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Metodo di Ricerca ed analisi adottato


Il medoto di ricerca ed analisi adottato è riportato suwww.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com

Vds. post in data 30 dicembre 2009 seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità delloStato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento al medesimo blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

mercoledì 23 dicembre 2015

Libia: i risultati del vertice di Roma

Medioriente
A Roma cambio di passo sulla Libia 
Roberto Aliboni
16/12/2015
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Il vertice di Roma sulla Libia ha segnalato sviluppi importanti. Non ha chiesto all’Onu uno sforzo di miglioramento dell’accordo proposto dall’organizzazione e avversato da vari gruppi.

Ha invece avallato la proposta delle Nazioni Unite così com’è, incoraggiando quelle parti che già l’hanno approvata (e che si riuniranno a Skhirat mercoledì prossimo, 16 dicembre) a farlo in via definitiva, soprassedendo ad ogni ulteriore tentativo di intendersi con gli islamisti di Alba libica e gli altri oppositori della proposta stessa.

Verso Skhirat
Dal comunicato finale e dalle dichiarazioni del segretario Usa, John Kerry, risulta chiaramente che i partecipanti alla conferenza di Roma hanno ritenuto inutile ogni ulteriore tentativo di raggiungere un comprensivo accordo nazionale e intendono invece sostenere un governo che subirà, sì, una più o meno forte opposizione interna, ma avrà anche un vasto appoggio internazionale per venire a capo di questa opposizione, riprendere in mano l’economia del paese e porre le premesse per un contrasto efficace all’autoproclamatosi “stato islamico”, Isis.

Kerry ha detto “È tempo di sbloccare la situazione”, ed ha poi aggiunto che i paesi riuniti a Roma “non appena questo governo sarà formato, sono pronti ad incontrarlo al più presto per cominciare a stabilire cosa è necessario al fine di sostenere le misure da prendere”.

Le decisioni prese a Roma mettono in evidenza posizioni nuove. Hanno cambiato posizione innanzitutto gli occidentali che, non arrivando il governo comprensivo ed inclusivo da essi ritenuto necessario a stabilizzare la Libia, hanno deciso di accettare un governo meno comprensivo, ma disposto ad aprire la porta ad interventi di stabilizzazione dall’esterno che evidentemente vengono ormai ritenuti irrinunciabili. Il motore primo è l’espansione dell’Isis in Libia.

Ma - il che è forse anche più notevole - hanno cambiato posizione le potenze regionali che finora hanno sostenuto questa o quella delle parti in presenza esercitando forti interferenze.

Anche se resta da vedere fino a che punto e fino a quando ad Ankara, Riad e Doha resisterà questo cambiamento di posizione, vale la pena notare che un cambiamento è intanto emerso nel più impervio quadro siriano, dove questi tre paesi hanno, nei mesi scorsi, trovato un’intesa sul piano militare e ora hanno collaborato con successo, nella riunione di Riad del 10 novembre, a formare la delegazione unica che il “processo di Vienna” esige e che sembrava impossibile si potesse mai formare fra milizie e gruppi separati da profondi dissensi se non ostilità.

Variabile russa
L’entrata in guerra della Russia è probabilmente il fattore che ha convinto questi paesi a mettere da parte le discordie e avvicinarsi agli Usa. L’abbattimento del bombardiere russo da parte della Turchia può anche essere visto in questa chiave (e al tempo stesso come affermazione nella gara per la leadership fra le potenze regionali sunnite).

È cambiata anche la posizione russa, sempre molto critica verso le politiche occidentali riguardanti la Libia? Mosca si è tenuta un po’ sui margini della conferenza di Roma, inviando un viceministro degli Esteri invece del ministro.Nella conferenza stampa Kerry ha però riferito di un giudizio positivo e convergente da parte della Federazione Russa.

Dietro questo più cauto atteggiamento russo, come dietro la concordia delle potenze sunnite, si intravvedono gli sforzi in corso per trovare nuovi equilibri in Siria e dare possibilmente uno sbocco alla lunga crisi in questo paese e nella regione.

Se così è, lo si vedrà al procedere del processo di Vienna nei prossimi trenta-quaranta giorni. Siamo qui di fronte a fattori più o meno tattici che però rafforzano la nascente strategia occidentale e il suo fuoco sull’Isis.

La scommessa che gli Usa e gli europei hanno sostenuto a Roma con successo non ha però prospettive facili. Il governo di unità nazionale minoritario che nascerebbe a Skhirat potrebbe essere così debole da non riuscire neppure ad utilizzare il sostegno che gli viene promesso.

Un intervento in Libia rischia di restare illegittimo agli occhi della maggioranza del paese e di suscitare problemi poi difficili da risolvere. Non si tratta solo di reazioni negative da parte dei settori islamisti più radicali. Ci sono interessi e contrapposizioni anche da parte di interessi territoriali (come quelli dei così detti federalisti) e personali (come quelle del generale Heftar).

Gli ostacoli che abbiamo illustrato in un precedente articolo restano immutati. Inoltre, su una fine duratura delle interferenze da parte delle potenze regionali si può dubitare.

Infine, se le cose andranno secondo il percorso auspicato a Roma, l’Italia - con il chiaro appoggio degli Usa, prima che degli europei - è facile che riceva quel ruolo nel sostegno al governo di unità nazionale che il governo Renzi ha tanto auspicato. Ci saranno però difficoltà e occorre prudenza.

Roberto Aliboni è consigliere scientifico dello IAI.
- See more at: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=

martedì 15 dicembre 2015

LIbia: alla ricerca del governo unitario

Libia
Roma prova a rilanciare il negoziato libico
Roberto Aliboni
11/12/2015
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Tutto è pronto. Domenica, il Ministero degli Esteri ospita una riunione internazionale sulla Libia, promossa da Italia e Stati Uniti, alla quale parteciperanno esponenti delle parti libiche.

Gli ultimi sviluppi in questo paese sono in effetti assai preoccupanti: da un lato, si conferma il radicamento dell’autoproclamatosi “stato islamico”, Isis, soprattutto nell’area di Sirte (con inediti afflussi di “foreign fighters” dall’Africa saheliana e sub sahariana); dall’altro, il mandato di mediazione sotto la guida di Bernardino Léon si è concluso con un nulla di fatto.

Il “governo di concordia nazionale” che dovrebbe riportare ordine nel paese, riavviare la produzione di idrocarburi, filtrare l’emigrazione illegale verso l’Europa e combattere l’Isis sul terreno appare quanto mai lontano. La prospettiva economica e finanziaria del paese, affidata alle restanti riserve della banca centrale, è infine agli sgoccioli.

Gli schieramenti politico-militari che si erano formati con lo scoppio della guerra civile nel luglio del 2014 si sono molto erosi sia nell’un campo che nell’altro. Le milizie ora si combattono fra loro, ora si alleano per combattere l’Isis, ma è evidente che i sia pur deboli nessi esistenti con le forze politiche non esistono praticamente più.

Il parlamento di Tobruk, uscito dalle elezioni del giugno del 2014, ha terminato il suo mandato in ottobre. Quel che ne resta è molto diviso. Le istituzioni di Tripoli non sono meno divise e smarrite. C’è un vuoto istituzionale, ma soprattutto è assente una qualsiasi prospettiva poiché la proposta di soluzione dell’Onu appare sempre più screditata e oppugnata.

La mediazione di Léon ha acquisito partigiani da una parte e dall’altra delle due coalizioni, scompattando trasversalmente le parti, ma non è riuscita a creare una dinamica sufficientemente unificante. La Libia appare di nuovo frammentata, come prima della guerra civile iniziata nel luglio del 2014.

Léon, dopo la Libia gli Emirati 
Occorre anche sottolineare che lo scandalo suscitato dalle rivelazioni del “Guardian” circa le intese personali che sarebbero intercorse fra Léon e il governo di Dubai (che mostrano un pregiudizio di Léon a favore di Tobruk a fronte di una ben remunerata posizione del diplomatico quale direttore di un think tank del governo degli Emirati), vere o false che siano, hanno largamente eliminato quel tanto di fiducia libica che Lèon era bene o male riuscito a riscuotere.

In questo contesto, l’ambasciatore Martin Kobler ha preso il posto di Léon. La sua scelta è di continuare a premere sulle parti affinché approvino e mettano in atto la bozza Léon.

Ha dei sostenitori, specialmente nell’ambito del parlamento di Tobruk, ma molti oppositori, specialmente a Tripoli, ma anche a Tobruk. Fra questi ultimi, un gruppo di deputati dell’una e dell’altra parte si è riunito in Tunisia da dove ha lanciato la proposta di un dialogo fra libici, articolato in un processo semplice e breve, da iniziare subito, in alternativa a quello dell’Onu. La proposta suscita un non indifferente interesse in Libia.

Le opzioni che potranno essere prese in considerazione a Roma non sono facili. Il proposito dell’Onu di insistere “comme si de rien n’était”, puntando sugli appoggi che la bozza Léon nondimeno riscuote (almeno nella versione meno partigiana adottata alla fine dell’estate), ma senza che si veda come superare le numerose e crescenti opposizioni, non sembra quella giusta.

Kobler, alla ricerca della fiducia perduta
Kobler dovrebbe offrire nuove proposte e una prospettiva di ulteriore modifica della piattaforma.

Innanzitutto dovrebbe assicurare maggiore trasparenza dei negoziati, che sotto la guida di Léon hanno proceduto nella continua separatezza delle parti. Le parti devono essere riunite attorno allo stesso tavolo e non sospettare che ci sia il pregiudizio che lo scandalo ha rivelato a favore di una delle due. Kobler dovrebbe cercare di recuperare la fiducia che è venuta meno - a torto o ragione che sia.

Alcuni nomi, come quello di Khalifa Haftar e Abdelk Rahman Suihaili dovrebbero essere nuovamente discussi poiché suscitano rigetti dall’una e dall’altra parte. La composizione dell’autorità esecutiva proposta nella bozza Léon dovrebbe essere ripresa in mano onde conferirle un migliore equilibrio di rappresentanza delle tre parti del paese.

Kobler infine dovrebbe incoraggiare una più stretta e idonea applicazione delle Risoluzioni Onu 1970 e 2174 e delle sanzioni e punizioni colà previste. Questo orientamento riguarda non solo e non tanto Kobler, ma soprattutto i membri dell’Onu, fra i quali ci sono anche sponsor regionali che da una parte invocano una soluzione, ma dall’altra di fatto la sabotano appoggiando una o l’altra delle parti in presenza.

Infine, Kobler e la comunità internazionale dovrebbero riconsiderare la questione della sicurezza. Il grande successo della mediazione di Léon è stato quello di staccare la città di Misurata dall’estremismo della coalizione di “Alba Libica”.

Tuttavia, pur avendo suscitato una corrente trasversale di adesione all’accordo nazionale, non ha dato soluzione a una serie di questioni concrete e scottanti, come in particolare la riforma del settore della sicurezza del paese. Questa questione non può essere semplicemente affidata a una fase successiva all’accordo.

È necessario che il nuovo governo abbia già alle spalle un minimo di consenso e direttiva sulla sua soluzione prima di potere materialmente procedere a compiti così rilevanti come esonerare il generale Haftar dalle sue funzioni di Capo supremo delle Forze Armate Libiche e dissolvere queste ultime ovvero integrare le forti milizie di Zintan, Tripoli e Misurata in una compagine unitaria di sicurezza nazionale.

Riforma del settore della sicurezza libica
Occorre riconoscere che questa è forse la questione più complessa in qualsiasi tentativo di risolvere la crisi libica. Tutti i governi più interessati, e da ultimo anche la Nato, affermano di essere disponibili a sostenere operazioni di pace per mantenere l’ordine e proteggere luoghi e persone - l’Italia in prima fila - ma a condizione che ci sia un governo.

Ma se questo governo non ha un mandato chiaro e un sostegno sufficiente delle parti almeno sulle condizioni di base per la riforma del settore della sicurezza, chiedendo l’intervento di forze di pace, metterebbe queste forze di fronte a un compito difficilmente sostenibile oppure, peggio, di fronte al rischio di trasformarsi in una forza partigiana ed essere quindi coinvolta in una nuova guerra civile.

Se davvero la comunità internazionale desidera sostenere e affermare una soluzione pacifica e politica alla crisi libica il compito è molto oneroso e impegnativo, sia per l’Onu che per quei paesi che tendono ad assumere la leadership di questa soluzione, come ora - si direbbe - l’Italia e gli Stati Uniti.

Occorre rettificare e riprendere in mano il negoziato su basi più neutrali e convincenti. Occorre contrastare le politiche d’interferenza nella crisi di alcune potenze regionali. Occorre infine lavorare per il varo e l’attuazione di una riforma del settore di sicurezza. Se questa riforma sarà impostata e la fiducia restaurata, si potranno mandare forze di pace per sostenerla, altrimenti è meglio lasciar perdere.

Un’ultima avvertenza è necessaria. Occorre che il nesso fra l’espansione dell’Isis in Libia e la soluzione politica della crisi libica sia inteso correttamente. Se, come in Siria, il problema dello “stato islamico” diverrà preminente nella percezione dei paesi oggi più interessati a dare una mano e condizionerà la soluzione al problema Libia, ci sarà un forte rischio di fallimento.

Roberto Aliboni è consigliere scientifico dello IAI.
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mercoledì 2 dicembre 2015

Libia: sempre più giù


Libia somalizzata, un assist agli estremisti 
Mirko Bellis
04/12/2015
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La Libia rischia di diventare “la prossima emergenza”, come ha ribadito Matteo Renzi durante il suo incontro a Parigi con il presidente francese François Hollande.

Quasi quattro anni dopo la caduta del regime di Muammar Gheddafi, la Libia è ancora nel caos con due governi rivali e due parlamenti: la Camera dei Rappresentanti a Tobruk, riconosciuta dalla comunità internazionale, e il Congresso Generale Nazionale con sede a Tripoli, sostenuto dalla coalizione filo-islamista di Alba Libica.

Da Léon a Kobler, gli sforzi della diplomazia 
La formazione di un governo di unità nazionale - dopo gli accordi raggiunti in ottobre a Skhirat in Marocco - deve ancora realizzarsi. Bernardino Léon, l’ex inviato speciale delle Nazioni Unite in Libia, in vista della scadenza del suo mandato, annunciò la formazione di un governo di unità nazionale guidato da Fayez El Sarraj, deputato della Camera dei Rappresentanti.

I partecipanti al processo di dialogo dovevano votare il nuovo governo prima del 20 ottobre. A più di un mese dalla scadenza però l’esecutivo libico non ha ancora visto la luce.

Anche se la maggioranza dei membri dei due parlamenti ha annunciato pubblicamente di appoggiare il piano proposto dalle Nazioni Unite, una minoranza di deputati - sia a Tripoli che a Tobruk - si oppongono alla votazione del nuovo governo di transizione.

La scorsa settimana a Tunisi, 27 membri della Camera dei Rappresentanti e del Congresso Generale Nazionale hanno espresso il loro rifiuto al piano presentato dall’Onu in quanto "non coerente con i principi della riconciliazione”.

Secondo quanto riportato da fonti locali, quanti si oppongono sono contrari a qualsiasi ingerenza straniera sul futuro della Libia. A questo si sommano le vicende legate al ruolo di Léon.

Sospettato di sostenere Tobruk a discapito di Tripoli, prima di uscire di scena Léon ha annunciato che andrà a lavorare, per 50 mila dollari al mese, nell’accademia di formazione diplomatica degli Emirati Arabi Uniti, un paese che non solo è coinvolto fino al gomito negli affari della Libia, ma che appoggia esplicitamente uno dei due governi, proprio quello orientale di Tobruk.

Tutto ciò ha aumentato la diffidenza dei libici verso la mediazione straniera. L’incontro di Tunisi tra i politici libici segna quindi una preoccupante battuta d’arresto dopo i passi avanti degli ultimi mesi.

Martin Kobler, il nuovo inviato Onu per la Libia, sta cercando di riannodare le fila attorno al processo di dialogo intrapreso da Leon. Kobler, dopo aver visitato la settimana scorsa Italia, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Francia, Tunisia ed Egitto, sarà in questi giorni ad Algeri per la settima conferenza dei ministri degli esteri dei Paesi vicini della Libia.

La pressione diplomatica della comunità internazionale affinché venga presto approvato il nuovo governo è massima. Alla riunione di Algeri infatti prenderanno parte anche la Lega araba, l’Unione europea e l'Unione africana.

L’avanzata del Califfato in Libia
In Libia senza un governo legittimo continua intanto l’avanzata jihadista. Diverse fonti locali hanno riferito che i jihadisti dell’autoproclamatosi “stato islamico” stanno trasportando armi pesanti e veicoli da Sirte verso le città di Harawa, Nufaliya e Bin Jawad con l’obiettivo di estendere la loro influenza nei territori ricchi di petrolio e su Ajdabiya, a 150 chilometri da Bengasi.

Per cercare di limitare la loro avanzata, l’aviazione libica ha colpito duramente Ajdabiya la settimana scorsa. La lotta alle milizie islamiche condotta dall’esercito guidato dal generale Khalifa Belqasim Haftar non sembra però aver ottenuto grandi risultati. I combattenti dell’Is controllano ormai gran parte della strada costiera del Golfo della Sirte.

La controversa figura del generale Khalifa Haftar, inoltre, è giudicata da molti osservatori internazionali come un ostacolo alla normalizzazione della Libia.

Le azioni militari del generale sono state spesso condannate dal governo di Tripoli. Il premier del Congresso Generale Nazionale, Khalifa al-Ghwell, ha promesso di vendicare i raid dell’aviazione su Ajdabiya, definiti da Tripoli come “un atto criminale”. Non è ancora chiaro quale sarà la risposta di Alba Libica però questa situazione rischia di favorire l’espansione dell’influenza dello “stato islamico”.

Emirato petrolifero
Nella lotta per il potere tra Tobruk e Tripoli,infine, non deve essere sottovalutata la figura di Ibrahim Jadran, giovane ex rivoluzionario e comandante dei reparti posti a protezione dei giacimenti petroliferi in Cirenaica.

Jadran, formalmente avversario degli islamisti, nel caso di una divisione territoriale della Libia potrebbe decidere di fondare un proprio “emirato petrolifero” con l’appoggio della sua tribù Magharba.

Nel complicato scenario libico, al di là delle divisioni tribali o ideologiche, il controllo dei proventi del petrolio - pari al 97% del Pil della Libia - appare come il vero nodo della battaglia politica.

Nel paese nordafricano, dove ogni milizia rappresenta un centro di potere autonomo, l’assenza di un governo di unità nazionale allontana sempre di più la stabilizzazione dopo 42 anni di dittatura.

Mirko Bellis, Laurea in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali, Università di Trieste, Master in Comunicazione e conflitti armati presso la Università Complutense di Madrid, è regista, sceneggiatore di documentari e giornalista.
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