di Marta Cavallaro
A due settimane dall’inizio delle proteste la situazione rimane tesa nella Repubblica Democratica del Congo e si paventa la possibilità di un ritiro totale delle forze Onu. Quella di lunedì scorso 1° agosto è stata infatti solo l’ultima di una serie di proteste che dalla scorsa settimana si succedono nella Repubblica Democratica del Congo contro Monusco, la missione di pace ONU operativa dal 2010. I manifestanti richiedono il ritiro delle forze Onu, accusate di non essere in grado di proteggere la popolazione e contrastare i gruppi armati attivi nel Paese. Le proteste, cominciate il 25 luglio quando i manifestanti hanno fatto irruzione nella base Onu a Goma, si sono concentrate nell’Est del Paese, nelle province del Nord e Sud Kivu. In una dichiarazione rilasciata il 26 luglio, le Nazioni Unite hanno condannato gli attacchi subiti, accusando i manifestanti di aver attaccato con colpi di arma da fuoco e pietre e di aver saccheggiato e dato fuoco a diverse strutture ONU.
I Caschi Blu non sono però esenti da colpe: il 31 luglio alcuni soldati della missione, di ritorno dall’Uganda, hanno aperto il fuoco contro un gruppo di civili e uomini in uniforme nella città frontaliera di Kasindi. Il diverbio, che è stato ripreso in un video diffuso sui social media, era scoppiato perché al convoglio Onu\ veniva impedito di attraversare la frontiera e rientrare nel paese. Secondo le autorità locali, due civili sarebbero stati uccisi dai colpi dalle forze Onu e i feriti sarebbero una decina. In una seconda dichiarazione, la Rappresentante Speciale del Segretario Generale ha condannato l’accaduto e ha assicurato che un’indagine era già stata aperta per identificare e arrestare i colpevoli. A due settimane dall’inizio delle proteste, i feriti sarebbero almeno 60 mentre i morti almeno 22, di cui 3 membri di Monusco. La situazione rimane tesa: il Governo ha esplicitamente chiesto al portavoce della missione di lasciare il Paese e si paventa la possibilità di un ritiro totale di Monusco.
Tra le più grandi e costose missioni delle Nazioni Unite nel mondo, Monusco conta più di 17.000 Caschi Blu e vanta un budget annuo di 1 miliardo di dollari. La presenza dell’ONU nella Repubblica Democratica del Congo inizia nel 1999 con una missione di osservazione (MONUC) che aveva il compito di monitorare l’implementazione dell’accordo di Lusaka che pose fine alla seconda guerra del Congo. Nel 2010 MONUC è rinominata MONUSCO e investita di un nuovo mandato: proteggere la popolazione civile e dare supporto al Governo congolese nei suoi sforzi per consolidare la pace e stabilizzare il paese. Nel 2014 la missione è stata fornita di una Intervention Brigade, autorizzata a prendere iniziativa in azioni di attacco (e non solo di difesa) per neutralizzare i gruppi armati e ridurne la minaccia.
Negli ultimi anni la fiducia dell’opinione pubblica locale nei confronti dei Caschi Blu è calata precipitosamente. La reputazione delle forze Onu è stata intaccata dagli scandali di violenza e abusi sessuali perpetrati dai membri della missione contro la popolazione e dalla percezione generale del loro fallimento nella lotta contro i gruppi armati. Le proteste degli ultimi giorni sono solo l’ultima espressione di una crescente ostilità nei confronti delle forze internazionali che, seppur presenti nel paese da più di 20 anni e dotate di ingenti risorse, non sono state in grado di ripristinare la pace.
La Repubblica Democratica del Congo rimane un Paese dilaniato da conflitti. Secondo un report pubblicato dal Congo Research Group, sono circa 120 i gruppi armati ancora attivi nell’est del paese, regione ricca di risorse minerarie, oro, diamanti e idrocarburi. Tra i gruppi ribelli spicca l’M23 che, dichiarato sconfitto 10 anni fa, ha ripreso le sue attività dallo scorso novembre. L’offensiva ha provocato una nuova crisi umanitaria che ha ulteriormente esasperato la popolazione congolese mettendo in risalto l’incapacità delle forze ONU di consolidare pace e stabilità in un paese in cui violenza e minacce aumentano di giorno in giorno.
Gli insuccessi di Monusco sono evidenti, ma sarebbe miope attribuire alle forze Onu tutte le colpe del deterioramento della sicurezza nazionale. Feliz Ndahinda, ricercatore indipendente sulla regione dei Grandi Laghi e professore all’Università del Ruanda, sottolinea che Monusco è spesso usata come capro espiatorio da politici e autorità locali per incanalare il malcontento popolare lontano dai vertici del potere. Intervistato da Al Jazeera, Ndahinda ha ricordato che le proteste sono scoppiate qualche giorno dopo le dichiarazioni violente del Presidente del Senato che in un raduno a Goma invitava la missione a “fare le valigie”. Narrative violente come questa tentano di nascondere agli occhi della popolazione che molte delle critiche rivolte a Monusco riflettono un fallimento generale della politica a livello nazionale e regionale.
Fonte Atlante delle Guerre settembre 2022