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Metodo di Ricerca ed analisi adottato


Il medoto di ricerca ed analisi adottato è riportato suwww.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com

Vds. post in data 30 dicembre 2009 seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità delloStato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento al medesimo blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

sabato 31 dicembre 2016

giovedì 22 dicembre 2016

.LIbia: alla ricerca di nuovi orizzonti

Libia
Haftar cerca di acchiappare (la) Mosca
Umberto Profazio
11/01/2017
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La visita del generale Khalifa Haftar a Mosca ha fornito l’occasione per fare il punto sulla cooperazione militare tra le due parti. Diverse fonti di stampa hanno speculato sulla possibilità dell’invio di armi da parte di Mosca, valutando anche l’ipotesi di una missione di addestramento per il Libyan National Army, Lna, guidato da Haftar.

Haftar chiede armi alla Russia
Quella di fine novembre non è la prima visita di un Comandante Supremo dell’Lna a figure di spicco del governo russo; i primi contatti erano stati stabiliti già a giugno. Anche in questo caso fonti russe hanno confermato una richiesta libica per l’invio di armi.

A fine settembre l’ambasciatore libico in Arabia Saudita, Abdel Basset al-Badri (considerato molto vicino ad Haftar), è giunto in Russia per incontrare il vice Ministro degli Esteri Mikhail Bogdanov, porgendogli la medesima richiesta.

L’offensiva diplomatica di Haftar ha finora prodotto scarsi risultati. A eccezione dell’arrivo di una missione di esperti russi in Cirenaica a inizio novembre, finalizzata a riassemblare l’Lna ed a rinnovare l’arsenale ed i sistemi di difesa aerei e navali, il governo russo si è dimostrato restio a impegnarsi direttamente nel complesso scenario libico.

Tuttavia, i recenti sviluppi politici nel Paese e l’evidente cambiamento delle dinamiche internazionali rendono la più recente visita di Haftar a Mosca foriera di ulteriori sviluppi.

Secondo le indiscrezioni del sito israeliano DEBKAfile, questa volta la Russia avrebbe mostrato ampia disponibilità a sostenere l’Operazione Karama di Haftar, condizionando però il suo aiuto alla costruzione di una base militare vicino a Bengasi.

In tale contesto, giova ricordare quanto già ottenuto dagli Emirati Arabi Uniti, i principali sostenitori di Haftar assieme all’Egitto: secondo quanto rilevato a fine ottobre da IHS Jane’s, Abu Dhabi avrebbe ottenuto una base militare presso Marj (il quartier generale di Haftar), utilizzata anche dalle forze francesi.

La creazione di una base militare russa vicino a Bengasi fornirebbe a Mosca un secondo punto di appoggio nel Mediterraneo dopo Latakia in Siria, confermando il crescente attivismo della Russia nella regione.

Ovviamente, tali speculazioni non sono state confermate. Lo stesso Haftar si è affrettato a smentire l’invio di armi da parte della Russia, precisando che la richiesta verrà presentata una volta sollevato l’embargo sulle armi ancora in vigore nei confronti della Libia.

Resta tuttavia altamente improbabile una revisione di tale politica. Spesso richiesta per combattere più efficacemente il gruppo terrorista dell’autoproclamatosi “stato islamico”, la fine dell’embargo sarebbe difficilmente giustificabile a seguito della definitiva caduta di Sirte lo scorso 6 dicembre.

Gentiloni-Kerry, il tandem dell’accordo di Skhirat in via di disfacimento
Molto più interessanti risultano le considerazioni politiche sulla vicenda. Nonostante l’evidente affinità tra Haftar e la linea di politica estera adottata dall’attuale governo russo, ufficialmente Mosca continua a sostenere l’accordo di Skhirat del dicembre 2015 e sostenuto dalla comunità internazionale.

Tuttavia, a distanza di un anno dalla sua firma, l’accordo politico libico denota evidenti segnali di logoramento. Il principale sostegno all’accordo, rappresentato dal tandem Gentiloni-Kerry, è in via di disfacimento sia per evidenti avvicendamenti elettorali negli Stati Uniti sia per crisi politiche interne in Italia.

Soprattuto, sussistono numerosi dubbi sulla volontà di Donald J. Trump di seguire il solco tracciato dall’amministrazione precedente sul dossier libico.

Tali prevedibili sviluppi privano il governo di unità nazionale dei principali garanti politici esterni, mentre dal punto di vista interno la legittimità del Primo Ministro Fayez al-Sarraj è costantemente erosa da numerosi fattori, quali instabilità, insicurezza e una profonda crisi economica che hanno alienato le iniziali simpatie con le quali il suo esecutivo era stato accolto a Tripoli.

Il corto circuito politico tra la Camera dei Rappresentanti a Tobruk e il governo di Sarraj ha persusaso anche i più convinti sostenitori dell’accordo di Skhirat, in primis l’inviato Onu Martin Kobler, della necessità di qualche ritocco.

L’Algeria si offre come nuovo mediatore sulla Libia
Lo scopo dichiarato è quello di rendere l’accordo più inclusivo. Implicitamente ciò vuole dire trovare un’allocazione adeguata ad Haftar, recentemente nominato Maresciallo a seguito della vittoriosa offensiva nel crescente petrolifero lo scorso settembre.

La ripresa dell’export petrolifero e la decisione di versare i relativi introiti nelle casse della Banca centrale di Tripoli hanno aumentato la popolarità di Haftar, rendendolo una figura imprescindibile per ogni soluzione politica della crisi.

Gli incontri si susseguono a un ritmo frenetico, al fine di convincere le principali fazioni libiche ad accettare un’interpretazione più inclusiva dell’accordo di Skhirat. Ad emergere chiaramente è un asse ben definito tra Mosca ed Algeri, entrambe visitate a più riprese dai vari protagonisti.

Il 14 dicembre è stato il Presidente del Parlamento di Tobruk Agila Saleh a far visita a Mosca, da dove ha annunciato una nuova road map per la soluzione della crisi libica, oltre a sondare il terreno per eventuali accordi di cooperazione economica e finanziaria.

A fine novembre Saleh era stato ricevuto ad Algeri, dove il 18 dicembre è invece arrivato Haftar per un incontro con il Primo Ministro Abdelamlek Sellal e il Ministro per gli Affari del Maghreb, dell’Unione africana e della Lega araba Abdelkader Messahel.

L’Algeria, in particolare, si è a più riprese offerta di mediare nella crisi libica, offrendo alle controparti il proprio modello di riconciliazione nazionale dopo i difficili anni ’90.

Umberto Profazio è dottore di ricerca in Storia delle Relazioni Internazionali presso l’Università di Roma “Sapienza”, Research Assistant per l’International Institute for Strategic Studies, Senior Researcher per il Centre for Geopolitics and Security in Realism Studies e Maghreb Analyst per la NATO Defence College Foundation.

venerdì 9 dicembre 2016

La Russia sulla quarta sponda


Libia: la Russia dietro Haftar
Roberto Aliboni
23/12/2016
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Le vicende libiche più recenti mostrano l’emergere di un equilibrio a vantaggio di Tobruk, del generale Khalifa Haftar e del presidente della Camera dei Rappresentanti Aqila Saleh e, per contro, uno sfaldamento progressivo del governo di accordo nazionale, Gan, di Fayez Serraj e delle forze che gli si sono raccolte intorno, più o meno islamiste.

In primavera, le milizie di Misurata postesi sotto l’autorità di Serraj hanno preso d’assalto Sirte per sloggiare l’autoproclamatosi “stato islamico”. Gli inviti di Serraj a Haftar di unire le forze sono rimasti inascoltati. Haftar ha lasciato che le milizie di Misurata si attardassero nell’assedio a Sirte in un’operazione che non ha un’influenza diretta sull’equilibrio politico-militare interno e ha invece occupato il suo tempo consolidando il controllo del territorio a Bengasi e nelle aree a oriente e a sud di Sirte.

Il successo di Misurata a Sirte, appena proclamato all’inizio di dicembre, è costato molto caro, tiene ancora bloccate le milizie a Sirte e le ha indebolite. In occasione dei tumulti causati a Tripoli dalle agitazioni contro il Gan promosse da Ghweil (il capo del vecchio parlamento islamista sostituito dal Gan), fu subito ventilata l’ipotesi di un intervento di queste milizie, ma fu anche subito dismessa in quanto queste non erano in grado di lasciare Sirte.

In questo quadro di debolezza militare a Tripoli, Haftar ha occupato la “mezzaluna petrolifera”, liquidando in poche battute le Guardie petrolifere di Ibrahim Jadran (alleate del Gane senza reazioni da parte di Tripoli di fronte a una mossa così strategicamente importate per l’equilibrio delle forze in Libia: le forze a Sirte di nuovo non si sono potute muovere, quelle stanziate a Tripoli, come che sia, non si sono mosse.

L’insospettato acume strategico di Haftar
A queste dinamiche militari si è aggiunta un’azione politica. Haftar, non molto brillante fino a tutto il 2015, nel 2016 ha mostrato un insospettato acume strategico, sia lasciando - come abbiamo visto - che Misurata si logorasse contro lo “ stato islamico”, sia occupando i pozzi e scartando di assediare Tripoli o cercare un scontro diretto con le forze del Gan, sia mostrando una statura di statista quando ha lasciato che le risorse dei campi petroliferi conquistati andasse nelle tasche della Banca centrale invece che in quelle di Tobruk, sia tessendo una tela diplomatica non più solo con l’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti, ma anche direttamente con la Russia.

Gli interessi russi dall’Egitto alla Libia sono ormai chiari. Mosca ha fornito armi ad Haftar (sembra per circa tre milairdidi dollari) e, nel complesso, si appresta a migliorare le infrastrutture e le risorse militari in Egitto con l’idea di prolungare l’azione in Libia (intanto si ha notizia della costruzione di una base militare a Marj, il quartier generale di Haftar, da parte degli Emirati Arabi Uniti).

Lo scontro non l’ha cercato Haftar e neppure le milizie di Misurata, bensì una milizia di islamisti estremisti formata da uomini dello Shura Council di Bengasi. Il 7 dicembre una forza di circa 600 uomini ha attaccato il presidio di Haftar nella mezzaluna petrolifera, con l’intento di strapparglielo e di aprire un corridoio verso Bengasi per aiutare le forze islamiste che ancora occupano una piccola frazione della città.

Questa forza è stata pienamente respinta, confermando l’equilibrio militare a favore di Haftar che oggi regna in Libia. Secondo voci insistenti, riportate dall’International Crisis Group, la sfortunata impresa verrebbe dagli ambienti del Ministro della Difesa di Serraj, Mehdi Barghati. Se questo fosse vero, sarebbe una vivida testimonianza della disgregazione del Gan e di una debolezza politica di Serraj che si aggiungerebbe a quella militare.

Il tramonto del governo di accordo nazionale
In questo quadro, già da alcuni mesi il processo politico promosso dall’Onu e il Gan sembrano non essere più in grado di fornire la soluzione politica bilanciata che molti Paesi hanno sinceramente appoggiato (come l’Italia) e altri hanno appoggiato a New York, ma non in Libia (come la Francia e l’Egitto), contribuendo al fallimento dell’iniziativa.

Si moltiplicano le voci di un negoziato che comprenda anche Haftar e le forze di Tobruk. Vari accenni sono stati anche fatti dal ministro ( ora premier) Paolo Gentiloni. Ma su quali basi impostare un negoziato con Haftar? Serraj ci ha già provato senza risultati e del resto con le sue evidenti debolezze non poteva certo convincere Haftar. In effetti, nel momento in cui la dinamica dell’equilibrio politico-militare è favorevole ad Haftar - come si è già visto in Libia e in Siria - non è detto che egli voglia trattare. I nodi della trattativa sono essenzialmente due: la frammentazione delle forze sul territorio e il ruolo degli islamisti.

Riprendere il discorso dove lo ha lasciato re Idris
Per aggirare la frammentazione delle forze si dovrebbe prefigurare un’articolazione territoriale del Paese che lasci loro una misura di autonomia. Non si tratta assolutamente della partizione della Libia - che del resto l’impostazione nazionalista di Haftar non accetterebbe - ma di riprendere il disegno del compromesso federalista o confederalista che le diverse tendenze libiche avevano accettato negli anni ‘50 all’epoca della formazione dello stato unitario affidandone la realizzazione a re Idriss come super partes. Quest’ultimo però non mantenne la promessa e ne sono seguiti decenni di infelice repressione e minorità politica della Libia.

Perché quel disegno sia fattibile è anche necessario che le componenti islamiste moderate si decidano a distanziarsi da quelle estreme come hanno fatti Fratelli Mussulmani in Tunisia. Se lo faranno, ci sarà una possibilità di stabilire un equilibrio accettabile e costituire sotto un governo di unità nazionale una convivenza di tendenze politiche diverse. Se non lo faranno la guerra civile potrebbe riprendere, stavolta probabilmente con la Russia a gestire la crisi.

Roberto Aliboni è consigliere scientifico dello IAI.