.

Cerca nel blog

Per la traduzione in una lingua diversa dall'Italiano.For translation into a language other than.

Il presente blog è scritto in Italiano, lingua base. Chi desiderasse tradurre in un altra lingua, può avvalersi della opportunità della funzione di "Traduzione", che è riporta nella pagina in fondo al presente blog.

This blog is written in Italian, a language base. Those who wish to translate into another language, may use the opportunity of the function of "Translation", which is reported in the pages.


Powered By Blogger

Metodo di Ricerca ed analisi adottato


Il medoto di ricerca ed analisi adottato è riportato suwww.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com

Vds. post in data 30 dicembre 2009 seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità delloStato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento al medesimo blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

sabato 30 gennaio 2021

Libia: caratteri demografici

 

 

La popolazione della Libia è pr la maggior parte araba o profondamente arabizzata, sebbene sussistano ancor oggi piccoli nuclei berberi.

Omogenea e compatta risulta essere la popolazione sia dal punto di vista religioso che linguistico, esseno la quasi totalità dei libici di religione musulmana di rito sunnita e di lingua araba nelle sue varie forme regionali.

 

Nonostante il suo alto tasso d'incremento demografico (3,0%) e le forti correnti immigratorie provenienti soprattutto dai vicini Stati arabi, la Libia è, con i suoi abitanti, uno dei Paesi africani meno densamente popolati (1,3 abitanti per kmq).

La stragrande maggioranza dei libci è concentrata lungo la costa tripolitana e sul suo altopiano, e lungo il litorale cirenaico.

Oltre ai tradizionali villaggi delle oasi dell'entroterra cirenaico, del Fezzan e del Deserto Libico, si stanno recentemente sviluppando nella Sirte, conseguentemente allo sfruttamento petrolifero della regione, nuovi nuclei abitati.

Le due uniche città libiche di una certa importanza sono, la capitale Tripoli che ha da poco raggiunto i 300.000 abitanti, e Bengasi (190.000 ab.), mentre la città di Misurata e di El-Beida superano di poco i 50.000. Tra i centri che contano più di 10.000 abitanti vanno menzionati: Derna, Tobruch, Agedabia, Homs, Zuara, El-Marj e Iefren.

mercoledì 20 gennaio 2021

LIbia: Lineamenti di geografia fisica

La Libia, dalla caratteristica forma quadrangolare, si estende su di una superficie di 1.759.540 kmq, ed è costituita per oltre l'85% da zone desertiche.

Il Paese, che si affaccia a N. per circa 2.000 km sul Mar Mediterraneo, confina ad O. con la Tunisia e l'Algeria, a S. con il Niger ed il Ciad, a S.E. con il Sudan e ad oriente con l'Egitto.

 

La Tripolitania, la Cirenaica, il Fezzan ed il Deserto Libico sono le quattro grandi regioni naturali in cui si articola la Libia:

- la Tripolitania, che è costituita dalla Tripolitania propriamente deta ed a oriente dalla città più inospitale Sirtica, comprende la parte nord-occidentale dello Stato, estendendosi dalla bassa e sabbiosa costa mediterranea all'altopiano del Nefusa, la cui altitudine varia tra gli 800 ed i 900 metri.

- la Cirenaica, situata nella parte nord-orientale del paese, è caratterizzato dall'omonimo altopiano che si spinge fino al mare con alte e ripide coste degradando ad oriente verso il confine egiziano nella regione della Marmarica.

- il Fezzan, che comprende le vaste estensioni desertiche sud-occidentali, alterna, tra le sperse oasi, formazioni sabbiose ad aridi altipiani rocciosi.

- il Deserto Libico, praticamente privo di vegetazione, quasi del tutto spopolato, ad eccezione dell'oasi di Cufra con il piccolo nucleo abitato di El-Giof, si estende ad oriente del Fezzan ed a sud della Cirenaica penetrando in profondità nell'Egitto occidentale.

 

La Libia è priva di corsi d'acqua a carattere permanente, essendo i pochi esistenti di tipo stagionale (wadi o uadi).

Il clima libico, che risente dovunque dell'influenza sahariana, è caratterizzato da bassissime precipitazioni e da una rilevante escursione termica, e la temperatura, che si aggira sui 20° di media nelle regioni litoranee, raggiunge i 40/50° verso l'interno.

Gran parte del Paese è soggetto al ghibli, caratteristico vento caldo secco, che soffia dal Sahara verso le zone costiere.

domenica 10 gennaio 2021

Il Dramma del Corno d'Africa

 

I rischi della nuova instabilità in Etiopia

Nell’ottobre del 2019 Abiy Ahmed Ali, primo ministro dell’Etiopia, è stato insignito del premio Nobel per la pace «per i suoi sforzi nel raggiungere la pace e la cooperazione internazionale, e in particolare per le sue iniziative decisive per risolvere i conflitti lungo il confine con l’Eritrea». Il premier, in carica da poco più di un anno e mezzo, era già considerato “il volto del rinnovamento”, una speranza per il futuro democratico del Paese. Il più giovane leader del continente ‒ 44 anni all’inizio del suo mandato aveva rilasciato migliaia di prigionieri politici, rimosso il divieto alla creazione di nuovi partiti, licenziato i funzionari carcerari accusati di violazione dei diritti umani e, soprattutto, favorito l’accordo di pace con l’Eritrea del luglio del 2018 che ha messo fine a vent’anni di conflitti e tensioni tra i due Stati.

A distanza di un anno dal Nobel, che tanto aveva fatto sperare in una maggiore stabilità nell’area, le cose sono radicalmente mutate. Negli ultimi mesi si sono verificati numerosi scontri nel Paese che hanno causato la morte di centinaia di persone. Le violenze hanno avuto inizio il 29 giugno, dopo l’assassinio di Hachalu Hundessa, un famoso cantante e attivista di etnia Oromo, la stessa dell’attuale primo ministro. Non è ancora chiaro chi abbia commesso l’omicidio e perché, ma poche ore dopo la morte di Hundessa ci sono state rivolte in tutta la regione di Oromia, la più popolosa tra quelle che compongono la Repubblica federale democratica di Etiopia, con circa 33 milioni di abitanti, compresi quelli della capitale Addis Abeba.

Le proteste si sono acuite con l’annuncio del rinvio delle elezioni, previste per il mese di ottobre, a causa dell’emergenza Covid-19. Un gesto ritenuto dalle forze di opposizione come un tentativo da parte Abiy Ahmed di restare al potere, tanto che i leader della regione settentrionale del Tigray hanno deciso di indire comunque le elezioni. La tornata elettorale, che si è svolta a settembre, ha visto la vittoria del Tigray People’s Liberation Front (TPLF) uno dei partiti storici dell’Etiopia. Anche se i tigrini rappresentano solo il 6% della popolazione, composta da oltre 110 milioni di persone, sono stati una delle forze dominanti nel ventennio precedente l’arrivo al potere di Abiy Ahmed. Il timore che tali elezioni, dichiarate illegali dal premier, potessero essere il primo passo verso la secessione del Tigray ha aperto la fase delle ostilità tra l’esercito federale e le forze del TPLF. Il 4 novembre il primo ministro ha deciso di lanciare un’offensiva armata contro la “regione ribelle” dispiegando truppe a ridosso delle regioni di Amhara e Afar, a sud e a est del Tigray. Nonostante gli appelli dell’Unione Africana per una sospensione delle violenze gli scontri continuano e i rischi vanno ben oltre i confini dell’Etiopia.

In primo luogo il “tentativo separatista” potrebbe estendersi alle altre regioni del Paese, facendo esplodere le rivendicazioni autonomiste delle diverse comunità o riaccendendo vecchie tensioni come, per esempio, quella tra la regione di Amhara e quella del Tigray, da decenni “impantanate” in una disputa sulla terra dalla quale sono scaturiti violenti scontri. D’altra parte non va dimenticato che l’Etiopia è uno Stato federale che tiene insieme diverse istanze regionali, espressioni di etnie, clan e tribù. Le spinte secessioniste sono ricorrenti nella storia etiope e questo spiega il motivo per cui il Paese è stato per lungo tempo governato da militari che legittimavano il loro potere con la capacità di tenere assieme “un mosaico” a rischio di azioni separatiste. Il nuovo premier ha tentato di sviluppare una politica atta a ridurre la conflittualità interetnica ed evitare spinte centrifughe. Per questo motivo lo spettro che l’iniziativa tigrina possa aprire ad altre “ambizioni secessioniste” potrebbe aumentare il livello delle violenze in modo da far desistere qualunque altra regione da simili tentativi.

Un altro punto interrogativo riguarda un possibile coinvolgimento di Asmara nel confitto. L’élite politica del Tigray era al governo di Addis Abeba nei lunghi anni di guerra e tensioni con l’Eritrea che potrebbe decidere di approfittare della situazione per assestare un colpo definitivo ai nemici di lunga data, ampliando ulteriormente gli attori coinvolti nel conflitto e, dunque, il livello di violenze. Pochi giorni fa le forze del Tigrai hanno rivendicato il lancio di razzi sull’aeroporto della vicina capitale dell’Eritrea. Un segnale che non fa ben sperare per le sorti di una guerra che rischia di deflagrare ben oltre i confini etiopi.

I problemi, poi, potrebbero estendersi agli Stati vicini del Corno d’Africauna delle aree più vulnerabili del continente. In primo luogo alla Somalia, da cui le forze etiopi si sono ritirate dopo lunghi anni di campagna militare e con cui in tempi recenti hanno riaperto un dialogo su questioni regionali di interesse comune, in linea con l’iniziativa di pace e di integrazione economica avviata da Abiy Ahmed. In secondo luogo al Sudan, che sta affrontando una delicatissima transizione politica e che potrebbe vedere ulteriormente aggravata la propria situazione interna. Secondo stime dell’ONU, vi sarebbero più di un milione di sfollati nella regione del Tigray e circa 40.000 persone sarebbero già fuggite dalle zone di guerra attraversando il confine occidentale con il Sudan; un numero che è «probabile aumenti rapidamente», ha avvertito l’alto commissariato ONU per i rifugiati. Se così fosse rischierebbe di aprirsi una crisi umanitaria di enormi dimensioni.  

Infine, guardando verso il Mediterraneo, l’Egitto resta uno spettatore interessato a una possibile destabilizzazione dell’Etiopia che potrebbe rallentare il progetto di riempimento della Grande diga del rinascimento etiopico (GERD, Grand Ethiopian Reinassance Dam). Il Cairo, preoccupato per le possibili ripercussioni in termini di approvvigionamento d’acqua, aveva già minacciato di intraprendere un’azione militare per impedire la creazione della diga. Al momento appare assai improbabile che l’Egitto possa in qualche modo entrare nel “caos etiope”, ma, come ben noto, il protrarsi delle guerre in queste aree profondamente destabilizzate attira da sempre gli appetiti e gli interessi delle potenze regionali e non solo. Il caso libico insegna.

È dunque lecito ipotizzare che più questa guerra si prolungherà, maggiori saranno i rischi di una sua espansione a livello regionale, con tutti i conseguenti rischi per la “tenuta” di un’area estremamente instabile che, solo da poco, aveva raggiunto un precario e parziale barlume di equilibrio.