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Metodo di Ricerca ed analisi adottato


Il medoto di ricerca ed analisi adottato è riportato suwww.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com

Vds. post in data 30 dicembre 2009 seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità delloStato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento al medesimo blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

mercoledì 19 agosto 2015

Ciad: le attività di Boko Haran

’onere del terrorismo
Onu inquieta per Boko Haram sul lago Ciad
Elvio Rotondo
13/08/2015
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Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha recentemente espresso, nel corso di una riunione formale, la propria preoccupazione per la continua minaccia alla pace internazionale e alla sicurezza da parte del gruppo terroristico Boko Haram nell’area del Bacino del lago Ciad.

Il Consiglio di Sicurezza, pur riconoscendo i progressi compiuti contro Boko Haram a seguito di sforzi militari regionali comuni negli ultimi mesi, incoraggia una maggiore cooperazione regionale al fine di stroncare il gruppo terroristico, fermamente condannato per le sue continue violenze, le violazioni dei diritti umani e i rapimenti di massa compiuti nel bacino del lago Ciad.

Il Consiglio, riconoscendo l'onere economico che grava sui paesi interessati dagli attacchi di Boko Haram e accogliendo il continuo impegno degli Stati membri e dei partner internazionali che partecipano al sostegno della Multinational Joint Task Force (Mnjtf), ha invitato la comunità e i donatori internazionali a sostenerne, in particolare, la capacità operativa.

A tal proposito, l'African Union Commission (Auc) si propone di organizzare una conferenza dei donatori a sostegno degli sforzi degli Stati del bacino del lago Ciad e il Benin.

Violenze incessanti e crescenti
La violenza nel nord della Nigeria, come in tutta l’area del Lago Ciad, non accenna a diminuire e ne sono dimostrazione gli ultimi attentati avvenuti nella metà del mese di luglio nelle città di Gombe e Damaturu, che hanno causato l’uccisione di più di 60 persone.

A determinare la morte di vittime innocenti sarebbero stati alcuni ordigni esplosivi fatti deflagrare nelle vicinanze di luoghi di culto nella città di Damaturu e in un mercato cittadino due giorni prima nella città di Gombe. Lunedì 27 luglio, il gruppo avrebbe ucciso e poi decapitato una ventina di pescatori ciadiani che stavano pescando nel lago Ciad nei pressi del villaggio di Baga.

L’area di maggiore preoccupazione è quella a ridosso del lago Ciad (con quasi 1,9 milioni di sfollati) che vede coinvolti diversi paesi tra cui la parte nord orientale della Nigeria (che rispetto al sud del paese è sottosviluppata, malgovernata e islamica), Camerun, Niger, Ciad e Benin.

A preoccupare, oltre al processo d’inaridimento del lago, che interessa circa 30 milioni di persone che vi abitano, sono purtroppo anche le penetrazioni terroristiche che da anni continuano a mietere vittime. Un fenomeno che da sola la Nigeria fatica a controllare, senza l’aiuto dei paesi frontalieri del bacino del lago che condividono il problema.

Malgrado il grosso impegno assunto da questi paesi e l’aiuto di altre organizzazioni internazionali, il gruppo terroristico Boko Haram continua a seminare terrore e a controllare buona parte del nord della Nigeria e le zone confinanti.

I lavori degli esperti
Alcuni mesi fa e precisamente nel mese di febbraio, si erano incontrati diversi esperti di alcune organizzazioni locali ed internazionali allo scopo di redigere la bozza del documento operativo della Mnjtf, forza regionale composta da Camerun, Nigeria, Ciad, Niger e Benin per combattere le minacce terroristiche del gruppo Boko Haram.

Esperti della Commissione del Bacino del lago del Ciad (Camerun, Ciad, Niger e Nigeria più il Benin), l’Unione africana (Au), l’Ecowas, l’Onu, rappresentanti della Ue e altre organizzazioni hanno partecipato all’incontro rendendo nota la bozza del documento, Concept of Operations (Conops), della Mnltf.

La Bozza, secondo un comunicato stampa, prevede la creazione di un ambiente sicuro e protetto nelle zone interessate dalle attività di Boko Haram e altri gruppi terroristici, allo scopo di:

- ridurre in modo significativo la violenza e gli abusi contro i civili nel pieno rispetto del diritto internazionale;
- facilitare l'attuazione di programmi di stabilizzazione complessiva da parte degli Stati membri del “Bacino del lago Ciad” e Benin nelle aree colpite, tra cui il pieno ripristino del potere statale e il ritorno degli sfollati e dei rifugiati;
- agevolare, nel limite delle sue capacità, le operazioni umanitarie e la fornitura di assistenza alle popolazioni colpite.

Il 12 giugno la Nigeria e i suoi vicini alleati hanno deciso che a guidare la nuova Task Force sarebbe stata proprio la Nigeria contro il nemico numero uno, Boko Haram. Un segnale del neo eletto presidente nigeriano Buhari, con il preciso intento di dare un duro colpo all’organizzazione terroristica islamica.

La forza sarà composta da 8.700 uomini e la leadership sarà della Nigeria con a capo il generale Iliya Abbah, la posizione di Vice Comandante verrà ricoperta da un ufficiale del Camerun, mentre nel primo anno la posizione di Capo di Stato Maggiore sarà assegnata ad un ufficiale ciadiano.

Se la forza agirà con armi, equipaggiamento adeguato e la determinazione che merita sarà un brutto colpo per i terroristi ma, ad un progetto del genere dovrà seguire un approccio politico diverso dal passato e soprattutto di sviluppo per le aree interessate per impedire al gruppo di Boko Haram di continuare a sfruttare il malcontento della popolazione, soprattutto di quella giovane.

Elvio Rotondo è Country Analyst de “Il Nodo di Gordio”.
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giovedì 13 agosto 2015

Mediterraneo senza padrone

Mare non più Nostrum
Il Mediterraneo senza potenza egemone
Giuseppe Cucchi
28/07/2015
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Il Mare Nostrum ha un passato di feroci conflitti per il predominio, sin dalle lotte triangolari tra Greci, Fenici ed Etruschi. Questi ultimi vennero eliminati dai Siracusani con la battaglia navale di Cuma, nel 474 a.C., un po’ come sei anni prima, a Salamina, la lega panellenica aveva liquidato il tentativo di penetrazione persiano.

Furono poi i romani che misero fine all’egemonia marittima fenicia, distruggendo Cartagine, conquistarono la Grecia e portarono ad unità strategica il bacino, con un monopolio che, tra Roma e Bisanzio, durerà circa ottocento anni.

Un passato tra unità e divisione
Lo rompe, nel VII-VIII secolo, l’impetuosa avanzata dell'Islam. Per Henri Pirenne è una divisione, destinata a durare più di mille anni, che spiega il regresso economico dell’alto medioevo. Per Fernand Braudel invece, pur nel suo frazionamento fra due civiltà contrapposte, il Mediterraneo mantiene la sua prevalente funzione di ponte, di collegamento, attraverso cui le parti si scambiano uomini, merci, contatti e soprattutto idee.

Finita l’era dei grandi imperi mediterranei, a vantaggio di quelli oceanici, sin dalle guerre napoleoniche diviene assoluto il predominio nel bacino della Royal Navy, che trasforma in pratica il Mediterraneo in un mare inglese, che assicura, da Gibilterra a Suez, la continuità delle comunicazioni imperiali.

Provarono un paio di volte, prima Napoleone e poi (si parva licet componere magna) Erwin Rommel a interrompere quel collegamento in Egitto, senza riuscirci. Naturalmente molte altre marine operavano nel Mediterraneo, ma il dominio strategico restava saldamente britannico, almeno sino alla spedizione anglo-francese a Suez, nel 1956, quando si prende ufficialmente atto che il bacino ha un nuovo egemone, gli Stati Uniti.

Questi ultimi sono più elastici e sfumati, anche perché il loro avversario è la grande potenza continentale sovietica, e operano quindi essenzialmente sotto la bandiera dell'Alleanza Atlantica, riuscendo comunque a mantenere fuori dal bacino le forze di Mosca.

Il dilemma attuale
Ma cosa è oggi il Mediterraneo? E cosa dobbiamo attenderci da un futuro che appare così pregno di radicali cambiamenti da rischiare di configurare i prossimi anni a venire più come una fase rivoluzionaria della storia della umanità che come un periodo di rapida evoluzione, certo rischiosa ma tutto sommato controllabile?

Ci stiamo avviando verso un periodo di rinnovata separazione delle sponde del Mare Nostrum che ricorderà, almeno per analogia, la contrapposizione fra Maometto e Carlomagno descritta da Pirenne? Oppure il Mediterraneo ritornerà a quella prevalente funzione di ponte fra culture diverse su cui Braudel concentrava la propria attenzione? E chi controllerà il bacino? Una sola potenza o superpotenza? Un oligopolio di protagonisti? Un condominio in cui agiscano di comune accordo tutti gli Stati rivieraschi?

Nel tentare di definire questo ancora incerto futuro tre punti sembrano però già acquisiti sin da ora.

Gli Stati Uniti si defilano un poco
Il primo è il deciso calo d'interesse per il bacino da parte di Stati Uniti che appaiono intenzionati a concentrare verso altre aree del mondo la loro potenza residua. Il disimpegno di Washington è stato fino ad ora molto limitato, considerato come una flotta Usa sia ancora ancorata a Gaeta e come nell'Italia, che domina geograficamente entrambi i bacini del Mare Nostrum, la presenza militare americana sia cresciuta e non calata - caso unico in Europa - dopo la fine della guerra fredda.

Il Presidente Obama ha però già abbondantemente chiarito come la sua nuova linea strategica non preveda più un impegno in prima fila degli Stati Uniti nell'area, ma lasci invece agli alleati il compito di operare da gendarmi regionali.

Si trattava forse di una buona intenzione, ma la via dell'inferno è spesso lastricata di buone intenzioni. Il primo frutto della nuova strategia statunitense è stata quell'immediata rinascita delle ambizioni neo colonialiste francesi e britanniche che ha rapidamente condotto al disastro libico.

Arrivano altre potenze
Il secondo punto, diretta conseguenza del disimpegno statunitense, è il progressivo affacciarsi nel bacino di altre potenze che un tempo gli erano estranee. La prima è la Russia che con il recupero della Crimea ha consolidato la sua presenza navale in Mar Nero e che ora tende, come si diceva un tempo, "a sfociare nelle acque calde". Mosca ha già una sua base navale a Tartous, in Siria, ed accordi particolari con Cipro. La difficile situazione della Grecia nell’Ue potrebbe offrire a Mosca altre opportunità.

In pari tempo anche la Cina si sta scoprendo potenza navale e, almeno parzialmente, potenza navale mediterranea, se non altro per la necessità di proteggere gli investimenti fatti nella cosiddetta area del "Mediterraneo allargato".

Non dimentichiamoci di come, all'inizio della crisi libica, Pechino abbia dovuto evacuare per via navale dal paese a rischio ben 26.500 suoi concittadini, e lo abbia fatto brillantemente. Così adesso la Cina ha più o meno acquistato il porto del Pireo, tratta per insediarsi in quello di Taranto, partecipa alle azioni anti pirateria che si svolgono in Oceano Indiano, partecipa con la Russia a manovre navali congiunte nel Mediterraneo Orientale e semina propri reparti militari nelle azioni di pace dell'Onu che si svolgono intorno al bacino. Una politica che potrebbe ricordare quella del pre-deployment delle unità americane di un tempo.

Il grande progetto della "Silk road, Silk belt" che dovrebbe condurre a migliorare sostanzialmente i collegamenti commerciali, terrestri e navali, fra l'Asia e l'Europa nei prossimi dieci, venti anni, comporterà una presenza cinese nel Mediterraneo notevolmente accresciuta rispetto a quella attuale.

È previsto infatti che la Silk road navale, partita dalla Cina, entri nel Mare Nostrum da un Canale di Suez di cui l'Egitto sta già raddoppiando la portata e termini nei porti dell'Adriatico, rinnovando in maniera simbolica lo storico collegamento fra Xi’An e Venezia.

Gli arabi sono in mezzo al guado
Il terzo punto da seguire con estrema attenzione è il fermento della sponde arabe del nostro bacino, travagliate dalla affannosa ricerca di un nuovo equilibrio interno delle differenti componenti dell'ecumene islamico nonché dall'insorgere di tentazioni estremistiche così forti che al momento attuale appaiono estremamente difficili non solo da sopprimere ma addirittura da contenere.

Tanto più poi che tutti coloro che si candidano ad esercitare ruoli di leadership locale non appaiono, almeno sino a questo momento, disponibili a pagare il prezzo in oro ed in sangue indispensabile per imporre la propria leadership.

Pirenne o Braudel?
In definitiva si va dunque verso un oligopolio navale destinato a controllare sempre di più le acque del bacino mediterraneo, sullo sfondo del progressivo attenuarsi di una presenza americana che tenderà a farsi più debole, a meno di inversioni di tendenza che per il momento appaiono molto improbabili.

Permarrà inoltre anche una condizione di forte instabilità delle sponde arabe destinata a durare ancora per parecchi anni , e quindi a lasciare sostanzialmente ancora aperto ad entrambe le possibili soluzioni il quesito di Braudel e di Pirenne.

Da chiedersi poi, in conclusione, se vi sarà un ruolo anche per l'Unione Europea in questo scenario e di quale ruolo si tratterà. Ma prima è forse meglio chiedersi di che Unione Europea si tratta!

Giuseppe Cucchi, Generale, è stato Rappresentante militare permanente presso la Nato e l’Ue e Consigliere militare del Presidente del Consiglio dei Ministri.
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lunedì 3 agosto 2015

Egitto: la Fratellanza disegna il suo futuro

Nuovi leader, vecchio corso
Egitto: Fratellanza fra repressione e divisioni
Azzurra Meringolo
02/08/2015
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È sempre più tagliente il conflitto interno a quel che resta della Fratellanza Musulmana egiziana. Tenuto segreto il più possibile per non scalfire l’immagine di una Confraternita già in crisi a causa degli attacchi esterni, dopo che il battibecco tra alcuni suoi leader è andato in onda sugli schermi delle televisioni egiziane, lo scontro è divenuto di dominio pubblico.

Tra Turchia e Qatar, ma le redini al Cairo
Dalla deposizione, nel luglio 2013, del presidente islamista Mohammed Mursi, la Fratellanza si è confrontata con ingenti perdite, dovute soprattutto a defezioni obbligate dal confronto con quel “nuovo regime” che nel dicembre 2013 l’ha definita un’organizzazione terroristica, confinandola nuovamente alla clandestinità.

A causa del congelamento dei beni di più di mille organizzazioni caritatevoli accusate di essere affiliate agli estremisti islamici, la Fratellanza non è neanche riuscita a portare avanti quelle attività sociali che hanno di solito un grande impatto sulla popolazione.

Le retate, gli arresti di massa, le condanne a morte imposte a molti dei suoi membri hanno poi sconvolto l’organizzazione della sua leadership.

La Confraternita non ha però rinunciato alla sua lotta. Per portarla avanti alcuni membri sfuggiti alla morsa della giustizia egiziana hanno trovato rifugio in Turchia e Qatar da dove cercano di coordinare la loro resistenza. I Fratelli rimasti al Cairo vogliono però tenere le redini del movimento.

Largo ai giovani
Per ricostruire la sua struttura, la Fratellanza ha dovuto confrontarsi con quanto avvenuto sul territorio egiziano, in primis la necessità di agire nuovamente clandestinamente, dovendo tenere quotidianamente conto delle mosse delle forze di sicurezza egiziane.

La riorganizzazione della leadership è passata attraverso un processo di consultazione interno che ha portato all’elezione, nel febbraio 2014, di una commissione per la gestione della crisi.

Anche se Mohammed Badie - guida suprema del movimento, condannato a morte - è stato confermato leader spirituale, i militanti hanno eletto anche il vertice di quella che chiamano la commissione della gestione della crisi. Questo è coadiuvato da un segretario incaricato di supervisionare le questioni prettamente organizzative e da un ufficio per gestire gli affari esteri della Fratellanza.

Secondo Georges Fahmy, ricercatore egiziano presso il Carniegie di Beirut, con queste nuove elezioni si sarebbe sostituito il 65% della leadership. Il 90% di queste new entry sarebbero giovani, ovvero quei quarantenni che solo tre anni fa la vecchia leadership considerava troppo freschi per far parte dell’esecutivo del movimento.

Ritorno alla violenza, ma limitata 
Questo cambiamento nelle fila di testa riecheggia anche sulla tattica politica della Confratenita. Ritenendo fallimentare la gestione dei loro predecessori, i giovani non si starebbero facendo scrupoli a tornare alla lotta armata, caratteristica della Fratellanza dei primi decenni.

La nuova leadership sembra aver optato per un ricorso limitato alla violenza: usarla per operazioni che mirano a colpire il regime, ma non nei confronti di civili.

Basta leggere la cronaca di cui sono pieni i quotidiani egiziani per capire le conseguenze di questo nuovo approccio. Non sono pochi i militanti che hanno iniziato - per ora solo a titolo personale - a prendere di mira vetture e uffici della polizia, causando incidenti che rischiano di alienare quella significativa parte della popolazione che nell’estate del 2013 ha mostrato un forte scontento nei confronti della Fratellanza, chiedendone l’uscita di scena.

Leadership e base popolare
Seguendo quei mezzi di informazione che dallo scorso maggio hanno dato ampio spazio al botta e risposta tra le diverse fazioni della Confraternita, si apprende che lo scontro interno alla Fratellanza va ben oltre il dilemma sul ricorso alla violenza, espandendosi anche sul rapporto che deve esistere tra la leadership e la base popolare del movimento.

Una buona percentuale dei nuovi dirigenti ritiene che il processo decisionale debba essere più democratico e che le scelte non devono più essere imposte dai vertici sulla base. Anzi dovrebbero essere i consigli dei militanti a guidare la leadership.

Anche se i media egiziani continuano a trasmettere immagini e filmati che mostrano quanto tagliente sia lo scontro interno alla Fratellanza, è difficile pensare che questo spettacolo andrà avanti ancora a lungo.

Entrambe le fazioni temono infatti che mostrandosi parte di una Confraternita non coesa possano perdere credito. È quindi probabile che il tono dello scontro, almeno quello pubblico, si abbassi. Ma nei loro incontri clandestini, i Fratelli Musulmani continueranno a bisticciare.

Del resto, nessuna delle opzioni attualmente in tavola sembra perfetta per il futuro della Confraternita. Il dilemma è quello tra un ritorno alla disciplina piramidale del passato e la decentralizzazione inaugurata dalla nuova gestione.

Mentre quest’ultima rischia di rallentare e indebolire il processo decisionale, la prima opzione potrebbe portare a un progressivo allontanamento di quei giovani che ora si accontentano di ricorrere alla violenza limitata, ma che presto potrebbero anche essere pronti ad arruolarsi in quei movimenti estremisti che stanno sconvolgendo il Medio Oriente.

Azzurra Meringolo è ricercatrice dello IAI. Coordinatrice scientifica di Arab Media Report. Potete seguirla sul suo blog e su twitter a @ragazzitahrir.
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