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Metodo di Ricerca ed analisi adottato


Il medoto di ricerca ed analisi adottato è riportato suwww.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com

Vds. post in data 30 dicembre 2009 seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità delloStato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento al medesimo blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

giovedì 29 settembre 2016

EGITTO: alla ricerca di aiuti



Medio Oriente
Dubbi attorno alla scommessa del Fmi sul Cairo
Roberto Aliboni
30/09/2016
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L’Egitto del presidente Abdel Fattah Al-Sisi sta negoziando un prestito del Fondo monetario internazionale, Fmi, di circa 12 miliardi di dollari. La generosità del Golfo verso il regime si è presto inaridita, specialmente quella dell’Arabia Saudita.

Riyadh non solo ha problemi crescenti di ordine interno, internazionale e finanziario, ma i Fratelli Musulmani non sono più il suo nemico numero uno, come quando appoggiò il colpo di stato che ha portato Al-Sisi al potere. Da allora, il regime ha visto un notevole deterioramento della situazione economica e finanziaria.

La Realpolitik del finanziamento
In Occidente nessuno ama il regime egiziano, ma la sua stabilità e la sua vicinanza politica, in un quadro di durevole violenza e declino dell’influenza occidentale, preoccupa molto. L‘Egitto è un altro passo indietro dell’Occidente nel difficile rientro dall’idealismo democratico e riformista che animò la sua politica internazionale e mediorientale nel post-guerra fredda.

La prossima tappa sarà probabilmente il compromesso che si dovrà fare in Siria con Assad. Nell’ambito del neo-realismo che sostituisce l’idealismo si colloca l’ampio finanziamento che il Fmi si appresta a dare al governo del Cairo: esso è indubbiamente promosso da forti ragioni economico-finanziarie, ma è innanzitutto promosso da ragioni politiche, cioè dalla necessità di impedire il collasso del regime e sostenere un equilibrio favorevole nella regione.

Potrà il prestito davvero contribuire a stabilizzare l’Egitto? Il Paese è in una situazione assai difficile. Produzione e investimenti sono fermi e il turismo si è gravemente ridotto. Sono in disavanzo tanto la bilancia commerciale che quella dei pagamenti.

Di conseguenza c’è un “dollar shortage” e forti tensioni sui cambi che comportano svalutazioni della lira egiziana e inflazione. Inflazione e bassa crescita s’intrecciano in una spirale viziosa. Tutto ciò ha fatto crescere le diseguaglianze nella distribuzione del reddito, alimentando il declino della classe media.

Al governo - diminuito l’aiuto finanziario del Golfo e non arrivando investimenti dall’estero - non resta che prendere risorse a prestito dal Fmi. Per aiutare effettivamente l’Egitto a uscire dalla situazione attuale queste risorse dovranno essere gestite con una giudiziosa e determinata politica economica e delle riforme. Sarà in grado il governo dell’Egitto a fare sia pure sotto il controllo del Fmi quello che non è riuscita a fare sinora?

Regime frammentato
Una buona parte delle analisi del regime al potere suggerisce che esso è seriamente frammentato in aree di potere che operano in dissenso e competizione fra loro. Al-Sisi non appare come l’uomo forte che l’opinione pubblica e forse anche i governi occidentali percepiscono.

Ashraf El-Sharif, un professore della American University in Cairo, dice che rispetto a questo sistema frammentato, Al-Sisi è una sorta di risultante residuale. Il potere quindi è diviso e conteso fra le “state institutions” (i militari, i vari servizi segreti, il Ministero dell’Interno e la polizia, i giudici) delle quali il Presidente non è che una. Forse ha qualche potere di mediazione, ma non è la più potente.

La frammentazione non è un teorema accademico. L’Italia la conosce direttamente attraverso il caso Regeni. Come che sia, questa frammentazione - che dopotutto corrisponde al vecchio “Egitto profondo” - non sembra potere consentire lo sforzo necessario a utilizzare convenientemente il prestito del Fmi. Perciò i governi occidentali debbono considerare che il prestito in sé e per sé è una scelta giusta, ma che potrebbe fallire perché in effetti non esistono le condizioni politiche per il suo successo.

Dilemma dell’Occidente
Il dilemma in cui l’Occidente si trova oggi dopo aver abbandonato la classe media della regione o lasciato che fosse soverchiata da ogni genere di forze conservatrici (i militari in Egitto, il regime di Assad in Siria, l’Arabia Saudita in Yemen e un po’ ovunque) è che non ha un interlocutore valido da aiutare.

La regione presenta più in generale una prospettiva di coalizioni fra poteri forti invece che governi forti, certamente poco adatte a imporre riforme o arginare la corruzione. Abbiamo visto l’Egitto, ma si può argomentare che lo stesso accadrà in Siria (dove Assad riuscirà a restare ma non senza compromessi), che in Tunisia sta prevalendo una sorta di “trasformismo” e in Libia forse non si riuscirà neppure ad arrivare alla “alliance of dictatorial state institutions” del professor El-Sherif.

In conclusione, il prestito è necessario ma questo prestito, al pari di altri sostegni e prestiti che verranno, non potrà avere successo se non quando l’Occidente nel suo insieme o l’Europa da sola, lasciando da parte le astratte politiche di promozione della democrazia dei decenni passati, non si convinceranno a lasciare che le classi medie mussulmane emergano politicamente con la cultura che hanno anche se a noi non piace.

Roberto Aliboni è consigliere scientifico dello IAI.

lunedì 26 settembre 2016

Libia. Il generale Haftar in Ciadd



Il Capo dell’esercito, generale Khafila  Haftar, leale al parlamento di Tobruck, si è recato il 17 settembre 2016 per poche ore nel Ciad dove dovrebbe aver incontrato funzionari francesi per informarli sulla attuale crisi petrolifera in corso in Libia, ovvero l’occupazione da parte delle sue truppe della zona della mezzaluna petrolifera, In Ciad, Haftar ha incontrato il figlio del presidente ciadiano  Sahba Zakkaria Deby, e, come detto, alcuni funzionari francesi, ai quali ha spiegato i particolari della operazione condotta con successo contro le milizie, fedeli a Tripoli, comandate da Ibrahim Jadhran e le sue guardie petrolifere. 
18.9.2016
Massimo Coltrinari

Libia. Azioni conro Ls


Le Milizie di Misurata, che stanno da giorni assediando Sirte, hanno riferito che L’Is , riprendendo fonti tribali, i Jihadisti stanno progettando le operazioni  di sgombero da Sirte, e miliziani sempre dell’Is sono stati avvistati nelle valli a sud della città. Sempre citando fonti locali, si apprende che un dignitario di una tribù locale ha affermato che L’Is sta organizzandosi per evacuare la città. A Sirte i miliziani dell’Is sono presenti in alcuni quartieri. La situazione militare a Sirte vede le milizie progredire, sostenute dalla aviazione statunitense  che continua a bombardare le posizioni Jiadiste. Dal 1 agosto i rai aerei, a supporto delle milizie libiche fedeli a tripoli, sono state 150.
Le Milizie di Misurata  avevano qualche giorno prima esposto al presidente Al Sarray il loro netto rifiuto  ad entrare in  conflitto con le truppe del gen. Haftar per difendere la Mezzaluna petrolifera, dichiarandosi neutrali nel conflitto tra l’esercito di Haftar e le guardie petrolifere di Ibraim Jadhran
Ripresi i combattimenti la mattina del 18 settembre, nel corso degli scontri sono stati uccisi due importanti leader dell’Is Hassan Al Kirrami e Walid Al Furjani, hanno portato le Milizie di Misurata a restringere i combattenti del’Is in un area di ristretta nel centro di Sirte.

Mohamed al Ghasri, portavoce delle Milizie di Misurata, ha dichiarato  che “ ci stiamo dirigendo verso il distretto costiero di Jizah per eliminare gli ultimi terroristi, dopo sarà il truno del distretto 600. I militanti del Is sono confinati in un area inferiore a un chilometro quadrato: la lor ultima osa sta per scoccare”.

domenica 25 settembre 2016

Libia: incontri al Cairo

Il presidente designato del Governo di accordo nazionale libico Fayer Al Sarray è al Cairo per una serie di colloqui internazionali; tra questi è previsto un incontro con il Presidente della Camera dei rappresentanti il parlamento libero do Tobruck, Aqila Saleh. Tema dell’incontro la discussione sulla lista dei ministri del nuovo esecutivo dopo che lo scorso mese la Camera dei rappresentanti di Tobruck ha negato la fiducia al Governo di Tripoli. Sarà presente anche il rappresentate dell’ONU per la Libia, martin Kobler. Al Sarray incontra anche alcuni esponenti del Governo del Cairo che sostiene il parlamento di Tobruck, al quale chiederà maggiori garanzie ai principali sostenitori del generale Khafila Haftar.  Al Sarray ha anche incontrato il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito egiziano ed incaricato di seguire la crisi libica, gen. Mohammed Hijazi, con cui ha discusso doverse questioni  in particolare la formazione del nuovo governo di riconciliazione nazionale da presentare al vaglio del parlamento di Tobruck. L’Egitto avrebbe prposto al premier Al Sarray di scegliere come Ministro della Difesa  uno tra i nomi di due ufficiali libici Joma Al Marafi, ex responsabile della sicurezza di Gheddafi e Osama l MArafi ec ministro della difesa del governo di Alì Zeidan
17.9.2016
Massimo Coltrinari

Libia: La National Oil Company entra in possesso dei terminal petroliferi

I Terminal della mezzaluna petrolifera libica sono entrati in possesso della National Oil Corporation, la compagnia nazionale libica secondo le promesse del generale Haftar, che il 13/14 settembre li aveva occupati, sottraendoli al controllo delle milizie fedeli a Tripoli.
La transizione ha evitato l’innesco di una pericolosa crisi, che avrebbe potuto degenerare in una devastante guerra civile incontrollata.
La National Oil Cooperation ha concordato che su tutti i pozzi ed i terminal è terminato lo stato di forza maggiore; le esportazioni ripenderanno subito, appena terminati i colloqui con gli acquirenti internazionali. La sicurezza dei siti, però, rimane in mano alle Milizie di Tobrick, che di fatto hanno sottratto questa importante fonte di ricchezza a Tripoli. La National Oil Company, in una nota, sottolinea che, secondo gli accordi di Cipro, riconosce il Governo di Tripoli come la più alta autorità esecutiva e quello di Tobruck come la più alta autorità legislativa.
A latere si è appreso che un primo cargo di petrolio sarà esportato da Zuetina e sono stati stoccati a partire dal 18 settembre 20.000 barili al giorno. Miftah Maqreef, nuovo capo delle Autorità delle Guardie delle installazioni petrolifere ha inviato un appello a tutti gli appartenenti alle milizie  legate a Tripoli di unirsi alle milizie capitanate dal generale Ibrahim Jadhran, e presentarsi a lui in nome dell’unità nazionale.
18.9.2016
Massimo Coltrinari

venerdì 23 settembre 2016

Il Grande Dilemma 2°

Ostaggi e riscatti
Belle parole, ma nessuna regola esplicita
Natalino Ronzitti
29/08/2014
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La tragica fine di James Foley, rapito dai guerriglieri dell’Isil (Islamic State in Iraq and the Levant) ha riproposto il tema del pagamento dei riscatti per salvare la vita degli ostaggi.

A quanto risulta, gli Stati Uniti non avevano aderito alla richiesta di pagamento ed avevano tentato di liberare Foley ed altri prigionieri mediante un blitz, non andato a buon fine. Altre persone sono tenute in ostaggio, tra cui taluni italiani, come le due cooperanti rapite in Siria.

Vi sono pro e contro il pagamento dei riscatti. A favore, si possono invocare motivazioni umanitarie: il pagamento consente di salvare una vita umana. Contro, militano ragioni di opportunità e motivazioni politiche: il pagamento finisce per alimentare l’industria dei riscatti ed incoraggia nuovi rapimenti, innescando un circolo vizioso; inoltre i riscatti costituiscono una delle fonti di finanziamento dei gruppi terroristici.

La questione del rapimento di persone a scopo di riscatto, noto fenomeno della criminalità organizzata, ha assunto un rilievo politico di portata internazionale con il ritorno della pirateria e le azioni di cui si sono resi protagonisti gruppi insurrezionali (tra cui l’Isil, ma non solo), che adottano il terrorismo come metodo di combattimento. A fronte di tali fenomeni manca una risposta unitaria non solo della comunità internazionale, ma anche della sua componente occidentale.

La pirateria
La pirateria è diminuita, grazie alla presenza ed al coordinamento delle flotte nei mari in cui è praticata e all’imbarco di scorte armate sui mercantili, ma non è stata definitivamente sconfitta. I moderni pirati catturano i mercantili e chiedono un cospicuo riscatto per la liberazione della nave e dell’equipaggio. L’armatore è costretto a pagare e si copre contro il rischio pirateria con apposite polizze assicurative che vengono stipulate in paesi dove non esiste una legislazione proibitiva.

A quanto pare all’armatore conviene pagare il premio all’assicurazione, piuttosto che seguire rotte non infestate da pirati (ad es. entrare in Mediterraneo attraverso il Canale di Suez, piuttosto che fare il periplo dell’Africa attraverso la rotta del Capo di Buona Speranza).

La pratica è normalmente accettata ed una Corte d’Appello inglese ne ha riconosciuto nel 2011 la liceità confermando la validità di un contratto di assicurazione che prevedeva il pagamento del riscatto. Le iniziative finora messe in campo riguardano la tracciabilità del riscatto, di regola pagato in contanti con sistemi rocamboleschi, senza andare alla radice del fenomeno imponendo una legislazione proibitiva.

Movimenti insurrezionali
La presa di ostaggi è proibita dal diritto internazionale umanitario, ma i movimenti insurrezionali non vanno tanto per il sottile e l’ostaggio è merce di scambio per ottenere la liberazione di prigionieri e /o avere un riscatto. Si tratta di pratica ben collaudata ed attuata prima che dall’ISIL dai Talebani in Afghanistan e in altri teatri.

Quanto all’Isil, la presa di ostaggi ed il riscatto costituiscono una delle fonti di finanziamento, accanto alle altre, come l’imposizione di esazioni e la vendita di petrolio. Stando ad autorevoli fonti giornalistiche, Regno Unito e Stati Uniti non pagano nessun riscatto.

Al contrario, gli altri occidentali, inclusa l’Italia, non sarebbero alieni dal farlo, quantunque venga di solito negato che alcunché sia stato versato.

L’assenza di una legislazione internazionale
Non esiste una legislazione internazionale che vieti il pagamento dei riscatti. Sono state adottate convenzioni contro la presa di ostaggi, come quella del 1973 a tutela delle persone internazionalmente protette, in particolare i diplomatici, o quella di portata più generale, come la Convenzione del 1979 contro la presa di ostaggi.

Ma tali convenzioni non riguardano specificatamente il pagamento del riscatto e dispongono solo misure volte a prevenire il fenomeno e la punizione dei responsabili. Si potrebbe solo argomentare che il pagamento del riscatto integra una condotta (proibita) di finanziamento al terrorismo internazionale, ma si tratta di argomentazione che viene spesso vanificata invocando motivazioni di tipo umanitario, cioè la salvaguardia della vita dell’ostaggio, che assume valore preminente.

Le iniziative in corso
Il fenomeno, che nel gergo ha assunto il nome di Kidnapping for Ransom (Kfr), ha ormai assunto una tale entità da non poter più essere lasciato senza regolamentazione alcuna.

Il Financial Action Task Force (Fatf), istituito nel 1989 dall’allora G7, si occupa piuttosto di lavaggio del denaro e di individuazione delle fonti del finanziamento al terrorismo.

Il Global Counterterrorism Forum (Gctf), creato su iniziativa degli Stati Uniti nel 2011 e che annovera tra i fondatori non solo 29 stati ma anche l’Unione Europea (Ue), ha adottato nella riunione di Algeri (2012) un Memorandum che contiene talune linee guida ed esempi di “buone pratiche”, quali l’impedire che le organizzazioni terroristiche possano beneficiare delle risorse finanziarie ottenute con il pagamento dei riscatti e l’invito ai governi di entrare in contatto con le compagnie di assicurazione per spiegare la pericolosità della stipulazione di polizze che prevedano il pagamento dei riscatti.

Su iniziativa del Premier britannico David Cameron, il G8 del 18 giugno 2013 ha rilasciato uno statement con cui i membri “rigettano inequivocabilmente il pagamento del riscatto ai terroristi” e fanno appello a tutti i paesi e alle società commerciali di seguire questa impostazione.

Della questione si è occupato anche il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (Cds). Di rilievo sono le risoluzioni adottate nel 2014, tra cui la 2133 che fa appello agli stati di evitare il pagamento dei riscatti e soprattutto la 2170, adottata il 15 agosto, che sul punto contiene specifiche disposizioni sia nella parte preambolare che nel dispositivo.

Anche il Consiglio dell’Ue si è espresso sul punto (Council Conclusions on Kidnap for Ransom, 23 giugno 2014). Il Consiglio condanna la presa di ostaggi allo scopo di ottenere un riscatto e “inequivocabilmente” rigetta il pagamento del riscatto e le concessioni politiche ai terroristi.

È necessario un protocollo ad hoc 
Nonostante i buoni propositi e il linguaggio aulico di talune proclamazioni, mancano iniziative concrete e una coesione in grado di porre fine o almeno contenere il fenomeno, come dimostra la differente condotta degli occidentali. Le risoluzioni adottate sono spesso delle linee guida, lasciate alla buona volontà dei governi, oppure prescrizioni molto contorte che ne diluiscono la cogenza.

Come si è accennato, la comunità internazionale si è dotata di una Convenzione contro la presa di ostaggi. È ragionevole proporre un Protocollo aggiuntivo, che disciplini in modo esaustivo la questione della proibizione del pagamento del riscatto per la liberazione degli ostaggi. L’Ue e i suoi stati membri potrebbero prendere l’iniziativa in sede di Nazioni Unite. Un’occasione per la Presidenza italiana dell’Ue?

Natalino Ronzitti è professore emerito di Diritto internazionale (LUISS Guido Carli) e Consigliere scientifico dello IAI.

Il Grande Dilemma



Riscatti
Pagare o non pagare, questo il dilemma
Antonio Armellini
16/11/2014
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Devono o no gli stati pagare un riscatto nel caso, purtroppo sempre più frequente, di rapimenti a scopo politico e di estorsione?

La risposta è certamente no, però dipende. Dipende innanzitutto dai contesti; quindi da considerazioni etiche, politiche, di opportunità. Il tutto finisce per determinare in diversa maniera i comportamenti e l’applicazione delle norme.

Sacralità della vita Vs sacralità dello stato
Vi è un primo gruppo di argomenti, di natura che potremmo definire etica. Per alcuni paesi il rispetto della sacralità della vita non può prevalere sulla tutela della sacralità dello stato, in quanto garante non solo del bene del singolo, ma di quello dell’intera comunità.

Piegarsi alla logica illegale di una richiesta di riscatto lede questa sacralità, va contro l’interesse generale e non può essere mai giustificato. A parere di altri invece, la vita costituisce un bene supremo che prevale su ogni altro valore poiché è nella sua tutela che si incarna la sacralità dello stato; la logica illegale del riscatto va respinta, ma ciò non cancella il valore primario della vita individuale.

Tagliando le cose con l’accetta, si possono grosso modo identificare con la prima lettura i paesi di cultura protestante di matrice nord-europea: Stati Uniti e Gran Bretagna in primis; con la seconda, quelli di tradizione cattolica latina (ma non solo) quali l’Italia o la Spagna.

La Francia essendo a cavallo fra le due, sta nel mezzo, sia pure con una prevalenza per quella cattolica. Tutto ciò in teoria: nella realtà accade spesso che paesi dalla posizione formale intransigente accedano a trattative di cui negano con decisione l’esistenza, a volte contro l’evidenza. In questo appare, per una volta, meno ambigua la posizione di un paese come l’Italia, che quando paga lo fa senza confermare, ma neanche smentire con eccessiva e controproducente sicurezza.

Tolleranza trattativista 
Sui comportamenti descritti incidono considerazioni di costo-beneficio e di opportunità politica. C’è insomma rapimento e rapimento: quando la minaccia viene percepita come fortemente sistemica, lo spazio per la trattativa tende a ridursi.

Molto conta l’atteggiamento dell’opinione pubblica nel fissare l’asticella della “tolleranza trattativista”: qui entrano di nuovo in gioco le considerazioni etiche di cui abbiamo parlato. Il rapimento e la decapitazione di prigionieri inglesi e americani da parte dell’autoproclamatosi Stato islamico (Is) ha suscitato indignazione e ha al contempo compattato l’opinione maggioritaria nel rifiuto di qualsiasi compromesso: il sacrificio dei singoli è un orrore che esige vendetta, ma non può determinare la compromissione della solidità dello stato nel tutelare la propria integrità.

Diverso il caso, per fare un esempio, dell’atteggiamento italiano per le due volontarie italiane partite per la Siria senza adeguate preparazione e copertura, e rapite in circostanze mai chiarite del tutto. In questo caso, agli occhi dell’opinione pubblica l’esigenza di ottenerne il rilascio fa premio su qualsiasi altra considerazione: la trattativa non appare come una prova di debolezza bensì come adempimento di un canone etico che ne giustifica l’azione.

La qualità dei rapiti è anch’essa rilevante. Per una giornalista importante come Giuliana Sgrena si mobilitò - con le conseguenze tragiche che conosciamo - un apparato rilevante. Per i tecnici rapiti in Libia l’attenzione è inevitabilmente minore. Può sembrare cinico ma, nella valutazione di costo-benefico, la capacità di mobilitazione in termini politici e di opinione pubblica è un fattore importante non meno degli altri.

Cercasi risposta coordinata della comunità internazionale 
C’è poi una sorta di graduatoria informale della pericolosità della minaccia posta dei rapitori rispetto all’interesse nazionale. Come ha osservato su queste pagine Natalino Ronzitti, la pirateria per così dire “commerciale” è talmente diffusa che gli armatori la includono fra i rischi assicurabili della loro attività: non si reclama l’intervento diretto dello stato e si provvede altrimenti (a volte lo stato si mette in situazioni di inutile ambiguità assumendo compiti non suoi.

Se la nostra Marina non avesse deciso di far imbarcare su navi mercantili dietro pagamento propri militari con compiti assimilabili a quelli di “contractors sui generis”, non ci troveremmo oggi nel pasticcio dei nostri marò).

Gli atti terroristici compiuti nel contesto di conflitti intra- e inter-statuali non a carattere globale - il Mali, la Nigeria, la Libia - prevedono un livello di risposta commisurato all’importanza che il paese vittima degli stessi attribuisce al proprio ruolo nella regione: vada per tutti l’esempio della fermezza mostrata da Parigi rispetto alle crisi nell’ex Africa occidentale francese.

Vi sono le minacce sistemiche globali - Al Qaida, Is, ma anche Boko Haram - che richiederebbero una risposta coordinata da parte della comunità internazionale nel suo complesso; il fatto che essa sia stata spesso zoppicante costituisce un potente incentivo per queste forme di violenza e mette in mostra una debolezza che dovrebbe indurre a riflettere su quali siano le caratteristiche e i limiti di un sistema internazionale di sicurezza nel quale manchi un centro dì imputazione - e di potere - egemone e perciò stesso unitario.

Fin quando i rapitori saranno eroi per alcuni, e criminali per altri, un canone condiviso per contrastare quello che, per altri versi, è un fattore importante di devianza dalla legalità internazionale sarà molto difficile.

Si spiega così perché aldilà degli impegni politici e delle dichiarazioni di buona volontà, un sistema pattizio che definisca regole ed impegni comuni non si sia di fatto mai mostrato efficace.

L’alternativa fra pagare o non pagare appare difficilmente riconducibile all’ambito della certezza giuridica per rientrare in quello del pragmatismo - saggezza, prudenza, cinismo - della politica. Come sempre quando si entri in questa dimensione, vale il detto che la politica propone la peggiore delle soluzioni; eccezion fatta per tutte le altre.

Antonio Armellini, Ambasciatore d’Italia, è commissario dell’Istituto Italiano per l'Africa e l'Oriente (IsIAO).

Libia. Rapimento di due italiani


Rapimento di tre tecnici occidentali, tra cui due italiani.
Due tecnici italiani, Bruno Cacace e Danilo Calogero, che lavoravano all’eroporto di Ghat  come dipendenti della ditta Con.I.Cos di Mondov’ ed un canadese, sono stati rapirti il 20 settembre da ignoti mentre si trovavano sulla via che collega la zona di Tahala e Ghat, zona della Lbia sudoccidentale al confine con l’Algeria. I rapitori, al momento, vengono identificati con “un piccolo gruppo fuorilegge” e non terroristi di Al Qaeda, Il rapimento non  è stato ancora rivendicato. Il sindaco di Ghat Koman Saleh, ha convocato una riunione di emergenza con tutti gli apparati di sicurezza e militari locali per studiare la situazione, situazione anomal peer Ghat
20.9.2016
Massimo Coltrinari

Libia: Al Sarray al Cairo

Libia

Usufruendo  delle operazioni delle Milizie di Misurata per la conquista di Sirte contro elementi dell’IS il generale Haftar che non riconosce il governo di accordo nazionale presieduto da Fayez Al Sarraj, con le sue forze sta investendo e conquistando la cosiddetta mezzaluna petrolifera, ovvero i terminal petroliferi e le aree dei pozzi petroliferi che li alimentano, situata ad ovest di Ahedabia ( Zveitina, Ras Lanuf, Es Sider, Al Sidra e Brega per citare i i principali). Questa iniziativa mette in forte discussione un eventuale accordo tra le componenti politiche libiche, per la ricostruzione di una Libia come stato nazionale ed integro, con la sua sovranità, e il suo unico governo, rappresentate da Al Sarray (Tripoli) ed il Parlamento di Tobruck, a cui Hafar fa riferimento.
La questione del petrolio è cruciale per la Libia e la battaglia per il controllo della mezzaluna petrolifera dei pozzi petroliferi e dei terminal rischia di sfociare in una vera e propria guerra civile, deleteria per tutte le parti. E’ da evitare a tutti i costi un confronto sul campo delle forze di Misurata e le truppe di  Haftar. 
In questo momento si profila il pericolo che l’offensiva del generale Haftar mette a rischio la strategia di sopravvivenza del Governo di Al Sarraj, alla disperata ricerca di risorse finanziarie. E’ noto che dalla caduta del regime di Gheddafi la produzione petrolifera libica è crollata: oggi è su 200.000 barili al giorno, pari al 10% della produzione giornaliera del 2011. Inoltre si deve far conto del prezzo del petrolio sui mercati internazionali che è intorno al 50 dollari a barile, leggermente più alto di quello della media degli ultimi mesi, ma ancora molto basso per sanare i problemi libici.
Le dichiarazioni che provengono da Tripoli sono tutti rivolte a scongiurare un intervento straniero contro Haftar o altre milizie presenti in Libia per motivi politici, regionali o ideologici. Auspica un incontro con le parti in Libia al fine di appianare ogni divergenza al tavolo diplomatico. A rafforzare questa posizione si sono aggiunti due membri del Consiglio di Presidenza del Governo di accordo nazionale libico di Tripoli, Ali Al Qatrani e Fathi Al Majbari, che hanno ribadito ogni contrarietà ad un intervento esterno nella mezzaluna petrolifera
15.9.2016
Massimo Coltrinari

lunedì 19 settembre 2016

Libia: La valutazione del C.E.S.I.

Intrappolata nel perdurante conflitto tra il governo internazionalmente riconosciuto di Tripoli (propriamente detto Consiglio Presidenziale, CP ) e quello di Tobruk (formalmente Camera dei Rappresentanti, CR), ad agosto, la guerra civile libica non ha conosciuto significativi scossoni politici. La profonda reticenza alla cooperazione e al compromesso mostrata da entrambi i contendenti, alimentata sia dalla lottizzazione delle principali cariche istituzionali nel futuro assetto politico nazionale sia dai conflitti tra tribù e milizie, potrebbe rendere decisamente complicata l’entrata in vigore degli accordi di Skhirat e prolungare i tempi del negoziato nei prossimi mesi. Dunque, la nascita dell’autentico Governo di Unità Nazionale (GUN) è inevitabilmente legata alla fiducia di Tobruk al progetto del leader del CP Serraj, ad oggi ben lungi dall’essere concessa.

C.E.S.I ( cesiòcesi-italia.org) 6 settembre 2016. Report:

I recenti sviluppi della guerra civile libica e del 
conflitto siriano

domenica 18 settembre 2016

Libia. Incontri al Cairo


Il presidente designato del Governo di accordo nazionale libico Fayer Al Sarraj è al Cairo per una serie di incontri istituzionali, tra cui quello con il Presidente della Camera dei Rappresentanti , il parlamento libero di Tobruck, Aqila Saleh. Tema dell’incontro la discussione sulla composizione della lista dei ministri del Nuovo Esecutivo, dopo che il mese scorso la Camerea dei rappresenati di Tobruck ha negato la fiducia al Governo di tripli. Sarà presente il rappresentate dell’ONU per la Libia, martin Kobler. Al Sarray incontrerà anche esponenti del governo egiziano, che sostiene il Parlamento di Tobruck
17.9.2016
Massimo Coltrinari

giovedì 15 settembre 2016

LIBIA: la contesa sulla mezzaluna petrolifera

Libia

Usufruendo  delle operazioni delle Milizie di Misurata per la conquista di Sirte contro elementi dell’IS il generale Haftar che non riconosce il governo di accordo nazionale presieduto da Fayez Al Sarraj, con le sue forze sta investendo e conquistando la cosiddetta mezzaluna petrolifera, ovvero i terminal petroliferi e le aree dei pozzi petroliferi che li alimentano, situata ad ovest di Ahedabia ( Zveitina, Ras Lanuf, Es Sider, Al Sidra e Brega per citare i i principali). Questa iniziativa mette in forte discussione un eventuale accordo tra le componenti politiche libiche, per la ricostruzione di una Libia come stato nazionale ed integro, con la sua sovranità, e il suo unico governo, rappresentate da Al Sarray (Tripoli) ed il Parlamento di Tobruck, a cui Hafar fa riferimento.
La questione del petrolio è cruciale per la Libia e la battaglia per il controllo della mezzaluna petrolifera dei pozzi petroliferi e dei terminal rischia di sfociare in una vera e propria guerra civile, deleteria per tutte le parti. E’ da evitare a tutti i costi un confronto sul campo delle forze di Misurata e le truppe di  Haftar.  
In questo momento si profila il pericolo che l’offensiva del generale Haftar mette a rischio la strategia di sopravvivenza del Governo di Al Sarraj, alla disperata ricerca di risorse finanziarie. E’ noto che dalla caduta del regime di Gheddafi la produzione petrolifera libica è crollata: oggi è su 200.000 barili al giorno, pari al 10% della produzione giornaliera del 2011. Inoltre si deve far conto del prezzo del petrolio sui mercati internazionali che è intorno al 50 dollari a barile, leggermente più alto di quello della media degli ultimi mesi, ma ancora molto basso per sanare i problemi libici.
Le dichiarazioni che provengono da Tripoli sono tutti rivolte a scongiurare un intervento straniero contro Haftar o altre milizie presenti in Libia per motivi politici, regionali o ideologici. Auspica un incontro con le parti in Libia al fine di appianare ogni divergenza al tavolo diplomatico. A rafforzare questa posizione si sono aggiunti due membri del Consiglio di Presidenza del Governo di accordo nazionale libico di Tripoli, Ali Al Qatrani e Fathi Al Majbari, che hanno ribadito ogni contrarietà ad un intervento esterno nella mezzaluna petrolifera
15.9.2016
Massimo Coltrinari

geografia2013@libero.it

venerdì 2 settembre 2016

LIBIA. Ancora difficoltà

Libia
Sarraj e la fiducia negata 
Umberto Profazio
31/08/2016
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Il 23 agosto scorso il Parlamento libico ha negato la fiducia, con un voto a sorpresa, al governo di unità nazionale di Fayez al-Sarraj. Fonti locali sostengono che la decisione di porre il voto di fiducia all’ordine del giorno del Parlamento di Tobruk è stata annunciata dal Presidente della House of Representatives, HoR, Agila Saleh solo dopo aver certificato che il quorum di 101 deputati era stato raggiunto, causando momenti di forte tensione (alcuni deputati sono anche usciti dall’aula per protesta).

L’ipotesi di un’imboscata parlamentare non è da escludere, ove si consideri che negli ultimi otto mesi la HoR ha a più riprese rifiutato di votare sul governo Sarraj, come previsto dagli accordi firmati lo scorso 17 dicembre a Skhirat, in Marocco. L’accordo e l’intero processo di dialogo politico sono stati contestati dal parlamento di Tobruk che ha criticato il Government of National Accord, Gna, in quanto organo imposto dalle Nazioni Unite.

A nulla sono valse le pressioni dei principali partner internazionali, alcuni dei quali hanno approvato sanzioni personali contro i principali responsabili dello stallo politico libico (tra cui lo stesso Saleh). Tuttavia, nonostante i ritardi e le opposizioni, negli ultimi mesi il processo di radicamento del Gna sembrava procedere.

Dopo essere letteralmente sbarcato a Tripoli da Tunisi lo scorso 30 marzo, l’esecutivo di Sarraj è riuscito a eclissare il Governo di salvezza nazionale del Premier Khalifa al-Ghwell, ormai ridotto a un ruolo di comparsa anche a causa della trasformazione del Congresso generale nazionale (il parlamento rivale di Tripoli riesumato nel 2014) nel Consiglio di Stato, organo consultivo previsto dagli accordi di dicembre.

Sarraj alla riconquista di Sirte 
A conferire maggiore legittimità al Gna ha tuttavia contribuito l’operazione con la quale il governo di Sarraj ha scatenato l’offensiva militare nei confronti del cosiddetto “stato islamico”. Lanciata nel maggio scorso, l’operazione ha costretto l’Isis alla difensiva, fino al lungo assedio di Sirte che sembra ormai essere alle battute conclusive. Per cui il voto del parlamento di Tobruk giunge con un tempismo inaspettato. Eppure, a guardare più a fondo, nelle settimane precedenti il governo di Sarraj è stato sottoposto a forti pressioni interne ed esterne che hanno messo in evidenza le criticità dell’esperimento di riconciliazione condotto dalle Nazioni Unite.

Lo spartiacque può essere facilmente individuato nella caduta (o nell’abbattimento, secondo quanto rivendicato dalle Benghazi Defence Brigades, una nuova milizia islamista comparsa negli ultimi mesi in Cirenaica) di un elicottero Lna con quattro persone a bordo lo scorso 17 luglio a Magrun, vicino Benghazi. Inizialmente passato sotto traccia, l’evento ha invece prodotto conseguenze inaspettate.

Pochi giorni, dopo il governo francese ha comunicato la morte di tre agenti delle proprie forze speciali nell’incidente, confermando ufficialmente la propria presenza in Libia e l’attiva collaborazione di numerosi governi occidentali con il generale Khalifa Haftar. A seguito di ciò, numerose proteste si sono diffuse in Libia, sia contro il governo francese che contro il Gna, ritenuto incapace di far rispettare la sovranità nazionale.

Le forti pressioni interne e esterne 
A Tripoli la situazione ha rischiato di andare fuori controllo, con Sarraj costretto a condannare la presenza di forze straniere sul territorio libico, a convocare l’ambasciatore francese e a decretare lo stato di emergenza a fine luglio per fronteggiare le proteste.

D’altra parte, l’inizio dei raid aerei americani contro l’Isis a Sirte il 1° agosto ha messo a nudo lo scarso peso politico del Gna all’interno del panorama libico. Costretto a criticare il governo francese per timori di ripercussioni interne e a giustificare l’intervento americano come richiesto e coordinato con il Gna, Sarraj ha mostrato un’ambivalenza politica che trova poche giustificazioni nella prevedibile vicinanza di Parigi con Haftar.

Inoltre, il Gna non è riuscito a ‘rivendere’ all’opinione pubblica interna il successo dell’operazione anti-Isis. Al contrario, l’offensiva ha causato forti dissidi interni. Le milizie di Misurata, colonna portante dell’operazione, hanno rimproverato a Sarraj di aver sostenuto da sole il costo della guerra al califfato (in particolare in termini di vite umane, con più di 350 combattenti morti e 2.000 feriti) e di non aver ottenuto dal Gna alcun aiuto in armi e munizioni.

Verso un nuovo governo di unità nazionale
Ciò potrebbe divenire un problema in futuro, quando ci si siederà al tavolo delle trattative per la formazione di un nuovo governo di unità nazionale. L’HoR ha infatti riconosciuto il Consiglio presidenziale (organo esecutivo previsto dagli accordi di Skhirat), invitandolo a presentare un nuovo governo, più snello, per sottoporlo a votazione. È prevedibile che durante la formazione del nuovo esecutivo Misurata esiga una maggiore rappresentatività di quella già accordata nei governi precedenti, rivendicando il peso sostenuto nella guerra all’Isis.

Le sfide sono ancora numerose. Nonostante la caduta di Sirte sia attesa da giorni, ciò potrebbe non bastare per debellare completamente la minaccia terroristica. Un recente rapporto delle Nazioni Unite evidenzia il rischio di una dispersione dei militanti jihadisti da Sirte verso il sud della Libia e i Paesi limitrofi, evidenziando l’importanza di un controllo più efficace delle frontiere.

In tale contesto è da rilevare la recente nomina di Vincenzo Tagliaferri a capo della European Border Assistance Mission (Eubam) per la Libia. Istituita nel 2013, la missione europea ha il compito di sostenere le autorità libiche nei settori della giustizia, migrazione, controllo delle frontiere e anti-terrorismo.

Dal punto di vista politico, invece, molto dipenderà dalla scelta dei nomi per il nuovo esecutivo (in particolare per il dicastero della Difesa) e dalle trattative sull’art. 8 dell’accordo di Skhirat relativo alla nomina delle alte cariche dell’esercito. La situazione resta quindi sostanzialmente fluida. D’altra parte, il voto del 23 agosto potrebbe anche aprire una nuova fase, ricca di opportunità.

La prossima fine dello “Stato Islamico” a Sirte contribuirà senza dubbio a ridurre le numerose interferenze esterne che hanno evidentemente causato più danni che benefici al processo di riconciliazione libico. E la presentazione nelle settimane scorse della bozza finale della Costituzione redatta dalla commissione predisposta, potrebbe fornire la cornice ideale per discutere del futuro ancora incerto del Paese.

Umberto Profazio è dottore di ricerca in Storia delle Relazioni Internazionali presso l’Università di Roma “Sapienza”, Maghreb Analyst per la NATO Defence College Foundation e Junior Researcher per il Centre for Geopolitics and Security in Realism Studies. Il suo primo e-book “Lo Stato Islamico: origini e sviluppi”, è edito da e-muse.