CHEIKH ANTA DIOP
Osvaldo Biribicchi
Nell’Africa
Subsahariana, a Dakar, capitale del Senegal, presso l’Istituto Fondamentale
dell’Africa Nera esiste un laboratorio di datazione al carbonio 14, il primo
realizzato in Africa. Il padre di questa meraviglia tecnologica è lo stesso che
ha tradotto in lingua wolof la teoria della relatività di Albert Einstein: Cheikh
Anta Diop. Definire questo illustre personaggio un luminare della scienza è limitativo
perché lui, oltre a fisico e chimico, è stato anche antropologo, linguista,
storico ed egittologo. Diop nasce il 29 dicembre 1923 in Senegal, all’epoca parte
dell’Africa Occidentale Francese[1], in una famiglia
appartenente all’aristocrazia del gruppo etnico wolof. In quel periodo la
società senegalese era ancora ferita dall’enorme tributo di vite umane pagato
durante la prima Guerra Mondiale nel corso della quale duecentomila giovani
erano stati reclutati in quella parte dell’impero coloniale francese e mandati
a combattere in Europa in difesa dei francesi loro colonizzatori. Diop inizia
gli studi in una scuola coranica e prosegue nelle scuole coloniali francesi;
nel 1946 si trasferisce a Parigi e si iscrive alle facoltà di Matematica
Superiore e di Lettere della Sorbona. Qui si laurea in filosofia e consegue
anche il dottorato in scienze dell’antichità. Si specializza in fisica nucleare
presso il Laboratoire de chimie nucléaire du Collège de France e collabora con
il premio Nobel per la chimica Jean Frédéric Joliot-Curie. Fin dall’inizio, Diop
orienta i suoi studi nei vari campi del sapere alla riabilitazione della antica
cultura africana soffocata dal colonialismo europeo. Parallelamente, si
prefigge un altro non meno gravoso obiettivo: risvegliare gli africani dal
lungo sonno storico e culturale in cui l’intellighenzia occidentale li aveva
artificiosamente ed ingiustamente sprofondati. “Fatta eccezione per il suo
trattato di Physique nucléaire et cronologie absolue, tutti i titoli dello
studioso senegalese portano sullo stesso soggetto: l’Africa. È come se il
ricercatore avesse scoperto un mondo privo di neri, nel senso che essi per lui
vanno ormai riconosciuti al di fuori dei discorsi quasi etnocidi misti a un
paternalismo impenitente”[2]. L’intenzione è ambiziosa:
gettare le basi di un nuovo rinascimento culturale africano che non può
prescindere dalla ricostruzione dell’identità storica degli africani stessi,
mortificati dalla presunta autoreferenziale superiorità culturale occidentale,
europea in particolare, che a partire dal XV secolo oltre ai noti danni
visibili ne ha creato uno invisibile, forse anche peggiore e più devastante,
l’annullamento della identità culturale africana. In sostanza, lo studioso
senegalese vuole ridare alla cultura africana il giusto posto che gli spetta
nella storia dell’umanità ed inizia a lavorare al suo progetto, dopo la fine
della seconda guerra mondiale, proprio là dove era nato il germe del
colonialismo: l’Europa. La scelta di tempo non poté essere migliore: i cittadini
europei usciti stremati dall’immane conflitto, avevano voglia di tornare a
vivere liberi in una società nuova, ricostruire le proprie case. Il nazismo era
stato sconfitto grazie anche al sacrificio di centinaia di migliaia di giovani
africani che avevano combattuto, così come nella Grande Guerra, inquadrati
negli eserciti dei Paesi colonialisti. In questa Europa stremata ma ricca di nuovi
e vivaci fermenti culturali Diop intuisce che l’opinione pubblica è pronta a
recepire le giuste rivendicazioni dei popoli africani. Purtroppo, quella
iniziale sensibilità dei cittadini europei agli aneliti di libertà provenienti
dall’Africa Nera attraverso i suoi intellettuali di punta ben presto svanisce, anestetizzata
dai veleni della Guerra Fredda e dalla contrapposizione ideologica tra
capitalismo e comunismo. L’Africa con tutti i suoi problemi e contraddizioni nel
sentire comune della gente è lontanissima, a meno degli aspetti folcloristici o
delle crociere sul Nilo, e può aspettare. Nonostante ciò, Diop continua a
portare avanti tenacemente il proprio lavoro nella ferrea convinzione che solo la
verità storica oggettiva, dimostrata e supportata dalle evidenze scientifiche,
possa rimuovere tutte le mistificazioni che avevano giustificato ed accompagnato
la politica colonialista europea. Gli studi non sono disgiunti da un concreto
impegno civile, nel 1951, in veste di segretario generale della Association des
Étudiants du Rassemblement Démocratique Africain organizza, nel più vasto
quadro delle iniziative a favore dell’indipendenza africana, il primo Congrès
Panafricain Politique d’Étudiants aperto anche gli studenti delle colonie
inglesi. Sempre in quell’anno presenta la tesi di dottorato in cui espone la
sua dirompente teoria: “la civiltà dell’antico Egitto appartiene totalmente
all’Africa nera, che dimostra così di essere all’origine della cultura, della
storia e della civilizzazione occidentale, contro la tesi universalmente
propugnata, che la fa scaturire dal “miracolo greco”[3]. Il mondo accademico
ufficiale gli oppone una palese resistenza, la tesi viene respinta; riesce a
ripresentarla e laurearsi nove anni dopo, nell’anno delle indipendenze
africane, il 1960. “Qual era l’obiettivo di questo fisico e umanista
senegalese? Far entrare l’Africa nella storia da cui era stata espulsa,
ricollocarla nelle grandi narrazioni nelle quali veniva regolarmente
dimenticata. Affermare che l’Antico Egitto affondasse le sue radici culturali,
e non solo, nel mondo nero costituiva un tentativo di ciò che lo scrittore
keniano Ngugi wa Thiong’o definisce “spostare il centro del mondo”. L’Egitto
dei Faraoni era sempre stato considerato dalla storiografia europea una civiltà
mediterranea e pertanto “nostra”, facente parte del nostro mondo. La sua collocazione
africana sembrava essere un mero dato geografico, non culturale […] Cercò nella
linguistica le prove della continuità tra la parlata dell’antico impero e le
lingue africane della valle del Nilo, e addirittura tra l’egiziano antico e
alcune lingue dell’Africa occidentale”[4]. Dimostrare o meglio
riuscire ad affermare nel mondo accademico ufficiale questa tesi significava
riabilitare le culture negro-africane e far uscire l’Africa dalla condizione di
continente astorico in cui l’etnocentrismo europeo l’aveva relegata. L’impegno
scientifico diventa impegno politico di altissimo livello e viceversa, i due
campi si intrecciano e si fondono insieme, Diop non è un politico nel senso
classico del termine e non deve raccogliere voti, la sua missione è la rinascita
dell’Africa senza distinzioni statuali o di appartenenze etniche, la sua
autorevolezza “politica” poggia sulla sua autorevolezza morale di uomo e di
scienziato serio e rigoroso. Si rende tristemente conto che la regressione
culturale degli africani, la perdita della memoria storica e la mancata
conoscenza della grandezza della propria civiltà passata è talmente accentuata
che le nuove generazioni, in lotta per la quotidiana sopravvivenza fra
carestie, pandemie e guerre, l’hanno metabolizzata come una normale condizione
alla pari dell’alternarsi delle stagioni secche con quelle umide. Diop, con il
proprio poliedrico lavoro supportato costantemente da puntuali ed oggettivi
riscontri scientifici, cerca di risvegliare da questo lungo sonno della memoria
tutti i popoli africani. La storia africana non è quella raccontata dagli
europei: “Il grande pubblico conosce in modo alquanto approssimativo la
storia dell’Africa; la versione più diffusa è quella ispirata alla “teoria del
buon selvaggio”, di derivazione illuminista. Lavori come i film di Hollywood, i
manuali scolastici, i fumetti di Tin Tin, Tarzan, Zembla, Akim, ecc. sono il
frutto di una lettura che rispecchia la versione coloniale della storia
africana. Non si tratta di un discorso accademico che si propone di ricostruire
la storia dell’Africa a partire da fonti attendibili, bensì di un discorso di
tipo rappresentativo, basato sulle preoccupazioni e gli interessi del momento
storico (nella fattispecie servire il disegno politico, economico e culturale dell’amministrazione
coloniale). Un discorso accademico sulla storia dell’Africa, tuttavia, esiste.
Dagli anni Sessanta, infatti, gli amministratori coloniali - gli unici che,
fino ad allora, avevano scritto la storia africana - passarono il testimone ad alcuni
accademici africani ed europei. Questi ultimi adottarono un metodo che
corrisponde e soddisfa i criteri accademici in ambito storiografico, creando
così una letteratura accademica sulla storia dell’Africa. Ciononostante, la
letteratura accademica sulla storia africana ad oggi esistente presenta una
dicotomia; essa si divide infatti in due scuole di pensiero opposte
riguardo alla traiettoria storica dell’Africa: la visione di Hegel e quella di
Cheikh Anta Diop”[5]. Il filosofo tedesco Georg
Wilhelm Friedrich Hegel, avvalendosi della ricerca etnografica come metodo
scientifico per studiare la cultura africana, sosteneva nelle sue Lezioni sulla
filosofia della storia che l’Africa era un continente astorico. La teoria del
filosofo tedesco, che si basava sulla raccolta indiretta di dati riportati da
missionari, esploratori ed altri attori che a vario titolo entravano in
contatto con l’Africa, sviluppatasi agli inizi del XIX secolo, non solo ha
influenzato in maniera decisiva la cultura ed il mondo accademico europeo ma ha
fornito sul piano politico la giustificazione morale, la base ideologica per
avviare una sistematica colonizzazione dell’Africa che con la Conferenza di
Berlino (1884 - 1885) avrebbe toccato l’apice con la spartizione a tavolino del
continente tra le potenze europee. All’opposto, Diop è convinto che per
studiare le società bisogna conoscerne le lingue: “Per lavorare sull’antico
Egitto, Cheikh Anta Diop ha dovuto apprendere a decifrare i geroglifici, e
questo gli permetterà di scoprire che gli egizi si comportano come gli altri
neri d’Africa e si considerano alla loro stregua”[6]. Le due teorie hanno dato
vita a due distinte scuole di pensiero, quella definita dogmatica facente capo
alla visione hegeliana e quella razionalista avente come riferimento la visione
dell’intellettuale senegalese. “La letteratura prodotta da questa scuola
conduce a una visione secondo cui il movimento della storia africana appare
come movimento di piena storicità, non solo a livello delle istituzioni
politiche, dell’organizzazione sociale ed economica e delle rappresentazioni
religiose e filosofiche, ma anche delle opere tecniche e scientifiche”[7]. Diop, attraverso il
concetto di regressione storica, fornisce una risposta anche alla teorizzazione
da parte della scuola dogmatica del presunto ritardo storico degli africani
rispetto al resto dell’umanità; un ritardo sia materiale che spirituale. Per
Diop una civiltà urbana può ritornare (regredire) ad una civiltà rurale ed
anche forestale a causa di più ragioni: perdita della propria indipendenza per
un lungo periodo di tempo; perdita del controllo scolastico ed educativo o
crollo della coesione nazionale. Il tessuto sociale, culturale e politico delle
società africane del XIX e XX secolo è il risultato della violenza esercitata
dagli Stati europei a partire dal XVI secolo. Una verità sul piano storico
scientifico che non può essere mistificata come ritardo storico, offensivo per
i milioni di morti che il colonialismo ha lasciato dietro di sé. È evidente che
una simile visione della storia africana abbia dei risvolti di carattere
politico in quanto va ad intaccare alle fondamenta i presupposti storici e
culturali su cui per secoli si è fondata l’egemonia europea in Africa. Diop
vuole che i propri studi escano dall’astratto ambito accademico e diventino
patrimonio di tutti i giovani africani affinché i futuri leader possano mettere
in atto politiche basate su un umanesimo africano, antidoto a modelli culturali
imposti dall’esterno, in grado di superare conflitti etnici ed artificiose divisioni
statuali. Negli studi e ricerche è affiancato e sostenuto dal Théophile Obenga,
suo allievo nonché raffinato intellettuale panafricanista, storico, linguista e
specialista in egittologia nero-africana, anche lui convinto assertore sul piano
politico della unità continentale dell’Africa, della creazione di uno Stato
federale panafricano con una lingua unica. “La vera fedeltà a quest’uomo di
cultura che ci ha restituito la nostra memoria si traduce in tutto ciò che ci
permetta di riattualizzare la sua fede nell’uomo africano e di ritrovare la sua
potenza di lavoro e di ricerca, al fine di sottrarci al peggiore degli
addomesticamenti, quello della mente. Il corso della storia può cambiare, se i
popoli neri si riallacciano alla loro tradizione scientifica e tecnica che sta
alla base delle civiltà antiche”[8].
Diop
è morto nel 1986 lasciando alle nuove generazioni un immenso patrimonio
culturale identitario su cui potranno gettare le basi per il Rinascimento
dell’Africa.
Bibliografia
Biribicchi Osvaldo, L’Africa
a Sud del Sahara, Edizioni Archeoares, Viterbo, 2023.
do-Nascimento
José, Storia del continente africano, una lettura razionale e sintetica,
Verona, 2015.
Ela
Jean-Marc, L’Africa a testa alta di Cheikh Anta Diop, Bologna, 2012.
Sitografia
https://associazioneargogaudio.org/news/56-homo-naledi-e-cheikh-anta-diop-due-interrogativi
https://www.mondoemissione.it/cultura/lafrica-che-ha-combattuto-per-gli-europei/
http://www.cedad.unisalento.it/
https://pieromazzola.wordpress.com/2014/02/06/cheikh-anta-diop/
https://www.youtube.com/watch?v=W822VOUuMPo (consultato
il 19 giugno 2023)
https://www.youtube.com/watch?v=As1_bAmmovw (consultato il 19 giugno 2023)
[1]
L’Africa Occidentale Francese
era costituita da: Senegal (indipendente dall’11 settembre 1960), Mauritania, Sudan
francese (attuale Mali), Costa d’Avorio, Dahomey (attuale Benin), Guinea
francese (attuale Guinea), Niger e Alto Volta (attuale Burkina Faso).
[2] Jean-Marc Ela, L’Africa a testa
alta di Cheikh Anta Diop, Bologna, Emi, 2012, p. 39.
[3]
Cheikh Anta Diop, Anteriorità
delle civilizzazioni negre, «Rivista semestrale di Filosofia», Incontro con la
filosofia africana, N. 6 - Anno 2009, p. 33, https://romatrepress.
uniroma3.it/wp-content/uploads/2020/01/B@belonline-vol.-6-Incontro-con-lafilosofia-africana.pdf
[4] Jean-Marc Ela, op. cit., p. 14.
[5]
José do-Nascimento, Storia
del continente africano, una lettura razionale e sintetica, Verona,
QuiEdit, 2015, pp. 21-22.
[6]
Jean-Marc Ela, L’Africa a
testa alta di Cheikh Anta Diop, Bologna, Emi, 2012, p. 53.
[7]
José do-Nascimento, op. cit.,
p. 25.
[8] Jean-Marc Ela, op. cit., p.
147.
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