Il 28 e 29 aprile, poche settimane dopo l’incontro con Trump a Washington, il presidente egiziano al-Sisi si appresta a ricevere Papa Francesco. Nel mezzo, ci sono stati due terribili attacchi terroristici, che il 9 aprile hanno colpito la cattedrale copta di San Marco ad Alessandria e la chiesa di San Giorgio di Tanta.
I due attacchi da un lato confermano che la comunità cristiana in Egitto rimane uno dei principali bersagli della violenza jihadista e dall’altro minano le basi del patto ‘non scritto’ tra al-Sisi e i suoi alleati occidentali. L’ involuzione democratica del Paese nordafricano è infatti sinora avvenuta con il tacito benestare dell’Occidente, in cambio del ruolo di stabilizzazione che l’Egitto esercita nel quadrante mediorientale.
Il patto ‘non scritto’ con l’Occidente Tale accordo è stato peraltro implicitamente confermato nel recente incontro tra al-Sisi e Trump, in cui l’ex generale ha incassato l’appoggio del magnate presidente. Tuttavia, gli attentati della domenica della Palme, che fanno seguito all’attacco alla Cattedrale di San Marco al Cairo del dicembre 2016, sono parte di un trend allarmante, che ha visto l’Egitto teatro di circa quaranta tra aggressioni ed attacchi a luoghi di culto cristiani a partire dal 2013, anno della deposizione dell’ex presidente Morsi.
Washington ed i suoi alleati, sinora disposti a chiudere un occhio sulle pratiche antidemocratiche del governo al-Sisi, potrebbero ritirare presto il loro appoggio incondizionato, soprattutto se la situazione interna del Paese dovesse ulteriormente deteriorarsi.
Le norme approvate dal governo egiziano sotto la comune etichetta di misure anti-terrorismo, impedendo di fatto il dialogo democratico nel Paese e riducendo drasticamente lo spazio riservato alle opposizioni e alle organizzazioni della società civile egiziana, hanno finito per esacerbare il settarismo che il presidente aveva promesso di combattere e che continua invece ad inquinare la società egiziana.
La repressione controproducente La feroce repressione contro l’opposizione, specie quella di matrice islamista, sembra infatti avere fomentato la radicalizzazione del suo discorso politico. Il giro di vite operato ai danni della Fratellanza Musulmana, le incarcerazioni avvenute senza regolare processo e la violenta repressione delle manifestazioni di piazza hanno dato credito alla componente più giovane e spesso più estremista del movimento, ai danni della ‘vecchia guardia’, pacifista e non-violenta, i cui leader scampati al carcere sono ormai costretti all’esilio.
Gli islamici egiziani intravedono nelle tattiche repressive dell’ex generale una chiara strategia per escluderli dall’arena politica egiziana e temono soprattutto un pericoloso ritorno agli anni di Nasser, in cui i Fratelli Musulmani erano oggetto di sistematica persecuzione.
In una società così lacerata al suo interno, il sedicente Stato islamico, Isis, facendo leva sull’elemento religioso, ha gioco facile nel fomentare ulteriormente le divisioni interne, colpendo i cristiani per acquisire consensi nella comunità musulmana. I copti, che rappresentano il 10% di un Paese a stragrande maggioranza musulmana sunnita, sono stati da sempre sotto-rappresentati a livello istituzionale e hanno costantemente faticato a vedersi garantita la propria libertà di culto.
I riflessi sui copti e l’arrivo di Francesco L’avvento al potere di un presidente che prometteva di garantire sicurezza e protezione ai cristiani d’Egitto era stato quindi accolto con favore dalla comunità copta. Tuttavia, i cristiani d’Egitto, che sin dall’estate 2013 sono stati additati come sostenitori di un regime oppressore e liberticida e sono stati oggetto di attacchi e rappresaglie, nutrono sempre più dubbi sulla capacità dell’ex generale di tutelarli.
La visita in Egitto di Papa Francesco, che avviene quindi in una fase particolarmente delicata per gli equilibri interni del paese nordafricano, ha un valore altamente simbolico. Essa serve infatti a sottolineare la vicinanza tra la Chiesa cattolica e quella ortodossa d’Egitto, nonché a portare il sostegno del pontefice in un momento così drammatico per la comunità copta e in generale per i cristiani in Medio Oriente.
Soprattutto, tale viaggio costituisce un ulteriore tassello di un delicato processo di riavvicinamento al mondo musulmano che vede il pontefice impegnato in un complesso dialogo interreligioso, dopo le tensioni che avevano segnato il pontificato di Benedetto XVI. I rapporti si erano infatti quasi interrotti quando il precedente pontefice, dopo l’attentato alla comunità copta di Alessandria nella notte di capodanno del 2011, aveva denunciato il “vile gesto di morte” e aveva esortato i governi della regione ad adottare misure efficaci per la protezione delle minoranze religiose.
L’uomo giusto su cui puntare? Interpretando tali dichiarazioni come un’ingerenza non richiesta, il Cairo aveva allora ritirato l’ambasciatore presso la Santa Sede e l’Università sunnita di Al-Azhar del Cairo, uno dei più autorevoli centri d’insegnamento religioso dell’islam sunnita, aveva sospeso il dialogo con la Santa Sede.
Proprio l’incontro tra l’Imam di Al-Azhar, Ahmad al-Tayyb, e il Vescovo di Roma nel maggio 2016 ha rappresentato una svolta storica per un dialogo rinnovato con il mondo islamico sotto il pontificato di Francesco ed è stato l’occasione per ribadire il comune impegno per la pace ed il rifiuto di ogni forma di violenza e terrorismo. Tale incontro, peraltro, dovrebbe replicarsi in occasione della visita di Francesco in Egitto, in un momento ancor più delicato.
Bergoglio, che vola al Cairo per riaprire un dialogo tra le due grandi religioni monoteiste, si troverà quindi a dialogare con al-Sisi che aveva promesso di farsi campione di un Islam moderato in contrapposizione alla visione distorta e sanguinaria promossa dall’Isis, ma le cui politiche repressive sono state sinora incapaci di fermare l’onda di attacchi che sta sfaldando il paese. Sullo sfondo, alla luce dei fatti del 9 aprile, occorre capire se Trump, e con lui l’Occidente filo-americano, ritengano ancora l’ex generale egiziano l’uomo giusto su cui puntare.
Stefano Cabras, Laureato in Scienze Economiche presso l'Università di Roma Tor Vergata, concluderà in ottobre il Master in European and International Studies all'Università di Trento. Attualmente stagiare presso La Rappresentanza Permanente d'Italia presso l'Ue. .
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