Il G20 e l’Africa Migranti: Angela l'Africana è una risposta Giuseppe Cucchi 20/06/2017 |
Si tratta di un problema che, al di là di tutte le speranze degli altri Stati membri dell’Ue che hanno chiuso la rotta balcanica pagando il ricatto turco e hanno sospeso Schengen, sperando in tal modo di confinare i nuovi arrivati dalla nostra parte delle Alpi, rimane un problema comune a tutti i Paesi dell'Unione.
Un flusso in crescita e un problema che s’aggrava
Il flusso dei migranti è infatti un flusso, come quello dell'acqua, e dei flussi ha tutte le caratteristiche. Ci si può quindi illudere di arrestarlo, magari costruendo muri e barriere che non si capisce mai bene se siano strumento di interdizione diretto verso l'esterno o strumento di ricerca di consenso elettorale rivolto verso l'interno, ma il flusso non si arresterà mai. Magari rallenterà per un attimo, ma poi troverà sempre il modo per riprendere a filtrare.
Inoltre, se si guardano le statistiche dell'ultimo decennio, ci si accorge di come si tratti di un flusso in continua crescita, e per di più una crescita che avviene con un ritmo che lo porta ad aumentare quasi esponenzialmente. Se poi si tenta una proiezione e un confronto fra quello che avverrà in Europa e in Africa nei prossimi decenni, valutando il tutto alla luce del previsto sviluppo economico del Continente Nero, si vede come, a meno di cambiamenti radicali, il problema sia destinato ad aggravarsi e non certo a scemare con il trascorrere del tempo.
È proprio questa sua straordinaria dimensione che lo rende tanto terrorizzante da fare divenire difficile, se non impossibile, reperire il coraggio di affrontarlo con metodo e raziocinio. Come spesso succede nelle cose umane in situazioni del genere ci rifugiamo quindi nel sentimento, rifiutando di ascoltare la ragione.
I buonisti e i miopi, tra sentimento e ragione
È quanto fanno tutti coloro che si schierano per la incondizionata accoglienza dei migranti, rifiutandosi di vedere come accoglienza senza inserimento significhi consegnarli in blocco nelle mani dei caporali dell'agricoltura, dei racket della contraffazione dei marchi, dei gestori delle reti di distribuzione della droga o di quelle della prostituzione, nonché nell'isolamento dei ghetti mono-razzialio di baraccopoli di periferie degradate.
Oppure ci diamo buona coscienza affrontando il problema dell'oggi e vivendolo giorno dopo giorno per non vedere il ben più grande problema di domani. È l'ottica che domina tutte le azioni navali di soccorso in atto nel Mediterraneo, con presenze che hanno probabilmente salvato migliaia di vite umane ma che nel contempo hanno indubbiamente fatto crescere il flusso, lasciando nel contempo indisturbati o addirittura favorendo come effetto collaterale i trafficanti che su tale traffico speculano.
E ciò grazie anche all'infinita serie di auto limitazioni che ci imponiamo o per incapacità a raggiungere un accordo collettivo o per un continuo rifiuto di ricorrere alla forza giusta anche dove l'uso della forza giusta risulterebbe indispensabile.
Siamo insomma prigionieri del cosiddetto "problem solving avoidance mechanism”, cioè del riflesso che, davanti ad un problema apparentemente insolubile, o per lo meno difficilissimo da affrontare, ci spinge a crearci problemi minori più facilmente gestibili che ci tengano talmente occupati da impedirci di alzare la testa e di vedere l'interrogativo macroscopico.
Migliorare la sicurezza e combattere la povertà
Da qualche tempo in ogni caso si è cominciato a parlare di un altro modo di affrontare il flusso dei migranti, vale a dire combattendo all'origine le due piaghe che lo innescano, cioè da un lato la mancanza di sicurezza di Paesi travagliati da terrorismo, rivolte e guerre, e dall'altro l'estrema povertà accompagnata dalla totale assenza di prospettive per il futuro.
Bisognerebbe quindi evitare che gli africani fossero ridotti in quelle condizioni in cui, come disse un tempo un direttore generale della Fao, hai soltanto tre soluzioni: "o ti ribelli , o muori oppure emigri!".
Un primo tentativo di porre in opera a Bruxelles un "migration compact" si è risolto in ben poco di fatto, ma se non altro ha avuto il merito di richiamare l'attenzione di tutti gli stati membri dell'Ue sul problema , evidenziando tra l'altro come le sue dimensioni siano tali da richiedere uno sforzo collettivo della intera Unione, magari allargata a tutti gli altri Stati ad economia avanzata che riterranno opportuno partecipare.
Dal “migration compact” Ue al piano tedesco del G20
Un concetto che certo non inficia la validità delle iniziative individuali di Paesi che cercano sin da ora di fare qualcosa alla loro portata. È il caso dell'Italia con il cosiddetto ‘Piano Minniti’, che però appare molto più centrato sul settore del ripristino della sicurezza nelle aree più travagliate che su quello dello sviluppo economico.
In prospettiva ciò che appare più promettente è ora il piano di intervento che la Merkel sembrerebbe intenzionata a proporre al G20 nel corso della prossima riunione del Gruppo che verrà gestita dai tedeschi a luglio, ad Amburgo. Sono già in corso riunioni preparatorie con la partecipazione anche dei presidenti di parecchi Paesi africani, compreso quello della Guinea che è anche presidente dell'Unione africana.
Si può quindi se non altro sperare in una possibile evoluzione favorevole della situazione e perché l'iniziativa tedesca sembra destinata a coinvolgere tutte le parti interessate e perché il peso della leadership di Berlino dovrebbe risultare sufficiente a smuovere anche i riluttanti che sino ad ora si sono trincerati dietro i loro muri, metaforici o meno che essi siano.
Angela l'Africana, dunque? Auguriamocelo sinceramente!
Giuseppe Cucchi, Generale, è stato Rappresentante militare permanente presso la Nato e l’Ue e Consigliere militare del Presidente del Consiglio dei Ministri.
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