.

Cerca nel blog

Per la traduzione in una lingua diversa dall'Italiano.For translation into a language other than.

Il presente blog è scritto in Italiano, lingua base. Chi desiderasse tradurre in un altra lingua, può avvalersi della opportunità della funzione di "Traduzione", che è riporta nella pagina in fondo al presente blog.

This blog is written in Italian, a language base. Those who wish to translate into another language, may use the opportunity of the function of "Translation", which is reported in the pages.


Powered By Blogger

Metodo di Ricerca ed analisi adottato


Il medoto di ricerca ed analisi adottato è riportato suwww.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com

Vds. post in data 30 dicembre 2009 seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità delloStato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento al medesimo blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

domenica 21 dicembre 2014

Tutti verso nord

Immigrazione
Breccia aperta nella Fortezza Europa
Enza Roberta Petrillo
08/12/2014
 più piccolopiù grande
Partita in sordina poco prima del delicatissimo passaggio di consegne ai vertici dell’Unione europea, la “EU-Horn of Africa Migration Route Initiative” è il primo tentativo europeo di tradurre in pratica il cambio di passo in materia di immigrazione.

Per quanto l’intesa sottoscritta a Roma il 28 novembre scorso sia soltanto una dichiarazione di intenti, molti credono che una breccia sia stata aperta nella mura di “Fortezza Europa”.

Dal processo di Rabat a quello di Khartoum
“Per controllare i flussi migratori che dalle aree di crisi si riversano sull'Europa non si può solo alzare un muro, né bastano le azioni di cooperazione: serve una strategia di lungo termine che mescoli la cooperazione con i paesi in difficoltà, alla ricostruzione dei paesi vicini al collasso totale”.

Parola di Paolo Gentiloni, neo-ministro degli esteri italiano che ha coordinato la riunione informale dei ministri degli Affari esteri e dell’interno dell’Ue promossa dalla Presidenza italiana dell'Unione.

Gentiloni ha approfittato dell’occasione per fare il punto sul Processo di Khartoum avviato lo scorso ottobre durante la conferenza regionale sul traffico di esseri umani nel Corno d’Africa organizzata dall’Unione africana in collaborazione con il governo del Sudan, l’Alto Commissariato dell’Onu per i Rifugiati e l’Organizzazione internazionale per le migrazioni.

Concepito sulla falsa riga del Processo di Rabat – nato nel 2006 per promuovere un foro di dialogo regionale sull’immigrazione tra l’Ue e i paesi dell’Africa occidentale, centrale e mediterranea - il neonato Processo di Khartoum punta a stabilire un tavolo di confronto con i paesi dell’Africa orientale e settentrionale da cui partono e transitano gran parte dei migranti che approdano in Europa.

Eritrea, Somalia, Etiopia, Gibuti, Sudan, Sud-Sudan, Kenya, Tunisia, Libia, Egitto. Potrebbe partire da qui la nuova stagione della politica migratoria europea all’insegna della diplomazia preventiva e della cooperazione con i Paesi di origine e transito. Obiettivi che procedono di pari passo con la necessità di restituire protagonismo alla dimensione della protezione umanitaria rispetto a quella del mero controllo delle frontiere esterne dell’Ue.

dati diffusi dal Viminale, del resto, parlano chiaro: la stragrande maggioranza dei migranti che si affida ai trafficanti per attraversare il Mediterraneo è alla ricerca di protezione internazionale.

Ma c’è di più: mentre in Italia il numero degli sbarchi continua a registrare un’impennata esponenziale, il numero delle richieste d’asilo decresce progressivamente. Il caso dei siriani è eloquente. Dei 23.945 migranti sbarcati tra gennaio e settembre 2014, soltanto 405 hanno richiesto protezione umanitaria. Una tendenza analoga a quella degli eritrei: soltanto 367 dei 28.557 migranti sbarcati in Italia hanno richiesto protezione.

Italia, terra di transito più che di approdo
Terra di transito più che di approdo, l’Italia, nel 2013, ha ricevuto soltanto il 6,1% delle domande d’asilo complessivamente presentate nell’Unione. Cifra esigua rispetto alle 77.109 domande avanzate in Germania, perlopiù da cittadini siriani.



Una situazione complessa che ha spinto il ministro degli esteri Frank-Walter Steinmeier a dichiarare che la reazione europea non può più limitarsi alle misure di emergenza allestite ai confini esterni dell’Ue.

Messaggio rivolto soprattutto all’Italia che con i suoi 154.075 migranti arrivati via mare dall’inizio dell’anno è l’avamposto più esposto ai flussi in arrivo dalla sponda sud del Mediterraneo. Un dato quadruplicatosi rispetto al 2013 (allora gli arrivi furono 38.882) e che cresce contestualmente all’acuirsi delle crisi istituzionali e umanitarie che vanno infiammando paesi come la Siria, l’Eritrea, il Mali o la Somalia.

Il processo di Khartoum, per quanto appena avviato e giuridicamente non vincolante, suggerisce quali potrebbero essere i passaggi da compiere: superare le mere azioni di polizia e le misure umanitarie emergenziali.

Mappare le cause strutturali dell’immigrazione per pianificare azioni a lungo termine. Potenziare i partenariati con i paesi di origine e transito. Obiettivi innegabilmente ambiziosi considerata la fragilità istituzionale di molti dei paesi che partecipano a questo neonato forum euro-africano.

Seae e immigrazione
Congiuntamente, i ministri degli esteri italiano e tedesco hanno dichiarato di voler affrontare questa questione spinosa intensificando le azioni diplomatiche a sostegno della stabilità politica dei paesi dell’Africa orientale e sostenendo le missioni di pace delle Nazioni Unite e dell’Ue. Piano che chiama direttamente in causa il ruolo che il Servizio europeo per l'azione esterna (Seae) intende giocare nei paesi di provenienza e transito dei migranti.

Come e con quali risultati il Seae riuscirà a eludere le idiosincrasie degli stati membri e la storica autoreferenzialità della direzione generale per gli Affari Interni dell’Ue lo si appurerà nei prossimi mesi.

Di promettente c’è l’impegno preso all’unisono dall’Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri Federica Mogherini e dal Commissario europeo per l’Immigrazione Dimitris Avramopoulos ad agire in modo coordinato al fine di massimizzare l'impatto delle politiche e dei progetti dedicati all’immigrazione.

Una promessa che poggia sull’ambizione di affrontare in modo concreto i fattori strutturali dei flussi migratori irregolari: fragilità statuali, povertà e conflitti. Dossier sui quali l’Europa dovrà imparare a parlare con una voce sola.

Enza Roberta Petrillo è ricercatrice post-doc, Università La Sapienza di Roma; esperta di politica e geopolitica est-europea, si occupa dell’analisi dei flussi migratori con particolare attenzione al ruolo svolto dalla criminalità organizzata transnazionale nei traffici illeciti transfrontalieri (enzaroberta.petrillo@uniroma1.it).
- See more at: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=2897#sthash.eUZQohMT.dpuf

mercoledì 3 dicembre 2014

Libia: richiesto alla Unione Europea un intervento militare

Medio Oriente
Forze di pace in Libia?
Roberto Aliboni
21/11/2014
 più piccolopiù grande
Il professore Vandewalle, studioso statunitense noto in Italia per un’ottima storia della Libia, ha di recente proposto che l’Unione europea invii una forza militare in quel paese con il compito di proteggere le istituzioni legali uscite dalle elezioni del 25 giugno scorso, le infrastrutture e la produzione di petrolio così da rafforzare il governo e accendere una speranza di stabilità (The New Yok Times, 11 novembre 2014). Questa proposta risponde a un sentire diffuso. Cosa pensarne?

La Corte Suprema invalida le elezioni
In effetti, la Libia è sempre più avvitata nella sua guerra intestina. La mediazione avviata dalle Nazioni Unite, basata sul riconoscimento delle istituzioni uscite dalle elezioni è stata affondata dalla sentenza della Corte Suprema libica che il 6 novembre le ha dichiarate invalide, in quanto l’emendamento costituzionale sulla cui base sono state indette non sarebbe stato a suo tempo votato con la necessaria maggioranza.

Al tempo stesso, il conflitto libico appare sempre più come una “proxy war” nel quadro dei più generali conflitti della regione. Le due coalizioni libiche sono incoraggiate dagli appoggi dei rispettivi alleati a confidare nella loro vittoria e quindi non sono per nulla inclini a negoziare.

Tuttavia, anche se per questi motivi la necessità di un’operazione di pace internazionale appare più cogente, la fattibilità legale e politica resta problematica.

Libia, cercasi mediazione
Vandewalle indica l’Ue perché nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite la Russia certamente si opporrebbe. Il Consiglio ha da poco approvato la Risoluzione 2174 in tema di sanzioni e altre penalità e non pare probabile che ci sia la volontà e la disponibilità per andare oltre.

Ma in realtà qualsiasi intervento dell’Ue è ugualmente subordinato a un mandato Onu: senza questo mandato l’Ue non interverrà mai.

I paesi dell’Ue potrebbero decidere di intervenire anche senza mandato, ma sempre sotto il crisma della legalità internazionale qualora percepissero l’urgente necessità di proteggere la popolazione libica e si inducessero perciò a esercitarne la relativa responsabilità.

Ma qui la legalità non sarebbe sorretta dalle necessarie condizioni politiche, poiché questa protezione è già stata esercitata con effetti disastrosi, suscitando molte polemiche, specialmente e ancora da parte della Russia, che nell’intervento del 2011 si sentì ingannata e considerò l’operazione di rovesciamento del presidente Muammar Gheddafi non meno politicamente sbagliata del tentativo di rovesciare il raìs siriano Bashar al-Assad.

La “responsabilità di proteggere” non è allo stato dei fatti una dottrina universalmente accettata né ben definita nelle sue articolazioni. Un’entità debole e politicamente divisa com’è oggi l’Ue non intraprenderà mai, da sola, questa strada.

Dagli Stati Uniti si può avere una percezione ottimistica, tanto più se capita, come al professor Vandewalle, di partecipare a un’audizione del Parlamento italiano e restare colpito dalla “naturalezza con la quale alcuni deputati ribadivano che solo una forza a guida europea potesse trovare una via di uscita alla recente impasse.”

Un intervento dell’Ue avrebbe senso e, se l’Ue avesse una consistenza politica, sarebbe la cosa giusta da fare, ma la solidarietà politica dell’Ue è una merce in via di sparizione che in relazione alla Libia esiste solo nei comunicati, che non a caso continuano ad affermare invece la necessità della mediazione ormai fallita dell’Onu.

Se l’Ue beneficiasse di una solidarietà di politica estera il modo di intervenire, anche senza un mandato dell’Onu, potrebbe essere quello di raccogliere la richiesta delle istituzioni libiche che hanno vinto le elezioni.

Questa richiesta c’è stata. Naturalmente è una richiesta discutibile, specialmente dopo la sentenza della Corte Suprema, ma una forte e solido attore internazionale lo farebbe senza troppi problemi.

Tuttavia, con questa iniziativa l’Ue sceglierebbe di appoggiare un governo secolarizzante, simile a quello che si è installato in Egitto con il presidente Abdel Fattah al-Sisi, e di combattere i Fratelli Musulmani.

Molti in Europa non sarebbero d’accordo, perché i Fratelli Musulmani, malgrado la cattiva prova dell’ex presidente egiziano, l’islamista Mohamed Morsi, restano ancora la speranza di una prospettiva democratica nella regione, come d’altra parte si è visto in Tunisia. Perciò, anche se la necessaria solidarietà istituzionale europea spuntasse overnight, nondimeno essa non sarebbe sorretta dalla necessaria solidarietà politica.

Coalizione anti-Califfo
Un’altra ipotesi di intervento potrebbe essere racchiusa nella dinamica della coalizione contro l’Isis e l’estremismo islamista che oggi combatte nel Vicino Oriente.

Se questa coalizione dovesse espandersi al nascente jihadismo libico e saldarsi con il jihadismo che la Francia già tiene a bada nel Sahel, allora l’intervento armato in Libia ci sarebbe e avverrebbe dalla parte del governo libico che la comunità internazionale considera ancora legale - cioè quello legato all’Egitto, agli Emirati e all’Arabia Saudita, che combatte contro tutti gli islamismi e ha ottime relazioni con i governi occidentali.

Non è però sicuro se, a conti fatti, tutto ciò corrisponderebbe ai fini che il professor Vandewalle e la stessa Ue hanno in mente.

Perciò, l’intervento militare appare un’ipotesi poco fattibile, piuttosto rischiosa, anche controproducente. Forse, allora, bisogna farsi coraggio e sforzarsi di ritrovare il filo di un’azione diplomatica efficace.

Sulle conseguenze di qualsiasi pur vittorioso intervento militare non coi si può fare molte illusioni: meglio se il successo è raggiunto con mezzi politici e diplomatici.

Roberto Aliboni è consigliere scientifico dello IAI.
- See more at: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=2882#sthash.kJ6e1hFY.dpuf

Egitto. Visita del presidente Al-Sisi in Italia

Relazioni Italia-Egitto
La scommessa spericolata di Renzi su Al-Sisi
Azzurra Meringolo
23/11/2014
 più piccolopiù grande
Nel vecchio continente per spiegare agli europei "ciò che succede in Egitto e nella regione”. È questa la missione che il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi vuole portare al termine nel suo viaggio tra Italia e Francia dal 23 al 25 novembre.

Realpolitik italiana
La tappa romana si inserisce in una fitta agenda di incontri bilaterali che negli ultimi mesi i ministri del governo di Matteo Renzi hanno avuto con i colleghi egiziani.

Il nostro premier è stato il primo leader occidentale ad atterrare al Cairo, lo scorso agosto, per stringere le mani a Al-Sisi.

Una visita, preceduta da due missioni dell’allora ministro degli Esteri Federica Mogherini, nella quale Renzi riuscì a dire al presidente egiziano tutto quello che questo ex generale, visibilmente commosso dalla comprensione e dalla vicinanza italiana, voleva sentirsi dire. A questo viaggio seguirono quelli del ministro degli interni Angelino Alfano e del ministro della Difesa Roberta Pinotti.

Insomma, l’Italia ha scommesso sul nuovo regime di Al-Sisi e sul ruolo stabilizzatore che questo può giocare nella regione, adottando una realpolitik che parte dalla comprensione e dall’accettazione delle preoccupazioni securitarie egiziane.

Libia, “stato islamico” e controllo delle coste
Molti i temi bilaterali e internazionali in agenda il 24 e il 25 novembre. Partendo dal ruolo dell'Egitto nello scacchiere mediorientale, Al-Sisi presenterà il suo paese come una potenza stabilizzatrice della regione, ricordando il ruolo di negoziatore (seppur svogliato) che il Cairo ha giocato nel conflitto israelo-palestinese e mostrando il suo interesse a risolvere il dossier libico, mal di testa che il nuovo ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha ereditato dal suo predecessore.

Al contempo però, Al-Sisi presenterà l’Egitto come una nazione minacciata dalle cellule jihadiste alleate dell’autoproclamatosi stato islamico che potrebbero usare il Cairo come avamposto per il Maghreb.

È proprio la carta della minaccia terroristica quella che Al-Sisi è pronto a gettare sul tavolo qualora (cosa molto improbabile) qualcuno lo disturbasse con domande relative alla performance democratica del nuovo regime.

Tra i dossier in discussione vi è la questione del controllo delle coste. Anche se non è suggellata da alcun accordo formale, questo continua a essere un dossier sul quale si misura il successo della crescente cooperazione bilaterale.

Business Council italo-egiziano
Ciononostante saranno le trattative commerciali quelle da osservare per giudicare il successo della visita. La scommessa italiana sul nuovo regime egiziano manca infatti di concretezza economica.

Fonte: Eurostat, rielaborati nel settembre 2014 dal Rapporto sulle "Relazioni Economiche tra l’Italia e il Mediterraneo" di SRM.

Il Cairo è uno dei principali partner commerciali dell’Italia che è a sua volta il primo partner dell’Egitto in Europa.

Nel 2013 il saldo della bilancia commerciale è stato positivo per l’Italia (quasi 1,0 miliardi di euro), con un trend in crescita rispetto agli ultimi due anni. I due paesi si sono scambiati beni per un valore di 4,7 miliardi di dollari, un trend cresciuto secondo le stime del 6,5% nella prima metà del 2014.

Ciononostante, gli investitori italiani sono scoraggiati a fare business in Egitto, impauriti dalla mancanza di liquidità egiziana, dell’instabilità economica, della burocrazia e delle azioni giudiziarie poco trasparenti.

Per questo il Business Forum del 25 novembre sarà l’evento in grado di misurare il progresso della relazione commerciale dei due paesi.

L'Italia ha già 902 progetti di investimento in Egitto, ma gli imprenditori italo-egiziani che dal 2006 afferiscono al Business Council si aspettano di più. L’ultima volta che questo consiglio d'affari misto si è ufficialmente incontrato risale al 2012, quando l’Egitto era nelle mani del presidente Mohammed Mursi ora in carcere.

Stabilità sostenibile e durevole
Quanti ascolteranno Al-Sisi spiegare ciò che succede nel suo paese dovrebbero ricordare che l’Egitto è un paese controverso agli occhi dei membri dell’Unione europea. Come ricordava su questa rivista Roberto Aliboni lo scorso agosto, la feroce repressione contro i Fratelli Musulmani, i giornalisti, gli sparuti e sprovveduti liberali del paese mostra l’emergere di un regime chiaramente autoritario, per molti aspetti più chiuso di quello dell’ex presidente Hosni Mubarak.

Basti pensare che dal luglio 2013, le autorità egiziane hanno ammesso di aver incarcerato 22 mila persone, 41 mila secondo le stime dell’Egyptian Center for Economic and Social Rights.

Non dovremmo forse utilizzare, come proponeva Paolo Gentiloni su Europa prima di entrare nella squadra di Renzi, “l’evidente interesse dell’Egitto ai rapporti con l’Italia per favorire una maggiore apertura politica del regime”?

L’Italia deve districarsi su un doppio binario. Se da una parte non abbiamo interesse a mostrarci, in Europa, come un paese che chiude gli occhi nei confronti di certe violazioni in contrasto con i valori comunitari, dall’altro non vogliamo neanche intaccare il tradizionale rapporto privilegiato che ci lega all’Egitto e che potrebbe tornarci utile, soprattutto se voltiamo lo sguardo verso la Libia.

L’obiettivo dovrebbe essere il sostegno non tanto a una stabilità politica che rischia di essere di breve durata perché insostenibile e cara in termini di rispetto dei diritti umani, ma a una transizione verso un regime la cui stabilità sia al contempo inclusiva, sostenibile e durevole nel lungo periodo.

Azzurra Meringolo è ricercatrice presso lo IAI e caporedattrice di Affarinternazionali. Coordinatrice scientifica di Arab Media Report. Potete seguirla sul suo blog e su twitter a @ragazzitahrir.
- See more at: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=2884#sthash.FgIUvjNq.dpuf