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Metodo di Ricerca ed analisi adottato


Il medoto di ricerca ed analisi adottato è riportato suwww.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com

Vds. post in data 30 dicembre 2009 seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità delloStato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento al medesimo blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

lunedì 2 marzo 2015

Libia: la pressione dei Paesi del Golfo

Medio Oriente
Guerra per procura egiziana in Libia
Azzurra Meringolo
26/02/2015
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Niente da fare. Neanche il Marocco riuscirà a ospitare l’ennesimo disperato tentativo di dialogo nazionale sponsorizzato dalle Nazioni Unite.

Il parlamento di Tobruk - l’assemblea libica riconosciuta dalla comunità internazionale, ma non dal Congresso Generale Nazionale (Cgn) di Tripoli - ha infatti annunciato che boicotterà i tavoli negoziali.

Se le due tutt’altro che compatte fazioni interne alla Libia non riescono a discutere una eventuale soluzione politica della crisi, neanche gli attori esterni implicati nella faccenda concordano nel pensare che la creazione di un governo di unità nazionale sia la prima condizione necessaria - anche se magari non sufficiente - per evitare che la Libia cada nel baratro della somalizzazione.

Soluzione politica per Algeria, Tunisia, Turchia e Qatar
A sostenere l’opzione politica sono in primis Algeria e Tunisia. Soprattutto la prima vuole infatti contenere l’interventismo dei paesi del Golfo, pronti ad affiancarsi all’Egitto in una guerra per procura. Non tutti sono di questo avviso, però. Il Qatar, da anni il battitore libero della regione, sembra infatti più allineato alla Turchia.

Del resto, sono anni che Doha e Ankara fanno coppia fissa quando si tratta di sostenere e difendere quell’Islam politico che in Libia è rappresentato dal Cgn di Tripoli.

Secondo alcune fonti, piuttosto che intervenire militarmente a sostegno della loro fazione preferita, entrambe le capitali sarebbero pronte ad appoggiare un accordo politico. Questa mossa non è piaciuta alle autorità di Tobruk, che hanno deciso di negare alle società turche la possibilità di operare in Libia.

Tandem Haftar-Al Sisi
I più interventisti sembrano Egitto ed Emirati Arabi Uniti, già accusati, lo scorso agosto, di aver lavorato di sponda per condurre raid aerei nei dintorni di Tripoli. Anche se entrambi hanno negato quanto sostenuto da funzionari statunitensi, bombardamenti simili sono stati segnalati anche nelle settimane successive.

La settimana scorsa, il Cairo - che non ha mai smesso di dare assistenza militare alle autorità di Tobruk - è infine uscito allo scoperto. Con un intervento armato - prima aereo e poi terrestre -, l’Egitto ha reso pubblica una volta per tutte la guerra per procura che combatte in Libia da almeno un anno.

Già a inizio 2014, infatti, si parlava di elementi dei servizi segreti egiziani in Cirenaica, dettaglio che faceva capire che il presidente egiziano Abdel Fattah Al-Sisi avrebbe potuto trovare nella parte orientale della Libia lo scenario dove mostrare i suoi muscoli.

Del resto erano mesi che, non disdegnando l’opzione di un’annessione della Libia orientale, l’Egitto continuava a inviare poche ma costanti armi a Khalifa Haftar, il generale libico a capo delle milizie anti-islamiste.

Coordinandosi con lui, il “nuovo” regime egiziano ha così esteso oltre i suoi confini la guerra ai suoi più acerrimi nemici interni, quei Fratelli Musulmani che nell’estate 2013 sono forzatamente usciti di scena, grazie all’intervento dell’esercito egiziano.

Interventismo egiziano
Dopo aver sollecitato - invano- al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite un’azione militare, il Cairo ha chiesto di eliminare l’embargo contro le forniture di armi a qualsiasi soggetto libico per permettere alle autorità di Tobruk di armarsi ulteriormente. Anche questa proposta è però rimasta tale.

Anche se il video dei 21 copti egiziani giustiziati dalle forze dell’autoproclamatosi “stato islamico” hanno servito ad Al-Sisi il casus belli per l’intervento armato in Cirenaica, resta ora da vedere fino a che punto si estenderà la sua campagna di Libia.

Sul fronte internazionale, l’attivismo di Al-Sisi potrebbe dare al presidente egiziano un ruolo ancora più centrale nella lotta internazionale contro il “califfato”, aiutandolo a ergersi come il Martin Lutero arabo che combatte il fanatismo religioso ora alla ribalta.

Sul fronte interno,vendicando il sangue egiziano, Al-Sisi potrebbe poi guadagnare consenso in un momento cruciale del suo mandato, quando la sua agenda politica rischia di essere messa in stallo dalle sempre più diffuse critiche di violazione dei diritti umani.

Ma a queste opportunità politiche si affiancano delle sfide. L’interventismo egiziano mette a nudo anzitutto le principali spine nel fianco del governo del Cairo: il Sinai e il confine libico, zone porose che continuano a minacciare la sicurezza nazionale.

L’Egitto, infine, non sembra in grado, da solo, di ricostruire il puzzle libico, evitando il collasso dell’ex patria di Gheddafi. L’interventismo di Al-Sisi sembra un passo più lungo della gamba destinato a fallire. In tal caso, le ripercussioni lungo il Nilo e dentro i ranghi militari non sarebbero poche.

Azzurra Meringolo è ricercatrice presso lo IAI e caporedattrice di Affarinternazionali. Coordinatrice scientifica di Arab Media Report. Potete seguirla sul suo blog e su twitter a @ragazzitahrir.
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