portò la salma da Aquileia a Roma.

La pubblicazione é frutto della collaborazione tra la Federazione di Arezzo e il CeSVaM e costituisce inoltre un importante materiale di studio per il Master di 1° livello in Storia Militare Contemporanea 1796-1969 che viene tenuto all’Università Telematica Nicolò Cusano in partnership con il nostro Istituto.

E’ la prima del suo genere e mi auguro possa essere un esempio per le altre Federazioni a seguirne l’esempio. Vengono infine riportate le copertine dei primi 18 numeri dei Quaderni e dei 12 volumi del Dizionario Minimo della Grande Guerra.

 Il n. 4 del 2020, 18° della Rivista,  riporta a complemento del contributo della Federazione di Arezzo, Le Schede dei Volumi del Dizionario Minimo della Grande Guerra e le consuete rubriche della Rivista.

 

Info: quaderni.cesvam@istitutonastroazzurro.org

Questo numero della Rivista può essere chiesto direttamente alla Federazione di Arezzo ( federazione.arezzo@istitutonastroazzurro.org)




domenica 9 maggio 2021

I danni teologici e antropologici del Degrado ambientale. Una Riflessione sull'Africa.

 Il degrado ambientale, in particolare l'estinzione della specie arreca un impoverimento dell'immaginazione teologica e morale. Per secoli gli esseri umani hanno appreso dal mondo naturale profonde lezioni teologiche e pratiche. Osservando la natura ed il comportamento dei fenomeni naturali sono stati in grado di scoprire verità nascoste riguardo a se stessi e a Dio. Per questo la conservazione della natura deve essere promossa non soltanto ai fini della sostenibilità economica ma anche per la sua importanza teologica ed antropologica. 

L'autore è professore di Liturgia all'Hekima College di Nairobi (Kenya)


Wilfred Sumani, S.I.,  I Danni teologici e Antropologici del Degrado ambientale, in La Civiltà Cattolica,  n. 41010 del 1/ 15 maggio 2021 Quindicinale, Anno 172,  pag. 255


 La Rivista La Civiltà Cattolica è disponibile su carta presso la Emeroteca del CESVAM  Roma, Piazza Galeno 1.          

venerdì 30 aprile 2021

Fonti di carattere Generale

  Si indica come fonte accreditata nella Newsletter che la Rivista settimanale L'Internazionale mette a disposizione. Riporta nello specifico le notizie dell'Africa. In pratica solo la estensione della Pagina Africa e Medio oriente che detta Rivista riporta nei suoi numeri.

 L'indirizzo per .'Africa è (intern.az/1CHI).

Per ricerche e stesura di tesi questa fonte appare quanto mai idonea ed esaustiva. 

 la Rivista Internazionale è disponibile su carta presso la Emeroteca del CESVAM - Centro Studi sul Valore Militare, dell'Istituto del Nastro Azzurro (www.istitutodelnastroazzurro.org)  Roma Piazza Galeno 1


lunedì 19 aprile 2021

Perchè il bilancio delle vittime per Covi è stato relativamente contenuto in AFrica ed in Asia?

La Tabella si pone la domanda e cerca di dare risposte. Il vivere all'aria aperta certamente ha la sua influenza, come il fatto che le popolazioni dell'AFrica e dell'Asia abbiamo un sistema personale immunitario migliore. La tematica è interessante  e merita di essere approfondita per adottare poi le ulteriori difese dalle future epidemie.


 FOnte: L'internazionale 1400, 12 marzo 2021
 

venerdì 9 aprile 2021

La Francia e la sua influenza in Africa


 Fonte: LIMES Rivista di Geopolitica Info: www.ilmioabbonamento.it

martedì 30 marzo 2021

CIAD: prblemi per le elezioni generali

 Il principale candidato dell'opposizione alle presidenziali dell'11 aprile, Saleh Kebzabo si è ritirato il 1 marzo Accusa il capo dello stato Idriss DEby , candidato ad un sesto mandato, di usare la forza per intimidire gli avversari e denuncia la "militarizzazione della politica". Il giorno prima almeno tre persone erano morte a N'Djamena nel corso di una sparatoria scoppiata quando la polizia era andata ad arrestare un altro candidato all'opposizione Yaya Dillo. Le vittime sono la madre di Dillo e due soldati. Dillo è accusato di aver diffamato la moglie di Deby.

 Ancora una volta in un paese africano si dimostra che il sistema delle elezioni periodiche su base democratica non è un modello applicabile in Africa ed occorre trovare soluzioni che diano stabilità nel rispetto dei dirtti umani e politici.

venerdì 19 marzo 2021

Mali . Lineamenti demografici

 


Caratteri demografici

 

Nel Mali, punto d'incontro tra la civiltà arabo-berbera e quella sudanese, si possono incontrare oltre venti diverse etnie. Tra i principali gruppi etnici di ceppo sudanese, che rappresentano circa il 95% dei maliani e che vivono nelle regioni centro-meridionali del Paese, i maggiori sono i Bambara, che da soli formano un terzo dell'intera popolazione, i Fuòbe, i Sarakollè, i Senufo, i Mossin ed i Songhai.

Le regioni settenrionali sono abitate dalla minoranza arabo-berbera che è composta in netta prevalenza dai nomadi.

Mentre il francese è la lingua ufficiale dello Stato, ed ogni gruppo etnico adopera un proprio idioma, la lingua locale diffusa è il mande, che è parlato da oltre i due terzi della popolazione.

Nettamente prevalente è la religione musulmana, professata da oltre il 75% dei musulmani. La restante parte della popolazione segue culti animisti, mentre particolarmente esigua è la comunità cattolica (1%).

 

Il Mali secondo una stima del 1973, contava 5.376.000 abitanti, con una densità di 4,5 ab. per kmq e con un tasso d'incemento demografico del 2,3% annuo.

La quasi totalità della popolazione abita le regioni centro-meridionali del Paese ed è concentrata, in particolar modo, nella zona del Niger e dei suoi affluenti.

L'unico centro urbano di rilievo è la capitale Bamako, che ha superato i 350.000 abitanti. Le altre principali città del Mali sono:

 

Mopti      58.000 ab.                                           Sikasso            41.000 ab.

Ségou      53.000 ab.                                           Koulikoro       24.000 ab.

Kayes      52.000 ab.                                           San                  22.000 ab.

mercoledì 10 marzo 2021

Africa Settentrionale. I Corridoi emigratori


 Fonte LIMES Rivista di geopolitica. Fonte www.il mioabbonamento.it

I Corridoi qui indicati hanno tutti un andamento sud nord e possono essere divisi in due fasci: quello orientale e quello occidentale. I Terminali del fascio occidentale sono in Libia e Algeria, mentre per quello del fascio orientale sono le coste dell' Egitto.

domenica 28 febbraio 2021

Congo: una situazione disperata che dura da decenni


 Internazionale n. 1309 anno 28 26 febbraio/4 marzo 2021 dedica i seguenti articoli alla situazione in Congo, all'indomani della morte dell'ambasciatore Italiano Luca Attanasio  del carabiniere di scorta, e dell'autusta.

 Una situazione che va avanti da decenni in cui interessi, alleanze e tradimenti sono al centro di questi conflitti ventennali. Una nota è dedicata al Bussines dei sequestri, La situazione nell'est del Paese nel Nord Kivu è una questione mai risolta.

La domanda che ci si pone è come il rappresentante dell'Italia si sia trovato in una situazione così pericolosa. 

 La rivista è presso la Emeroteca del CESVAM

sabato 20 febbraio 2021

Mali LIneamenti di Geografia Fisica

 



 

La Repubblica del Mali, situata al centro dell'Africa Ocidentale, ha una estensione di 1.204.021 kmq. Il paese, privo di sbocchi sul mare, confina a N.E. Con l'Algeria, ad E. con il Niger, a S.E. con l'Alto Volta, a S. con la Costa d'Avorio e la Guinea, ad O. con il Senegal ed a N.O. con la Mauritania.

 

Il Mali, che per quasi il 90% del suo territorio è costituito da bassipiani che non superano i 300 m. di altitudine, si può dividere in due vastissime regioni naturali:

- la regione sahariana che, estendendosi a N. della grande ansa del fiume Niger, è formata da ampie distese sabbiose desertiche tra le quali si elevano a N.E., in prossimità del confine algerino, il massiccio montagnoso dell'Adrar Ifora che non supera i 700 m. di altitudine.

- la regione meridionale, o saheliana, costituita da una vasta zona paludosa, compresa tra il fiume Niger ed il Bani, e che, come il resto del Paese, è formata da ampi tavolati, che vanno accentuandosi soltanto ad occidente di Bamako vero il confine guineano.

 La rete idrica maliana è basata sul fiume Niger, che attraversa gran parte del territorio nazionale, e sulla rete dei suoi affluenti, tra i quali il maggiore è il Bani. All'estremo occidente il paese è attraversato dal fiume Senegal. A settembre della zona paludosa sono presenti inoltre numerose formazioni lacustri.

 

Il clima, nelle regioni settentrionali battute dal vento secco dell'harmattan, si presenta di tipo prettamente sahariano, con temperature molto elevate, forti escursioni termiche giornaliere e precipitazioni quasi inesistenti.

Le regioni meridionali sono caratterizzate da temperature molto elevate e da più rilevanti precipitazioni atmosferiche che superano i 1.100 mm annui nell'estremo nord.

mercoledì 10 febbraio 2021

Rivista QUADERNI n. 2 del 2020 Luglio-Settembre 2020

 



Per la parte dedicata alla Storia, iniziano con questo numero le pubblicazioni dedicate al centenario del Milite Ignoto che ricorre il prossimo anno. L’’Istituto è particolarmente impegnato in questa data anniversaria, e la Rivista non può che assecondare questa scelta. Prosegue, sull’abbrivio della Giornata del Decorato del 2021, che non si è potuta celebrare per via della epidemia da Covid19, che non può fermare l’attività posta in essere a corredo scientifico di detta giornata, le note riguardanti la campagna di Sicilia del luglio 1943 e degli avvenimenti riguardanti la campagna d’Italia del 1944. Contributi di Massimo Coltrinari e Luigi Marsibilio, nell’ambito delle ricerche avviate a seguito dei Progetti in corso riguardanti le tematiche della Guerra di Liberazione, e una di Giorgio Clemente che affronta particolari situazioni di nostri militari durante la seconda guerra mondiale e una nota di Consalvo Dolce riguardante l’intervento dell’impegno degli Stati Uniti nel Vietnam.

 

Per la parte geografica apre Valentina Trogu trattando della sociologia della deterrenza, mentre in geopolitica delle prossime sfide, una nota sul covid e come viene affrontato, che fa riflettere sulla leaderschip degli Stati Uniti nel mondo occidentale e Luca Bordini che tratta della digitalizzazione nelle FF.AA. Infine Stefano Chiarle tratta dell’Ucraina e del suo cammino verso la democrazia.

 

Nelle rubriche, quelle relative al CESVAM si riportano alcune peculiari attività del Centro, con la evidenziazione delle realizzazioni editoriali mentre gli Indici della rivista QUADERNI ON LINE si riferiscono al III trimestre del 2020. Si può finalmente dire che un costante aggiornamento delle NOTIZIE CESVAM e degli eventi a cui si partecipa come CESVAM è possibile trovarlo sulla home page della piattaforma www.cesvam.org alla rubrica “Eventi” ed alla rubrica “Notizia CESVAM”, mentre è in progetto la pubblicazione su questa rivista dei contenuti dei vari comparti della piattaforma

La rubrica di chiusura riporta la iconografia brigate di fanteria della prima guerra mondiale, come tradizione di questa rivista.

Da ultimo, l’editoriale del Presidente Nazionale ed il Post editoriale del Direttore del Periodico sono intonati al tema della celebrazione del Milite Ignoto, nel solco delle scelte sopra dette, e dei contenuti evidenziati nella pubblicazione consorella. (massimo coltrinari)

 

In I di Copertina:  Lapide Commemorativa del Bollettino della Vittoria del 4 Novembre 1918

 info:quaderni.cesvam@istitutonastroazzurro.org

sabato 30 gennaio 2021

Libia: caratteri demografici

 

 

La popolazione della Libia è pr la maggior parte araba o profondamente arabizzata, sebbene sussistano ancor oggi piccoli nuclei berberi.

Omogenea e compatta risulta essere la popolazione sia dal punto di vista religioso che linguistico, esseno la quasi totalità dei libici di religione musulmana di rito sunnita e di lingua araba nelle sue varie forme regionali.

 

Nonostante il suo alto tasso d'incremento demografico (3,0%) e le forti correnti immigratorie provenienti soprattutto dai vicini Stati arabi, la Libia è, con i suoi abitanti, uno dei Paesi africani meno densamente popolati (1,3 abitanti per kmq).

La stragrande maggioranza dei libci è concentrata lungo la costa tripolitana e sul suo altopiano, e lungo il litorale cirenaico.

Oltre ai tradizionali villaggi delle oasi dell'entroterra cirenaico, del Fezzan e del Deserto Libico, si stanno recentemente sviluppando nella Sirte, conseguentemente allo sfruttamento petrolifero della regione, nuovi nuclei abitati.

Le due uniche città libiche di una certa importanza sono, la capitale Tripoli che ha da poco raggiunto i 300.000 abitanti, e Bengasi (190.000 ab.), mentre la città di Misurata e di El-Beida superano di poco i 50.000. Tra i centri che contano più di 10.000 abitanti vanno menzionati: Derna, Tobruch, Agedabia, Homs, Zuara, El-Marj e Iefren.

mercoledì 20 gennaio 2021

LIbia: Lineamenti di geografia fisica

La Libia, dalla caratteristica forma quadrangolare, si estende su di una superficie di 1.759.540 kmq, ed è costituita per oltre l'85% da zone desertiche.

Il Paese, che si affaccia a N. per circa 2.000 km sul Mar Mediterraneo, confina ad O. con la Tunisia e l'Algeria, a S. con il Niger ed il Ciad, a S.E. con il Sudan e ad oriente con l'Egitto.

 

La Tripolitania, la Cirenaica, il Fezzan ed il Deserto Libico sono le quattro grandi regioni naturali in cui si articola la Libia:

- la Tripolitania, che è costituita dalla Tripolitania propriamente deta ed a oriente dalla città più inospitale Sirtica, comprende la parte nord-occidentale dello Stato, estendendosi dalla bassa e sabbiosa costa mediterranea all'altopiano del Nefusa, la cui altitudine varia tra gli 800 ed i 900 metri.

- la Cirenaica, situata nella parte nord-orientale del paese, è caratterizzato dall'omonimo altopiano che si spinge fino al mare con alte e ripide coste degradando ad oriente verso il confine egiziano nella regione della Marmarica.

- il Fezzan, che comprende le vaste estensioni desertiche sud-occidentali, alterna, tra le sperse oasi, formazioni sabbiose ad aridi altipiani rocciosi.

- il Deserto Libico, praticamente privo di vegetazione, quasi del tutto spopolato, ad eccezione dell'oasi di Cufra con il piccolo nucleo abitato di El-Giof, si estende ad oriente del Fezzan ed a sud della Cirenaica penetrando in profondità nell'Egitto occidentale.

 

La Libia è priva di corsi d'acqua a carattere permanente, essendo i pochi esistenti di tipo stagionale (wadi o uadi).

Il clima libico, che risente dovunque dell'influenza sahariana, è caratterizzato da bassissime precipitazioni e da una rilevante escursione termica, e la temperatura, che si aggira sui 20° di media nelle regioni litoranee, raggiunge i 40/50° verso l'interno.

Gran parte del Paese è soggetto al ghibli, caratteristico vento caldo secco, che soffia dal Sahara verso le zone costiere.

domenica 10 gennaio 2021

Il Dramma del Corno d'Africa

 

I rischi della nuova instabilità in Etiopia

Nell’ottobre del 2019 Abiy Ahmed Ali, primo ministro dell’Etiopia, è stato insignito del premio Nobel per la pace «per i suoi sforzi nel raggiungere la pace e la cooperazione internazionale, e in particolare per le sue iniziative decisive per risolvere i conflitti lungo il confine con l’Eritrea». Il premier, in carica da poco più di un anno e mezzo, era già considerato “il volto del rinnovamento”, una speranza per il futuro democratico del Paese. Il più giovane leader del continente ‒ 44 anni all’inizio del suo mandato aveva rilasciato migliaia di prigionieri politici, rimosso il divieto alla creazione di nuovi partiti, licenziato i funzionari carcerari accusati di violazione dei diritti umani e, soprattutto, favorito l’accordo di pace con l’Eritrea del luglio del 2018 che ha messo fine a vent’anni di conflitti e tensioni tra i due Stati.

A distanza di un anno dal Nobel, che tanto aveva fatto sperare in una maggiore stabilità nell’area, le cose sono radicalmente mutate. Negli ultimi mesi si sono verificati numerosi scontri nel Paese che hanno causato la morte di centinaia di persone. Le violenze hanno avuto inizio il 29 giugno, dopo l’assassinio di Hachalu Hundessa, un famoso cantante e attivista di etnia Oromo, la stessa dell’attuale primo ministro. Non è ancora chiaro chi abbia commesso l’omicidio e perché, ma poche ore dopo la morte di Hundessa ci sono state rivolte in tutta la regione di Oromia, la più popolosa tra quelle che compongono la Repubblica federale democratica di Etiopia, con circa 33 milioni di abitanti, compresi quelli della capitale Addis Abeba.

Le proteste si sono acuite con l’annuncio del rinvio delle elezioni, previste per il mese di ottobre, a causa dell’emergenza Covid-19. Un gesto ritenuto dalle forze di opposizione come un tentativo da parte Abiy Ahmed di restare al potere, tanto che i leader della regione settentrionale del Tigray hanno deciso di indire comunque le elezioni. La tornata elettorale, che si è svolta a settembre, ha visto la vittoria del Tigray People’s Liberation Front (TPLF) uno dei partiti storici dell’Etiopia. Anche se i tigrini rappresentano solo il 6% della popolazione, composta da oltre 110 milioni di persone, sono stati una delle forze dominanti nel ventennio precedente l’arrivo al potere di Abiy Ahmed. Il timore che tali elezioni, dichiarate illegali dal premier, potessero essere il primo passo verso la secessione del Tigray ha aperto la fase delle ostilità tra l’esercito federale e le forze del TPLF. Il 4 novembre il primo ministro ha deciso di lanciare un’offensiva armata contro la “regione ribelle” dispiegando truppe a ridosso delle regioni di Amhara e Afar, a sud e a est del Tigray. Nonostante gli appelli dell’Unione Africana per una sospensione delle violenze gli scontri continuano e i rischi vanno ben oltre i confini dell’Etiopia.

In primo luogo il “tentativo separatista” potrebbe estendersi alle altre regioni del Paese, facendo esplodere le rivendicazioni autonomiste delle diverse comunità o riaccendendo vecchie tensioni come, per esempio, quella tra la regione di Amhara e quella del Tigray, da decenni “impantanate” in una disputa sulla terra dalla quale sono scaturiti violenti scontri. D’altra parte non va dimenticato che l’Etiopia è uno Stato federale che tiene insieme diverse istanze regionali, espressioni di etnie, clan e tribù. Le spinte secessioniste sono ricorrenti nella storia etiope e questo spiega il motivo per cui il Paese è stato per lungo tempo governato da militari che legittimavano il loro potere con la capacità di tenere assieme “un mosaico” a rischio di azioni separatiste. Il nuovo premier ha tentato di sviluppare una politica atta a ridurre la conflittualità interetnica ed evitare spinte centrifughe. Per questo motivo lo spettro che l’iniziativa tigrina possa aprire ad altre “ambizioni secessioniste” potrebbe aumentare il livello delle violenze in modo da far desistere qualunque altra regione da simili tentativi.

Un altro punto interrogativo riguarda un possibile coinvolgimento di Asmara nel confitto. L’élite politica del Tigray era al governo di Addis Abeba nei lunghi anni di guerra e tensioni con l’Eritrea che potrebbe decidere di approfittare della situazione per assestare un colpo definitivo ai nemici di lunga data, ampliando ulteriormente gli attori coinvolti nel conflitto e, dunque, il livello di violenze. Pochi giorni fa le forze del Tigrai hanno rivendicato il lancio di razzi sull’aeroporto della vicina capitale dell’Eritrea. Un segnale che non fa ben sperare per le sorti di una guerra che rischia di deflagrare ben oltre i confini etiopi.

I problemi, poi, potrebbero estendersi agli Stati vicini del Corno d’Africauna delle aree più vulnerabili del continente. In primo luogo alla Somalia, da cui le forze etiopi si sono ritirate dopo lunghi anni di campagna militare e con cui in tempi recenti hanno riaperto un dialogo su questioni regionali di interesse comune, in linea con l’iniziativa di pace e di integrazione economica avviata da Abiy Ahmed. In secondo luogo al Sudan, che sta affrontando una delicatissima transizione politica e che potrebbe vedere ulteriormente aggravata la propria situazione interna. Secondo stime dell’ONU, vi sarebbero più di un milione di sfollati nella regione del Tigray e circa 40.000 persone sarebbero già fuggite dalle zone di guerra attraversando il confine occidentale con il Sudan; un numero che è «probabile aumenti rapidamente», ha avvertito l’alto commissariato ONU per i rifugiati. Se così fosse rischierebbe di aprirsi una crisi umanitaria di enormi dimensioni.  

Infine, guardando verso il Mediterraneo, l’Egitto resta uno spettatore interessato a una possibile destabilizzazione dell’Etiopia che potrebbe rallentare il progetto di riempimento della Grande diga del rinascimento etiopico (GERD, Grand Ethiopian Reinassance Dam). Il Cairo, preoccupato per le possibili ripercussioni in termini di approvvigionamento d’acqua, aveva già minacciato di intraprendere un’azione militare per impedire la creazione della diga. Al momento appare assai improbabile che l’Egitto possa in qualche modo entrare nel “caos etiope”, ma, come ben noto, il protrarsi delle guerre in queste aree profondamente destabilizzate attira da sempre gli appetiti e gli interessi delle potenze regionali e non solo. Il caso libico insegna.

È dunque lecito ipotizzare che più questa guerra si prolungherà, maggiori saranno i rischi di una sua espansione a livello regionale, con tutti i conseguenti rischi per la “tenuta” di un’area estremamente instabile che, solo da poco, aveva raggiunto un precario e parziale barlume di equilibrio.