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Metodo di Ricerca ed analisi adottato


Il medoto di ricerca ed analisi adottato è riportato suwww.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com

Vds. post in data 30 dicembre 2009 seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità delloStato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento al medesimo blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

lunedì 23 dicembre 2013

Auguri


A tutti gli amici e lettori di questo blog



I più sinceri auguri di un Buon Natale e di un felice 2014

mercoledì 18 dicembre 2013

Mali: arresto di Sanogo

Mali
Mali 130
Il 26 novembre è stato arrestato a Bamako il Generale Amadou Haya Sanogo, leader del colpo di Stato militare in Mali del 22 marzo 2012, con le accuse di omicidio e complicità in omicidio. I capi d’imputazione si riferirebbero alle uccisioni e alle sparizioni di soldati in seguito agli scontri dell’aprile 2012 tra i militari guidati da Sanogo e le truppe lealiste dell’esercito maliano. L’arresto è stato disposto in seguito al blitz delle forze governative nell’abitazione di Sanogo, che nelle scorse settimane si era più volte rifiutato di apparire davanti al giudice per essere interrogato sulla morte di sei soldati.
Il colpo di Stato militare guidato da Sanogo aveva portato alla destituzione del Presidente Amadou Toumani Touré, colpevole secondo i golpisti di non aver saputo gestire le rivolte dei tuareg nelle regioni settentrionali del Mali. Sanogo si era poi autoproclamato leader del Comitato Nazionale per il Ristabilimento ! della Democrazia e la Ricostituzione dello Stato (CNRDRS), ponendosi a capo della giunta militare che ha guidato il Paese fino al 6 aprile 2012. In seguito all’intervento dell’Organizzazione Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS), Sanogo è stato costretto a dimettersi, riconsegnando il potere alle autorità civili. Egli, tuttavia, non è mai uscito dalla scena politica e ha continuato ad influenzare le istituzioni del Paese da Kati, campo militare e roccaforte dei golpisti a 15 km da Bamako. L’arresto di Sanogo consente al neoeletto Presidente Ibrahim Boubacar Keita di ridimensionare il potere di una personalità influente, che gode ancora del sostegno di parte dei militari, nel tentativo di riprendere il pieno controllo sulle forze armate e avviare una difficile normalizzazione interna sostenuta da Minusma (Mission multidimensionnelle intégrée des Nations Unies pour la stabilisation au Mali).

lunedì 16 dicembre 2013

Africa: Economist Intelligence Unit: nuovo strumento

l'Economia dell'Africa continua a crescere ad un ritmo rapido e sempre più, questo sta diventando più di una semplice storia merce. L'Africa ha raggiunto il picco l'interesse di aziende che cercano di espandere le proprie attività, ma la domanda ora è dove investire? 

L'Africa è un immenso continente con molte nazioni diverse. Per rispondere a questa domanda, l'anno scorso il EIU ha sviluppato uno strumento Africa internazionali, che mette a confronto i principali indicatori attraverso 25 dei più rapida crescita delle città in Africa. 

Questi indicatori chiave includono la popolazione e la demografia, il reddito e le spese, la demografia aziendali e gli indicatori di stile di vita, e costo della vita. 

Abbiamo appena aggiunto in quattro nuove città chiave per lo strumento, permettendo ai dirigenti di dimensioni fuori mercato per i loro prodotti di oggi e per il futuro.


Coltivazione Africa Città da The Economist Intelligence Unit
L'Economist Intelligence Unit aiuta gli imprenditori a prepararsi per opportunità, consentendo loro di agire con fiducia nelle decisioni strategiche. 

(ulteriori informazioni su: Commenti al post qui inserito oppure scrvere a geografia2013@libero.it

Sudan. Instabilità politica

 Rimpasto di governo  - Si parla di rischio Sudan
11 dicembre 2013




L'8 dicembre, il presidente Omar al-Bashir, ha annunciato un importante rimpasto di governo. Questo è il primo rimpasto dopo la fine del governo di unità nazionale, in cui il National Congress Party (NCP) di potenza in comune con il Movimento di liberazione del popolo sudanese (SPLM) dal 2005 fino alla secessione del Sud Sudan in 2011.The rimpasto è un tentativo di rispondere alle sfide poste dall'economia naufragio e le divisioni all'interno del NCP.
Il cambiamento più evidente nel governo è la rimozione di Ali Uthman Mohammed Taha dalla carica di primo vice-presidente, incarico che ha ricoperto dal 1998, oltre a servire come secondo vice-presidente nel 2005-2011. Signor Taha era capo negoziatore del Sudan per l'Accordo di Pace 2005 completo, che ha formalmente concluso la guerra civile che aveva avuto luogo in Sudan dal 1983, e da cui ha maturato qualche credito, almeno a livello internazionale. Signor Taha è stato sostituito da Bakri Hassan Saleh, un generale dell'esercito che è un fedelissimo veterano del colpo di stato che ha portato il signor Bashir al potere nel 1989, e chi si è mosso attraverso vari difesa e sicurezza posizioni di rilievo nei 24 anni successivi.
Altre modifiche chiave del governo intraprese
Il prossimo cambiamento più evidente nel gabinetto è la rimozione di Nafi Ali Nafi dalla posizione di assistente del presidente, che aveva tenuto per molti anni e utilizzato per esercitare una notevole influenza sul presidente e il governo nel suo complesso. Come l'onorevole Taha, il sig Nafi è un veterano politico che è venuto fuori dalla parte dei vincitori della scissione del partito di governo nel 1999. Tuttavia, egli è sempre stato una figura più falco e la sicurezza-minded, che ha vinto alcuni simpatizzanti di fuori degli ambienti integralisti. Dato il loro peso politico, è possibile che il signor Bashir può tentare di mantenere almeno il sig Nafi, se non il signor Taha pure, all'interno del suo cerchio di influenza, dando loro nuovi ruoli (come ha fatto in passato, con l'aggiunta di persone a la sua lista di "consiglieri presidenziali" ufficiali).
Altre notevoli cambiamenti nel cabinet includono:
  • Makawi Awad è promosso dalla testa del Sudan Ferrovie per il ministro del petrolio, in sostituzione di Awad Ahmed al-Jaz (che aveva a lungo presieduto industria petrolifera del Sudan);
  • Badr al-Din Mahmoud Abbas è promosso dal vice governatore della Banca Centrale del Sudan al ministro delle finanze e dell'economia nazionale, in sostituzione di Ali Mahmoud Abdel-Rasool;
  • Hassabo Abdel-Rahman è promosso dal commissario aiuti umanitari secondo vice-presidente, in sostituzione di Al-Haj Adam Yousif, e
  • Mu'ataz Musa è promosso da una posizione agricoltura ministro delle risorse di energia elettrica e acqua, in sostituzione di Osama Abdullah Mohammed al-Hussan (che è stato una figura importante nei grandi progetti di dighe e di energia elettrica negli ultimi dieci anni).
Logica alla base del rimpasto
Il rimpasto è essenzialmente un tentativo dell'on Bashir per rispondere alla doppia sfida della difficoltà all'interno del NCP di governo e l'economia di naufragio. Infatti, durante il giuramento del nuovo governo il 10 dicembre, il signor Bashir ha riconosciuto che le persone erano desiderosi di vedere il cambiamento e ha detto che non era stato facile scegliere un nuovo governo. Come tale, c'è qualche parallelo con il Sud Sudan, dove nel mese di luglio il presidente, Salva Kiir Mayaardit, ha svolto la sua ancora più grande rimpasto, che comprendeva la rimozione dall'incarico l'uomo che aveva servito come vice-presidente in quanto il post è stato creato nel 2005.
Con così tanti cambiamenti, anche in posti con responsabilità economiche, rimpasto del signor Bashir può dare il suo governo una piccola possibilità di prendere le distanze dalla decisione impopolare a settembre per tagliare i sussidi ai combustibili. Tuttavia, tale possibilità svanirà in fretta, soprattutto se il governo non riesce a fornire tutti i motivi di ottimismo circa le prospettive economiche.
Qual è il prossimo?
Dal 1989, la regola del signor Bashir è sopravvissuto a numerosi cambiamenti nella line-up dei politici intorno a lui. Nel 1998 il suo primo vice-presidente, Zubair Mohammed Salih, è stato ucciso in un incidente aereo ed è stato sostituito dal sig Taha. Nel 1999 il signor Bashir sopravvissuto alla partenza di Hassan al-Turabi, che era stato una forza guida dietro i primi dieci anni di Mr Bashir di regola dal partito e del governo, in seguito conflitto tra i due uomini.
Inevitabilmente, le ultime modifiche pregano la questione di quando e come lo stesso signor Bashir lascerà il potere. Fisicamente, nonostante alcuni problemi di salute nel 2012, il signor Bashir mostra pochi segni di necessità di lasciare l'ufficio. Tuttavia, in termini di sua volontà di governare, Bashir ha più volte indicato che potrebbe preferire di non rimanere presidente oltre le prossime elezioni, che è dovuto nel 2015, anche se c'è una significativa probabilità che invertirà questa decisione. Al contrario, i funzionari NCP hanno indicato che il partito può preferire il signor Bashir riposare per un altro mandato.
Tuttavia, è anche possibile che il partito sarà in grado di gestire una transizione fluida verso un successore al signor Bashir in caso di necessità, sia nel 2015 o in un altro momento. Non vi è alcun culto della personalità attorno al signor Bashir, né ha fosse stato governare qualsiasi membro della famiglia a succedergli. Inoltre, prima di salire verso il basso dovrebbe essere in grado di garantire una certa protezione locale dalla esistente Tribunale Penale Internazionale mandato d'arresto emesso contro di lui. Così, ad un certo punto può ben rientrare alla politica di partito per trovare un candidato per sostituire lui e per cercare di garantire la continuità dominio del NCP.
Economist Intelligence Unit
Fonte: The Economist Intelligence Unit
(traduzione automatica dall'inglese. Chi non desidera questo post è pregato di comunicarlo a geografia2013@libero.it. Commenti: utilizzare la casella annessa al post su www.coltrinariatlanteafrica.blogpost.com)

venerdì 13 dicembre 2013

Libia: carenza di sicurezza. Milizie fuori controllo

Libia
libia 130
Continuano gli scontri in Libia tra Esercito e milizie paramilitari. Gli episodi più cruenti, negli ultimi giorni, si sono verificati a Bengasi, dove le forze regolari hanno cercato di eliminare la presenza in città di Ansar al-Sharia, milizia fondamentalista islamica. Seppur con difficoltà, i ribelli sono momentaneamente stati allontanati dal centro ed ora stazionano nella periferia pronti a sferrare una controffensiva. Ansar al-Sharia era già stata estromessa da Bengasi nell’ottobre del 2012, dopo che si era resa responsabile dell’assalto al consolato statunitense nel quale aveva perso la vita l’ambasciatore americano Chris Stevens, ma era riuscita nei mesi successivi a reimporre la propria presenza in città. Come allora, anche negli ultimi giorni i cittadini di Bengasi hanno manifestato contro la presenza della milizia islamista.
Gli scontri contro Ansar al-Sharia rientrano nel quadro di un più ampio tentativo da parte delle ! Forze Armate di ristabilire l’autorità statale su importanti fette di territorio finite sotto il controllo di milizie armate, spesso reduci dal conflitto contro il regime di Muhammar Gheddafi ma contraddistinte da agende e obiettivi disparati. In taluni casi, il governo è riuscito a trovare delle labili intese – soprattutto economiche - per esercitare una qualche forma di controllo sui leader delle milizie. Nel caso di Ansar al-Sharia, che disconosce in toto l’autorità del governo libico, le possibilità di giungere a un compromesso tra la leadership del gruppo e le autorità di Tripoli restano assai esigue.

martedì 3 dicembre 2013

Africa: giornata di studio dedicata ai Migranti

Tam Tam D’Afrique Onlus La invita a “Un Passo verso l’altro”Seminario gratuito su Media e Integrazione
Sabato 7 Dicembre 13:00 – 17:30

Il seminario pomeridiano fa parte della giornata organizzata in vista dell’Azione Globale per i diritti dei Migranti e in chiusura dell’anno Europeo sulla cittadinanza. 
Vedrà la partecipazione di esperti della comunicazione (Radio RAI, Radio France Internationale, Carta di Roma …) che forniranno elementi pratici per migliorare la comunicazione in un mondo ormai interculturale. 
In mattinata saranno aperti i laboratori tenuti da seconde generazioni di migranti e poi presentati nel pomeriggio.  
Per info, programma e prenotazioni dei laboratori<http://unpassoversolaltro.eventbrite.com/:  
info@tamtamdafrique.org <mailto:info@tamtamdafrique.orgo Facebook: TamTamD’Afrique Onlus <https://www.facebook.com/TamTamDAfriqueOnlus

Auditorium dell’American University of Rome - Via P. Roselli, 16,
Sabato, 7 Dicembre 13:00 – 17:30 
Il seminario inizierà dopo il buffet 

La giornata è organizzata in collaborazione con il Center for the Study of Migration and Racism in Italy dell’American University of Rome, con patrocinio di Azione Globale Per i Diritti dei Migranti<file:///C:/Users/Bea/Dropbox/(IN)VISIBLE%20CITIES/11%20FORMAZIONE/dec2013%20MEDIA%20E%20INTEGRAZIONE/FINAL/globalmigrantsaction.org>, Redani <http://www.redani.org/. Sponsor: Ria Money Transfer <http://www.riamoneytransfer.com/>


-- 
:: Beatrice Ngalula Kabutakapua
:: 
Foreign Correspondent || Researcher
:: 
Blog: www.balobeshayi.com <http://balobeshayi.com/:: Skype: beka.trixie :: Phone: +1-424-259-1231
::
 Twitter: @Kabutakapua <https://twitter.com/Kabutakapua

martedì 26 novembre 2013

Etiopia: la grande diga della rinascita sul Nilo. Egitto in fibrillazione

Etiopia
Etiopia 129
Il 19 novembre il Primo Ministro etiope Hailemariam Desalegn e il Presidente egiziano Adli Mahmud Mansur si sono incontrati a margine del Summit afro-arabo in Kuwait per discutere le implicazioni economiche e politiche della costruzione della diga etiope sul fiume Nilo. I colloqui, tuttavia, non hanno portato a nessun accordo tra i due leader. 
Lo scorso maggio l’Etiopia ha avviato la costruzione della Grande Diga della Rinascita, destinata a produrre energia idroelettrica a partire dal 2017. La diga devia le acque del Nilo Azzurro, uno dei maggiori affluenti del Nilo principale, che nasce in Etiopia e si unisce al Nilo Bianco in Sudan. Il grande progetto idroelettrico etiope è da alcuni anni causa di frizioni con l’Egitto, al quale i trattati sullo sfruttamento del bacino idrico nilotico del 1929 e del 1959 hanno finora assicurato lo sfruttamento del 55% delle sue acque, costringendo gli altri Paesi attraversati dal fiume (Sudan, Burundi, Ruanda, Uganda, Tanzania e Sud Sudan) a dividersi la restante quota. Addis Abeba ha sempre contestato questa ripartizione, reclamando che l’84% delle acque del Nilo ha origine in territorio etiope. L’Egitto si è opposto alla costruzione della diga, temendo che la deviazione delle acque danneggi i! l settore agricolo e sottragga fondamentali risorse idriche ad una popolazione in costante crescita; lo scorso agosto, sotto il governo Morsi, la tensione tra Il Cairo e Addis Abeba aveva raggiunto i livelli di guardia, quando una fuga di notizie dalla Stato Maggiore egiziano aveva mostrato la presenza di una corrente interventista che suggeriva un’azione ostile per rallentare i lavori di costruzione della Diga della Rinascita.

sabato 23 novembre 2013

Egitto. Una calda estate da comprendere. Documetazione

• Egypt: Back to Square One?by S.Colombo and A.Meringolo

The events of 3 July 2013 have cast a shadow over Egypt's future and opened a new phase in the country's transition. While opinions in Egypt are deeply divided over whether the new situation is the result of a military-dictated "soft coup" or the outburst of a reinvigorated, grassroots revolutionary momentum, or both, the challenges to a veritable democratic and pluralistic transition process are man ifold. Stopping the bloodshed and easing the tensions and polarization are only the first steps. A process of national reconciliation accompanied by an inclusive revision of the constitution need to be pursued by the new interim government. The new leadership should also find ways to engage the excluded Muslim Brotherhood facilitating its inclusion in Egypt's political institutions.

mercoledì 13 novembre 2013

Attività UAV in Somalia

Somalia
Somalia 126
Lo scorso 29 ottobre due alti esponenti del gruppo terrorista islamico al-Shabaab sono stati uccisi da un raid aereo condotto da un velivolo a pilotaggio remoto MQ-1 Predator statunitense. L’attacco è avvenuto vicino al villaggio di Jilib, nei pressi di Barawe, circa 350 chilometri a sud di Mogadiscio, uno dei principali avamposti di al-Shabaab nel Paese. Una delle vittime è Ibrahim Alì Abdi, conosciuto anche con lo pseudonimo di Anta Anta, considerato uno dei principali esperti del gruppo nella fabbricazione di esplosivi e perciò sospettato di aver contribuito a vari attacchi suicidi e dinamitardi nel Corno d’Africa, tra cui quello del 2008 contro le Nazioni Unite e quello de 2012 contro il palazzo presidenziale, entrambi a Mogadiscio. Inoltre, Anta Anta è sospettato di aver ricoperto un ruolo determinante anche nell’attacco contro il centro commerciale Westgate Mall di Nairobi dello scorso settembre. Si tratta di un successo per l�! �intelligence e la Difesa statunitensi dopo le critiche seguite al fallimento, a inizio ottobre, del raid delle Forze Speciali a Barawe. In quell’occasione, lo scopo era di neutralizzare Abdukadir Mohamed Abdukadir, detto “Ikrima”, uno dei leader più influenti di al-Shabaab e responsabile delle operazioni nel Corno d’Africa, riuscito a sfuggire al raid.


martedì 12 novembre 2013

Istituto Affari Internazionali. Un nuovo libro

New Publications on the Gulf Region and the
Role of the European Union


The Istituto Affari Internazionali (IAI), together with partner institutions, have published a series of new research papers and commentaries exploring different themes in the evolving relationship between the EU and the countries of the Gulf Cooperation Council (GCC).

A complete list and access to the research is available here.

Published in the context of the two-year project Sharaka – Enhancing Understanding and Cooperation in EU-GCC Relations, the research tackles themes ranging from trade and energy relations, to maritime security, the mediafinance and higher education.

Coordinated by IAI and funded by the European Commission, the project aims to promote relations between Europe and the Gulf region by carrying out policy-oriented research, dissemination and outreach activities as well as providing opportunities for the exchange and training of young researchers and academics from Europe and GCC countries.

For more information about the project, please visit the Sharaka website.
Other recent IAI publications on the Gulf region include:

Silvia Colombo (ed.), Italy and Saudi Arabia, Confronting the Challenges of the XXI Century, IAI Research Paper 10, September 2013.

Riccardo Alcaro and Andrea Dessì (eds.), The Uneasy Balance, Potential and Challenges of the West’s Relations with the Gulf States, IAI Research Paper 8, April 2013.
____________________________________
Istituto Affari Internazionali (IAI) via A. Brunetti 9, I-00186 Roma

Tel.        +39 063224360 (Switchboard)
Fax        +39 063224363
E-mail   iai@iai.it
Web       www.iai.it
Twitter  @iaionlie
_____________________________________

sabato 2 novembre 2013

Volume: La Magistratura e la "rivoluzione" in Egitto da Daniela Pioppi

Paper preparato per l'Istituto Affari Internazionali (IAI) nel quadro del progetto"L'Egitto in transizione", agosto 2013. Astratto Il ruolo vitale della magistratura egiziana, nei due anni e mezzo dopo l'inizio della "rivoluzione" del 25 gennaio 2011, è stato ampiamente dimostrato dalle bombe legali implacabili che sono stati costantemente cadendo sulla scena pubblica. Come come le altre istituzioni dello Stato, dopo la caduta di Hosni Mubarak, il sistema giudiziario è stato appena riformato, mentre i suoi metodi di lavoro e il personale sono stati stampati da decenni di autoritarismo. Al contrario di altre istituzioni pubbliche invece, la magistratura ha beneficiato - almeno fino al 2011 - da una reputazione indiscutibile per l'integrità e una relativa indipendenza dal regime a causa del carattere legalista del autoritarismo egiziana, ma anche l'esistenza di giudici riformisti democratici tra le sue fila. La magistratura può quindi essere considerata, con buoni argomenti, sia un bastione dello stato egiziano autoritario e un attore per il cambiamento. Cercheremo qui di far luce, per quanto possibile, il ruolo di questa istituzione complessa e talvolta contraddittoria nel contesto della transizione in Egitto. Keywords Egitto / magistratura / Politica interna / Opposizione

lunedì 28 ottobre 2013

LIbia: un raid dalle infinite ripercussioni

Libia
Libia 124
Gli ultimi giorni sono stati segnati dalle conseguenze del raid con cui, sabato 5 ottobre, un team delle Forze Speciali statunitensi ha arrestato a Tripoli Abu Anas al-Libi, ritenuto da Washington tra i responsabili degli attacchi del 1998 alle ambasciate USA in Kenya e Tanzania. Abu Anas è stato fermato da un gruppo di 8-9 uomini armati e a viso coperto mentre viaggiava a bordo di un’ auto assieme a suo figlio nella zona orientale della capitale libica, area roccaforte di più gruppi di matrice islamista. Secondo la testimonianza del figlio di Abu Anas, all’interno del gruppo vi sarebbero stati almeno due libici, cosa che lascia presupporre il coinvolgimento di gruppi locali nel raid statunitense.
L’operazione, seguita dall’interrogatorio di Abu Anas a bordo della USS San Antonio nelle acque del Mediterraneo, ha suscitato inevitabilmente fortissimi strali polemici in Libia. Provocati, in particolare, dalla notizia – diffusa da W! ashington – secondo cui il governo di Tripoli avrebbe saputo in anticipo del raid e ne avrebbe dunque consentito l’attuazione. Le tensioni sono culminate nel sequestro, per alcune ore, del Premier Ali Zeidan nella giornata di giovedì 10 ottobre. Il capo del governo è stato prelevato dalla sua stanza all’Hotel Corinthia, a Tripoli, da un gruppo di circa 150 uomini armati parte del Libya Revolutionaries Operations Room (LROR), milizia preposta alla protezione della capitale e alle dipendenze del Ministero dell’Interno. Zeidan sarebbe stato liberato poche ore dopo grazie all’intervento di altre miliziani locali. L’episodio ha comunque confermato, ancora una volta, il grave vuoto di sicurezza che affligge il Paese e la capacità delle milizie islamiste – spesso rispondenti a obiettivi e agende diverse - di minacciare e influenzare le fragili istituzioni democratiche realizzate dopo la caduta del regime di Gheddafi.

venerdì 25 ottobre 2013

Egitto: situazione sempre più difficile

Lo scorso 6 ottobre, in occasione delle celebrazioni per il quarantesimo anniversario del conflitto arabo-israeliano, nuovi scontri tra le Forze di polizia e i sostenitori della Fratellanza Musulmana hanno causato la morte di 50 persone, al Cairo e a sud della capitale. Nonostante il ministro dell'Interno, Mohammed Ibrahim, avesse dichiarato che le Forze di Sicurezza sarebbero intervenute per scongiurare qualsiasi forma di disturbo alle celebrazioni, i leader dell'Alleanza Anti-Golpe nei giorni scorsi avevano annunciato nuove manifestazioni di piazza per protestare contro la destituzione dalla presidenza di Mohammed Morsi da parte dell'Esercito egiziano. L'ex Presidente, da allora detenuto insieme a circa 14 esponenti della Fratellanza Musulmana, il prossimo novembre verrà sottoposto a processo con l'accusa di incitamento alla violenza per gli scontri successivi al referendum costituzionale del dicembre 2012.
Il perdurare della crisi in Eg! itto ha portato gli Stati Uniti a rivedere il piano di aiuti destinati al nuovo governo ad interim: oltre al taglio dei prestiti e dei trasferimenti finanziari, per un totale di 590 milioni di dollari, Washington ha annunciato la sospensione delle forniture militari, tra cui elicotteri Apache, caccia F16, missili Harpoon e componenti per la realizzazione di carri armati M1/A1. Nonostante il Segretario di Stato, John Kerry, abbia rassicurato il Cairo sull'intenzione di proseguire la cooperazione per la messa in sicurezza dei territori di confine, il ridimensionamento degli aiuti militari potrebbe compromettere la capacit� delle Forze Armate di rispondere con efficacia in un momento di forte destabilizzazione per il Paese. Sono ripresi in questa settimana gli attacchi di militanti nella Penisola del Sinai contro Esercito e Forze di polizia: una serie di attentati tra la città di Ismailiya, sul canale di Suez, di al-Tur e di al-Arish, rispettivamente nel sud e nel nord della pe! nisola, hanno causato la morte una decina di soldati. In questa fase di transizione le Forze Armate, da sempre deus ex machina per l'equilibrio politico interno, sembrano trovare parecchie difficoltà nel ripristinare le condizioni di sicurezza in Egitto. Resta però da valutare quale sarà il ruolo che l'Esercito avrà all'interno del futuro assetto istituzionale: il Generale Abdel Fattah al-Sisi, nei giorni scorsi, non ha escluso una sua possibile candidatura alle elezioni presidenziali previste per il 2014.

venerdì 18 ottobre 2013

Egittto: la difficile transizione

Civiltà Cattolica, Quindicinale, anno 164, 19 settembre 2013, n. 318; info@laciviltàcattlica;

La Seconda Rivoluzione Egiziana dell’estate 2013

Le imponenti manifestazioni di piazza di fine giugno 2013 in Egitto, capeggiate da movimenti di matrice laica, nonché la raccolta di circa 22 milioni di firme contro il Governo in carica, hanno “legittimato” l’intervento dell’esercito contro l’esecutivo “islamista” presieduto da Mohamed Morsi, il quale è stato arrestato e detenuto in un luogo segreto. In questo modo, L’esercito, nella persona del generale Abdel Fathal Al Sisi. È diventato nuovamente, come nel recente passato, l’ago della bilancia della politica egiziana. Soprattutto dopo i fatto sanguinosi di ferragosto, ci si chiede quale sarà il futuro dell’Egitto. Infatti la radicalizzazione dello scontro politico alla fine potrebbe avvantaggiare, come è avvenuto in passato, le frange estreme dell’islamismo jihadista, nuocendo molto alla democrazia, all’economia in forte crisi ed alla convivenza in Egitto tra mussulmani e cristiani copti, i quali chiedono di non essere considerati più cittadini di secondo ordine.



lunedì 7 ottobre 2013

Egitto: l'importaza della penisola del Sinai ed il terrorismo

Medioriente
Sinai, cerniera contro il Jihad
Mario Arpino
26/09/2013
 più piccolopiù grande
Se la penisola del Sinai ha un significato emblematico per gran parte degli egiziani, per i militari rappresenta qualcosa di sacro e inviolabile: “chi tocca il Sinai muore”. Se ne accorge in fretta chi visita il complesso museale Panorama, lungo la strada che conduce all’aeroporto del Cairo.

Assieme ai busti bronzei dei padri della patria, questo ospita una celebrazione non-stop della guerra iniziata il 6 ottobre 1973 - per gli israeliani lo Yom Kippur - quando le forze egiziane riuscirono a passare il Mar Rosso e mettere piede sulla penisola, dopo aver sfondato la famosa Linea Bar Lev. Fu questo l’unico, effimero successo di quella guerra, che agli egiziani e ai turisti viene presentata come una grande vittoria da tramandare ai posteri.

Il Sinai nel regime di Morsi
Non è da escludere che anche il Sinai sia da mettere in relazione con la defenestrazione dell’ormai ex-presidente Mohammed Morsi. Può essere stata la goccia che fa traboccare il vaso. Dopo le elezioni presidenziali del giugno 2012, la situazione del Sinai ha cominciato a deteriorarsi molto rapidamente, con attacchi terroristici contro l’oleodotto che serve anche Giordania e Israele e il reiterarsi di agguati a elementi dell’esercito e della polizia.

Tra i più cruenti c’è quello dell’agosto 2012 un mese dopo la vittoria elettorale di Mursi, dove 16 soldati sono rimasti uccisi. Le responsabilità furono addossate a miliziani jihadisti trafilati dal quel poroso confine con Gaza che il deposto presidente Hosni Mubarak, aveva tentato di sigillare, riuscendoci solo in parte.

Dopo tutte le dichiarazioni di Mursi sulla continuità degli accordi di Camp David e di Oslo, che contemplano anche la sicurezza del Sinai, i militari si aspettavano una reazione robusta da parte del neo-eletto. Azione che in effetti ci fu, ma nella direzione opposta. Fu destituito,il general Hossam Tantawi, ministro della difesa e capo di stato maggiore, assieme al capo dell’intelligence.

Legami sospetti
I legami tra i Fratelli Mussulmani e Hamas resero difficile per i soldati sia la chiusura dei tunnel - la cui economia aveva ormai ripreso a proliferare - sia l’identificazione dei colpevoli, che, indisturbati, trovavano sistematicamente rifugio nel sud di Gaza. Lo scorso maggio, nella stessa area furono rapiti sei poliziotti e un soldato, ma Morsi frenò l’azione militare già pronta a scattare invitando tutti alla calma e al dialogo.

Era necessario proteggere sia i rapiti, che i rapitori. Con questo sistema, che per l’esercito era la prova lampante della collusione tra i Fratelli, Hamas e i gruppi jihadisti, i rapiti furono in effetti liberati, i rapitori rimasero impuniti e i bulldozers inviati per sigillare i tunnel. Per i militari, era inaccettibile che il Sinai diventasse una zona fuori controllo. Il presidente fu ritenuto corresponsabile dell’evento e un ostacolo alla sicurezza. Aveva ormai firmato la sua sorte ed il tramonto del percorso politico-istituzionale dei Fratelli.

Possibile santuario estremista
Nel Sinai vive mezzo milione di abitanti che risiedono per lo più nelle città costiere, mentre l’interno - deserto e morfologicamente tormentato - è abitato dalle tribù beduine, di cittadinanza egiziana. Ma, secondo Mordechai Kedar, lettore di arabo e storia dell’Islam all’Università di Tel Aviv, questi si identificano nello stato egiziano non più di quanto i beduini del Negev si sentano israeliani. Sono beduini e basta. Transfrontalieri nelle migrazioni, vivono di piccolo commercio e contrabbando, verso cui egiziani e israeliani chiudono un occhio.

Si è trovato un accomodamento, e i pericoli per il Sinai non vengono certamente da loro, nonostante i tentativi di infiltrazione salafita e jihadista. Nella penisola, il confine tra Egitto e Israele altro non è se non una linea obliqua tracciata sulla carta tra l’area di Eilat (Taba) e quella di al-Arish ( versi Rafah), senza muri, filo spinato e con pochi cippi. Nonostante l’importanza dell’area, le autorità egiziane hanno sempre faticato a imporre la propria autorità. Con grande disappunto da parte di Israele che aveva mantenuto per diversi anni il controllo del territorio dopo la guerra dei sei giorni.

Con il trattato di Camp David del ‘79, il Sinai, area da demilitarizzare, era ritornato all’Egitto. Accordi successivi, tuttavia, avevano consentito lo stazionamento di truppe egiziane per motivi di sicurezza. Ciò non ha comunque impedito numerosi attentati, tra cui ricordiamo, nel nuovo secolo, quello all’hotel Hilton di Taba, i tre attacchi a Dahab ed il razzo verso Aqaba, in Giordania.

Secondo gli analisti, oggi sono almeno tre i gruppi estremisti islamici che - con un grado di collusione con Hamas e i Fratelli Musulmani ancora in corso di valutazione - cercano di rendere questo territorio, difficile e poco accessibile, una sorta di santuario per il jihad.

Si tratta del Consiglio consultivo del jihad per Gerusalemme, basato a Gaza, ritenuto responsabile dei lanci di missili e di infiltrazioni nel Sinai (ricordiamo i recenti lanci di Grad su Eilat). Questo gruppo è prevalentemente palestinese, ma sarebbe in posizione conflittuale persino con Hamas.

Esisterebbe poi un Gruppo organizzato per il jihad, con effettivi stranieri: una propaggine di al-Qaeda per il nord-Africa. In questi giorni, in Israele, si parla anche di un nuovo gruppo armato, chiamato Scudo del Sinai. Affiliazione, composizione e finalità sarebbero ancora in fase di analisi.

Il nuovo regime del generale Abdel Fattah al-Sisi sta cercando di ottemperare agli accodi di Camp David e ai conseguenti accordi bilaterali con gli israeliani in modo più energico e incisivo di quanto fecero Mubarak e Tantawi. Tuttavia, l’ambiguo comportamento di Mursi potrebbe aver già seriamente pregiudicato una situazione che va recuperata a tutti i costi.

Quasi quotidianamente nel Sinai ci sono attacchi mortali. Ultimamente, il più cruento è stato quello del 19 agosto, dove sono morti venticinque poliziotti egiziani. È anche per questo che il primo settembre, i bulldozer dell’esercito egiziano hanno demolito tredici abitazioni e sradicato diversi alberi lungo il confine della Striscia di Gaza per istituire una zona cuscinetto larga 500 metri e lunga dieci chilometri. Dal 7 settembre è poi in corso un’offensiva dei militari egiziani contro cellule di terroristi con ingenti effetti collaterali sulla popolazione beduina.

La poco comprensibile ostilità al nuovo regime da parte dell’Occidente certamente non aiuta. Ma per i militari egiziani il Sinai resta importante e pur di non perderlo, potrebbero rivolgersi altrove senza troppe remore. Di questo, possiamo esserne certi.

Giornalista pubblicista, Mario Arpino collabora con diversi quotidiani e riviste su temi relativi a politica militare, relazioni internazionali e Medioriente. È membro del Comitato direttivo dello IAI.
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Egitto: per trovare una soluzione di uscita

Medioriente
Militari pigliatutto in Egitto
Azzurra Meringolo
25/09/2013
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I Fratelli Musulmani tornano nel baratro della clandestinità in cui hanno trascorso 57 dei loro 85 anni di vita. A deciderlo è una corte del Cairo che, accogliendo il ricorso del partito di sinistra Tagammu, ha ordinato la messa al bando delle loro attività, la chiusura delle sedi e la confisca dei beni esattamente come avvenuto nel 1954 per volontà dell’allora presidente Nasser.

Se gli islamisti tornano nell’ombra, i militari continuano ad agire alla luce del sole, influenzando la transizione in atto e garantendosi gli storici privilegi di cui godono.

Per la maggior parte degli egiziani, la pensione è un momento di riposo che si trascorre facendo attenzione a non spendere tutti i risparmi accumulati. Ma i militari non sono mai stati come tutti i normali egiziani.

Dopo il congedo, un alto ufficiale dell’esercito può diventare governatore di una provincia, dirigente di una grande compagnia petrolifera o boss di una società di proprietà dello stato. Il numero di militari in pensione ai vertici di cariche statali, porta Zainab Abu al-Magd a definire l’Egitto una repubblica di generali in pensione.

Nessun libero mercato 
Storicamente, il dominio militare sui civili è iniziato negli anni ’60 sotto il regime socialista di Gamal Abdel Nasser. Anche se negli anni ’70, dopo la sconfitta con Israele, Anwar Sadat cercò di marginalizzare l’esercito dal governo, nell’epoca di Mubarak i generali sono tornati rapidamente ad occupare le posizioni di punta.

In questi decenni, le liberalizzazioni economiche subiscono un’accelerazione e l’attività imprenditoriale dell’esercito rischia di entrare in competizione con una certa élite imprenditoriale. Per assicurarsi che le imprese delle Forze Armate rimangano comunque le favorite, Gamal, delfino ideale del dittatore, le trasforma in holding. Tutte le aziende pubbliche attive in un settore specifico vengono poi raccolte sotto un unico ombrello. A reggerlo, all’epoca come ora, ci sono le mani dell’esercito.

Tanto Mubarak che i militari non hanno mai creduto sinceramente in un’economia di libero mercato. A confermarlo è anche un wikileak del 2008. Secondo quanto riporta l’ambasciatore americano in Egitto, il general Hossam Tantawi, capo delle forze armate che ha guidato l’Egitto nel primo periodo del post-Mubarak, è esplicitamente contrario a una liberalizzazione che riduca il controllo statale sull’economia.

Impero militare
L’esercito egiziano ha un grande segreto: possiede almeno 35 fabbriche e aziende che si rifiuta di privatizzare. Il listino dei prodotti a marchio militare è costituito soprattutto da beni di uso civile che hanno poco a che fare con l’attività di difesa. Un mercato ambivalente che, solo per citare qualche esempio, produce il marchio di pasta Queen, l’acqua minerale Safi e gestisce le pompe di benzina Wataniya.

Dalle stanze del ministero della produzione militare, i generali si servono di due organismi per gestire il loro business: l’Organizzazione araba per l’industrializzazione - che si occupa di equipaggiamenti militari - e l’Organizzazione nazionale dei prodotti di servizio - che si concentra sui beni di prima necessità.

Inoltre, l’attività imprenditoriale militare comprende la vendita e l'acquisto di beni immobili per conto del governo, la gestione di imprese di pulizia, stazioni di servizio, mense e anche resort di lusso sul Mar Rosso.

A questo si somma il controllo su grandi quantità di terreni, grazie a una legge che permette ai militari di accaparrarsi ogni terreno pubblico con lo scopo di "difendere la nazione". Poco importa se alla fine questi appezzamenti finiscono per essere usati per investimenti commerciali.

Segreto di stato
Le attività imprenditoriali dei militari restano uno dei tabù principali della politica egiziana. L'esercito nasconde le informazioni sulle sue attività commerciali che, secondo analisti, rappresentano circa il 25%-40% dell’economia nazionale. I pochi studi disponibili si basano quindi su informazioni pubbliche rivelate dai mezzi di informazione delle aziende di proprietà dell’esercito.

Sul bilancio militare vige infatti un segreto assoluto.

Anche se una parte si riferisce a materiale militare classificato attinente ad attività di difesa, la maggior parte delle voci in questione riguardano i profitti dell'esercito maturati dalla produzione di beni e di servizi non militari.

Anche la Costituzione islamista entrata in vigore nel 2012 garantisce questa segretezza, escludendo il Parlamento da qualsiasi controllo sul budget militare. La Costituzione, attualmente sotto revisione, preserva gli interessi economici, giuridici e finanziari di cui i militari hanno sempre goduto. Impossibile pensare che ora vengano toccati.

Assicurarsi i propri interessi è stato uno dei motivi che ha spinto i militari ad appoggiare gli islamisti almeno fino al termine del processo costituzionale. In cambio del sostegno militare, la Fratellanza ha garantito alle forze armate, mettendolo per iscritto, tutti i privilegi di cui godeva già nel vecchio regime.

Dalla caduta di Mubarak lo status dei generali è addirittura migliorato. Nel febbraio 2011, cinque giorni dopo la caduta di Mubarak, il Consiglio supremo delle forze armate modifica la legge 90 del ‘75 che regolava il sistema pensionistico militare. Il risultato è un immediato innalzamento del 15% delle pensioni dei generali, ora circa sui 500 dollari mensili.

Ma mentre i militari guadagnano, gli operai delle loro fabbriche si ribellano. Nello stesso mese, duemila lavoratori nel settore petrolifero si sono lamentati delle loro condizioni lavorative e a marzo, operai di compagnie come Petrojet e Petrotrade hanno manifestato in strada, scatenando la risposta violenta dell’esercito che li ha condotti davanti a tribunali militari.

La mancanza di trasparenza nelle casse dell’esercito potrebbe andare avanti per anni. Le trattative con il Fondo monetario internazionale per un prestito di 4,8 miliardi di dollari mirano anche a incoraggiare gli investimenti di cui l’economia egiziane ha estremamente bisogno. Questi necessitano però di un’economia aperta e trasparente, nella quale tutte le imprese sono ugualmente responsabili ai sensi delle leggi statali.

Per proteggere i loro interessi, i militari non sembrano interessati a garantire questa trasparenza. A rimetterci, ancora una volta, i cittadini.

Azzurra Meringolo è ricercatrice presso l’Istituto Affari Internazionali (IAI), e caporedattrice di Affarinternazionali. Coordinatrice scientifica di Arab Media Report. È autrice di "I Ragazzi di piazza Tahrir" e vincitrice del premio giornalistico Ivan Bonfanti 2012. Potete seguirla sul suo blog e su twitter a @ragazzitahrir.
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Tunisia: dimissioni del Governo

Tunisia
Tunisia 123
Durante lo scorso fine settimana, il governo tunisino guidato da Ali Larayedh ha accettato di presentare le proprie dimissioni al termine di un lunghissimo braccio di ferro con le opposizioni. Dopo una serie di incontri tra gli esponenti dell’esecutivo uscente e i leader delle forze d’opposizione, sarà dunque varato un governo tecnico con il compito di preparare il terreno per le prossime elezioni politiche. La crisi, nata con l’uccisione del deputato dell’opposizione Mohamed Brahmi e accelerata dalle incessanti manifestazioni di protesta che hanno avuto luogo nelle ultime settimane, segna temporaneamente la fine della stagione di Ennahda al potere e mostra, ancora una volta, quanto impervio e tortuoso sia il percorso di ricostruzione democratica intrapreso dal Paese dopo la caduta del regime di Ben Ali.
Ennahda sembra aver pagato l’ambiguità del proprio rapporto con le realtà salafite attive nel Paese. Una di queste, il gruppo! Ansar al-Sharia, è considerato dalle autorità responsabile sia della morte del leader dell’opposizione Chokri Belaid, ucciso nel febbraio scorso presso la propria abitazione, che di quella dello stesso Brahmi. Le proteste popolari scatenatesi per la morte di Belaid avevano portato a un rimpasto governativo volto a rendere più intransigente l’azione dell’esecutivo contro i gruppi legati all’Islam radicale. Quelle per l’omicidio di Brahmi, più costanti, hanno invece dato ulteriore dimostrazione di come il movimento Ennahda, in netto calo di consensi negli ultimi mesi, sia profondamente influenzabile dalle pressioni della popolazione.
I prossimi mesi appaiono decisivi per capire quale direzione intraprenderà ora il Paese. Soprattutto, importante è vedere quale percorso seguiranno le principali forze politiche, alle prese con sfide complesse e questioni irrisolte. All’opposizione occorrerà trovare un’inedita coesione, tale da permettere alle forze laiche! dello spettro politico tunisino di presentare un fronte competitivo in occasione delle prossime elezioni. Ennahda potrebbe invece approfittare di un possibile periodo di stabilità per meglio definire la propria identità, rimasta negli ultimi mesi nascosta dietro un difficile gioco di equilibrismo politico. CESI Weekly 123

LIbia: attacchi alle infrastrutture petrolifere

Libia
Libia 123
Il 30 settembre, un gruppo armato formato da miliziani Amazigh, tribù berbera del nord del Paese, ha attaccato l’infrastruttura gasifera di Mellitah, nei pressi di Nalut, cittadina nord-occidentale al confine con la Tunisia. In seguito all’irruzione, gli impianti della stazione di compressione, operata dall’italiana ENI, sono stati spenti. Mellitah è il punto di inizio del Greenstream, gasdotto che rifornisce l’Italia. Le ragioni che hanno portato all’attacco dell’infrastruttura energetica da parte dei miliziani Amazigh sono da ricercare nelle rivendicazioni politiche, economiche e sociali che la minoranza berbera continua a manifestare nei confronti del governo di Tripoli, prima fra tutte l’aumento dei salari e il riconoscimento del Tamazigh, la lingua degli Amazigh, come lingua ufficiale della Libia al pari dell’arabo. La prassi di attaccare le infrastrutture energetiche come forma di rappresaglia verso il governo centrale è! diventata un modus operandi sempre più diffuso tra le milizie ribelli. Infatti, alcuni mesi fa, milizie di etnia Toubou avevano attaccato le strutture estrattive del bacino petrolifero Elefante, nella parte centro-occidentale del Paese, operato da una società consorziata con ENI. Oltre a rappresentare un rischio di natura politica e di sicurezza, tali ostilità da parte delle milizie pregiudicano la ripresa economica libica e mettono in pericolo l’approvvigionamento energetico dei suoi clienti, tra cui l’Italia. Basti pensare che, da quando è caduto il regime di Gheddafi, la produzione petrolifera libica è passata da 1,5 milioni di barili al giorno ad appena 100.000.

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Geopolitical Weekly n°123

martedì 24 settembre 2013

Mozambico: ben avviato il problema energetico

Estrazione di gas in Africa
Boom per il Mozambico
Fabio Dani
28/08/2013
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I nuovi giacimenti di gas al largo delle coste della provincia di Cabo Delgado potrebbero rappresentare una svolta decisiva per l’economia e la società del Mozambico. Secondo le previsioni, con riserve pari a quelle di Dubai, il Paese potrebbe diventare il terzo produttore di gas africano, dopo Nigeria e Angola.

La zona è stata scoperta ed esplorata dall'Eni e poi suddivisa in quattro aree, in cui operano varie società come l’americana Anadarko, l’ente cinese per il gas e altre compagnie petrolifere. L'Eni opera nell'area 4, di cui detiene il 50%. Valuta le riserve dell’area in cui opera pari a 2650 miliardi di metri cubi. Allo stato del Mozambico è riservato il 10%.

Non solo gas
Secondo il governo, entro cinque anni il Paese comincerà a prosperare. Nonostante un tasso di sviluppo che negli ultimi anni ha sfiorato il 10%, il Mozambico è ancora uno dei paesi più poveri del continente.

A schiudere nuovi scenari di crescita non sono solo i nuovi giacimenti di gas, ma anche la produzione di carbone della regione settentrionale del Tete. È da qui che grazie alla colossale diga di Cahora Bassa, viene esportata elettricità in Zimbabwe e in Sud Africa. Stando alle previsioni, il carbone pari oggi a circa 40 mila tonnellate annue, potrebbe diventare la risorsa più importante del continente.

Queste prospettive di sviluppo attraggono gli investimenti stranieri, in primis portoghesi e brasiliani, che si aggiungono a quelli sudafricani. La presenza cinese resta stabile e si basa su uno scambio di fatto. Con le loro maestranze, i cinesi costruiscono gratuitamente palazzi delle istituzioni caserme e infrastrutture In cambio acquistano ingenti quantità di legname che viene imbarcato e poi trattato direttamente in Cina. Si parla di 500 mila containers all’anno in partenza soprattutto da Nacala, un porto spesso citato come punto di passaggio della droga asiatica destinata all’Europa.

A seguire attentamente la situazione sono i grandi donatori internazionali che provvedono tra l’altro a coprire il 40% della spesa sanitaria e cercano di promuovere un miglioramento della governante del Paese. La nuova ricchezza può e deve migliorare in modo sostanziale la vita dei 24 milioni di abitanti in settori fondamentali come l’accesso all’acqua e ai servizi igienici, le strutture sanitarie e la lotta all’analfabetismo.

Ricchezze non handicap
Affinché la transizione porti benessere ai cittadini, evitando tensioni locali, sviluppando e controllando gli investimenti e consolidando la democrazia, devono essere superati vari ostacoli. Vanno migliorati molti aspetti della vita politica, economica, sociale e culturale del Paese.

Da vent’anni il governo è espressione del Frelimo, l’ex movimento rivoluzionario che combatté per l’indipendenza dal Portogallo e successivamente si scontrò con la Renamo - un movimento allora sostenuto dal Sud Africa - in una sanguinosa guerra civile durata 16 anni e conclusasi nel 1992. Ma né il Frelimo né la minoritaria e scarsamente organizzata opposizione della Renamo sembrano possedere una visione organica del futuro del Paese. Si limitano per lo più ad assumere posizioni politiche nazionalistiche.

La corruzione è ampiamente diffusa ed imperversa a vari livelli, allargando le differenze tra una popolazione povera e una ridotta classe borghese in ascesa, in gran parte collegata al partito di governo. L’opposizione porta come esempio le ricchezze accumulate dalla figlia del presidente Armando Guebuza che, secondo la rivista Fortune, sarebbe la seconda donna più ricca d’Africa.

Con una società civile ancora debole, una governante fragile e scarsamente trasparente ed una stampa che, seppur libera, non riesce ad andare a fondo dei problemi, è alto il rischio che il Mozambico diventi una seconda Angola, dove le enormi risorse naturali del Paese si trasformano da ricchezza in handicap. Soprattutto dopo che gli attuali scontri armati con la Renamo, nel nord del Paese, hanno messo in evidenza la mancanza di dialogo tra il Frelimo e le altre formazioni politiche.

La storia del Mozambico è arrivata ad un punto di svolta con la scoperta delle immense risorse naturali, ma affinché queste fruttino è necessario un cambiamento nella politica della maggioranza e un rafforzamento della società civile.

Fabio Dani è consulente aziendale.
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sabato 6 luglio 2013

Egitto: la situazione è sempre grave


Weekly 119 Egitto
Il Capo dell’Esercito egiziano, Generale Abdul Fatah al-Sisi, con un discorso alla nazione tenuto nella serata del 3 luglio alla televisione di Stato, ha destituito Mohammed Morsi dalla presidenza dell’Egitto. Sospesa la Costituzione in vista di nuove elezioni, Sisi ha indicato Adly Mahmud Mansour, giudice e capo della Suprema Corte Costituzionale, come leader ad interim del governo tecnico che governerà il Paese durante il periodo di transizione.
Morsi è stato posto agli arresti domiciliari e altri 300 membri della Fratellanza, tra cui il leader Mohamed al-Badie, sono stati arrestati nelle ore successive.
L’intervento delle Forze Armate era stato annunciato nei giorni scorsi, in seguito alle proteste organizzate dalle opposizioni il 30 giugno, in occasione dell’anniversario dell’elezione di Morsi. Alle manifestazioni, infatti, avevano fatto seguito duri scontri tra oppositori e sostenitori dell’ormai ex Presidente, di ! fronte ai quali l'Esercito aveva dato al governo un ultimatum di 48 ore per ripristinare le condizioni di sicurezza necessarie a superare la crisi.
Controversa è stata la reazione della comunità internazionale. Se Stati Uniti e Unione Europea hanno espresso con cautela la propria preoccupazione per quello che, di fatto, è stato l'esautoramento da parte dei militari di un Presidente uscito vincitore da libere elezioni, i Paesi del Golfo – Arabia Saudita, Emirati Arabi e Qatar in particolare – hanno invece porto le proprie congratulazione al neo Presidente Mansour ed elogiato l'intervento delle Forze Armate a tutela della volontà popolare.
Benché il Generale Sisi avesse dichiarato la volontà delle Forze Armate di prendere le distanze dalla vita politica nazionale, l'Esercito ancora una volta ha rappresentato l'ago della bilancia per l'equilibrio istituzionale del Paese. Saranno, infatti, i militari a farsi garanti del nuovo processo di transizione, come già! era accaduto nel febbraio 2011, sull'onda delle rivoluzioni che avevano portato alla destituzione dell'ex dittatore Hosni Mubarak, quando era stato il Consiglio militare a governare il Paese alle successive elezioni.

Fonte   C.E.S.I   Weekly 119   per contatto geografia 2013@libero.it

Somalia: successo delle forze di sicurezza. Catturato Hassan Dahir Aweys


Somalia weekly 118 1
Martedì 25 giugno, Hassan Dahir Aweys, uno dei prominenti leader di Al Shabaab, gruppo terroristico somalo ufficialmente affiliato ad Al-Qaeda dal 2012, è stato catturato dalle forze di sicurezza somale ed imprigionato nella città di Adaado. Aweys è una delle personalità più influenti nel panorama jihadista africano, tanto che gli Stati Uniti avevano inserito, nel 2001, il suo nome nello Specially Designated Global Terrorist, la lista dei terroristi più pericolosi del mondo.
Aweys sembra sia stato catturato da un gruppo di pirati nella regione di Galguduud, situata in Somalia centro-settentrionale. Il Presidente della Somalia, Hassan Sheikh Mohamud, ha dichiarato che Aweys sarà trasferito a Mogadiscio, dove sarà processato per i suoi crimini. Occorrerà valutare quale sarà la prossima strategia del governo somalo, diviso tra i sostenitori della condanna esemplare e quelli favorevoli a colloqui con Aweys, personalità di grande ri! lievo del clan Hawiye.
L’arresto di Aweys è avvenuto in un momento di difficoltà per Al Shabaab. Infatti, Il leader si era dimostrato critico verso il movimento a causa delle lotte interne tra le diverse fazioni. In particolare, da tempo Aweys temeva per la propria vita a causa dei dissapori con Moktar Ali Zubeyr "Godane", altro leader di al-Shabaab, noto per la tendenza ad eliminare coloro i quali considera avversari all'interno del movimento ribelle.
Il giorno dopo l’attacco di Al Shabaab al principale sito dell’UNDP (Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite) a Mogadiscio, avvenuto lo scorso 19 giugno, si sono verificati scontri tra fazioni nella fortezza di Baraawe, antica città portuale sudorientale. All'origine delle sparatorie vi è la tensione tra le fazioni legate ai principali leader di al-Shabaab: Aweys, Godane e Sheikh Mukhtar Robow. Nella fattispecie, Godane, qualche giorno prima dell’attacco all’ONU, aveva accusato Robow e Aweys di minare! l’unità di al-Shababb, spiare a favore delle forze governative e danneggiare l’immagine del jihad

Fonte C.E.S.I.  Weekly n. 118          per contatti geografia2013@libero.it

giovedì 27 giugno 2013

Marco Massoni: articcle for CeMIss

Dear participants to the Joint AUR – NDCF Conference Italy and the New International Challenges
 
As a follow-up, please, find, hereby attached, two more documents of common interests:
 
      Post-Western Scramble for Africa?
 
 
Best regards,
 
 
Marco Massoni

venerdì 21 giugno 2013

Africa: ancora pirateria in primo piano

Golfo di Guinea
Nigeria 117
Il 18 giugno scorso, l’IMB (International Maritime Bureau) ha affermato che, nel primo trimestre 2013, gli attacchi pirati, in Africa, sono stati 66, in netto calo rispetto ai 102 dello stesso periodo nel 2012. Il dato interessante, però, è stato che gli episodi di pirateria in Africa occidentale hanno superato quelli avvenuti lungo le coste della Somalia. Il maggior numero di incidenti (15 attacchi, di cui 3 sequestri) si è verificato, infatti, nel Golfo di Guinea (di cui 11 in Nigeria, 3 in Costa D’Avorio e 3 in Congo). Attacchi pirata sono avvenuti anche in Togo e nel Benin. Sono solamente 5, invece, gli incidenti registrati in Somalia. Lo stesso Capo di Stato Maggiore della Marina italiana, l’Ammiraglio Giuseppe De Giorgi, qualche giorno fa, ha sottolineato come, in Somalia, i risultati delle missioni Atlanta, Ocean Shield e le iniziative marittime nazionali, come i nuclei militari di Protezione, del 2° Reggimento San Marco, fosser! o stati molto positivi.
La situazione della pirateria nel Golfo di Guinea è, dunque, diventata significativa. Mentre in Somalia le attività dei pirati si contraddistinguono per l’obiettivo di ottenere un riscatto dopo aver preso in ostaggio gli equipaggi delle navi in transito, la situazione sociale e di sicurezza nei Paesi che si affacciano sul Golfo di Guinea ha permesso degli sviluppi diversi del fenomeno della pirateria. Maggiormente legati alla criminalità organizzata, infatti, i pirati nella regione dell’Africa occidentale non si accontentano dei riscatti, ma, attaccando soprattutto le petroliere che transitano nell’area, ricca di idrocarburi, non disdegnano di vendere direttamente il greggio al mercato nero.
Per adesso, la comunità internazionale è ancora rimasta abbastanza indifferente a tale fenomeno. Ma l’importanza della regione e la necessità di proteggere le tratte per l’approvvigionamento di idrocarburi che passano dal Golfo di Guinea ! richiedono, necessariamente, un’attenzione sempre maggiore verso il fenomeno della pirateria nell’area.

sabato 15 giugno 2013

Sudan: rapporti sempre difficili con il Sud Sudan per il petrolio

Lo scorso 8 giugno il Presidente sudanese, Omar Hasan Ahmad al-Bashir, ha ordinato l’interruzione dei flussi dell’oleodotto che conduce il greggio dal Sudan del Sud fino a Port-Said, sulla costa del Mar Rosso, in Sudan. La condotta, secondo quanto stabilito dal governo sudanese, dovrebbe tornare in funzione tra 60 giorni. Il petrolio sud-sudanese aveva ricominciato a transitare dal Sudan ad aprile, dopo un’interruzione di più di un anno causata da un’escalation delle tensioni tra i due Paesi, dovute in particolare alla questione delle quote sui profitti della vendita del greggio e al costo del suo transito. 
Il 27 maggio, Bashir ha minacciato di fermare l’oleodotto se Juba avesse continuato a supportare i ribelli dell’SRF (Sudan Revolutionary Front), attivi in particolare nel Sud del Kordofan e nella regione del Nilo Azzurro con l’obiettivo di rovesciare il regime sudanese. Secondo il capo dell’intelligence sudanese, Mohamm! ed Atta, i guerriglieri continuano ad essere riforniti da Juba con armi, munizioni, benzina, pezzi di ricambio per mezzi e cibo. Khartoum suppone inoltre che Juba utilizzi, o possa utilizzare, gli utili derivanti dal petrolio per sostenere la guerriglia.
A seguito degli accordi stretti tra le due parti nel 2011 – quando cioè il Sudan del Sud ha ottenuto l’indipendenza da Khartoum – Juba ha conservato il 75 per cento di quella che era la produzione petrolifera complessiva sudanese, ma continua tuttavia a dipendere dalle infrastrutture e dai porti del Sudan per le esportazioni. L’interruzione dei flussi in territorio sudanese causano dunque grossi danni economici al Sudan del Sud, che ricava dai suoi depositi di greggio il 98 per cento dei profitti statali ed è privo di sbocchi sul mare. Va rilevato, in ogni caso, come anche l’economia di Khartoum potrebbe risentire negativamente del blocco del traffico di petrolio, considerati gli ingenti utili delle esportazio! ni. Quella del Sudan potrebbe dunque essere nient’altro che un’ulteriore intimidazione nei confronti del vicino meridionale.

Libia: attacco alle legazioni occindetali


Libia 116
Un’auto dell’ambasciata italiana è stata fatta esplodere a Tripoli, nel distretto di Zawiat al-Dahmanim nel pomeriggio dell’11 giugno. L’esplosione non ha causato vittime: il personale diplomatico, accortosi della possibile manomissione, aveva infatti abbandonato il veicolo e allertato le forze di polizia, facendo mettere in sicurezza l’area. L’episodio non è il primo attacco portato a termine contro le delegazioni occidentali. Lo scorso 23 aprile, un’autobomba era stata fatta esplodere davanti all’ambasciata francese, ferendo gravemente due persone; risale, invece a gennaio l’attentato - fallito - contro il Console Generale italiano a Bengasi, Guido de Sanctis, in seguito al quale l’Italia aveva deciso di chiudere la propria missione nella città della Cirenaica.
Il progressivo deterioramento delle condizioni di sicurezza rappresenta una questione di primo ordine per il governo libico che, a quasi un anno dalle prime ! elezioni del post-Gheddafi dello scorso luglio, non sembra essere ancora in grado di farsi garante della stabilità interna al Paese. La presenza di milizie e gruppi armati, che avevano partecipato alla Rivoluzione del 2011 contro l’ex Rais e sono rimasti tuttora operativi, aggrava ulteriormente la percezione di questa precarietà. Nonostante alcune di esse siano gruppi ben organizzati, spesso su base regionale o locale, le milizie rimangono un elemento di instabilità per la sicurezza della popolazione, soprattutto in mancanza di una Forza Armata nazionale più strutturata. In proposito, significativo è l’incidente dello scorso 8 giugno, quando la manifestazione a Bengasi contro la sede della Libya Shield Forces – brigata dipendente dal Ministero della Difesa - è degenerata in un violento scontro armato con i miliziani, che ha provocato la morte di 31 persone e le conseguenti dimissioni del capo di Stato Maggiore Youssef al-Mangoush. Il governo ha annunciato l’implementazione di un piano per lo smantellamento dei gruppi irregolari e l’integrazione nelle Forze di Sicurezza libiche delle milizie operative sotto l’egida del Ministero degli Interni e della Difesa, da realizzarsi entro la fine del 2013.
(Fonte Cesi)