L’Onu e l’accordo ‘zoppo’ Libia: un arduo percorso dopo Skhirat Roberto Aliboni 26/07/2015 |
Nel corso dei primi sei mesi di quest’anno, “Alba” si è frantumata. Via via che gli ultimi round del negoziato lasciavano emergere l’accordo, i duri e gli irriducibili hanno costituito al posto di “Alba” un “Fronte della Fermezza” di milizie con un buon seguito nel Congresso Nazionale Generale (Cng) - la delegazione che non è andata a Skhirat e non ha firmato l’accordo.
Le istituzioni internazionalmente riconosciute di Tobruk hanno firmato, in particolare la Camera dei Rappresentanti (CdR). Tuttavia, dietro la firma appare in piena evidenza la spaccatura in merito alla presenza e al ruolo del generale Hiftar: circa la metà dei Rappresentanti non lo ha mai voluto e non lo vuole come capo supremo dell’Esercito Nazionale Libico.
Questi rappresentanti e altre forze, anche in seno allo stesso Esercito, aspettano che l’accordo di Skhirat entri in vigore per fare fuori il generale.
Il percorso che l’accordo prefigura
L’accordo - in sostanza una “road map” - prevede ora l’inizio di una seconda fase negoziale nel cui ambito dovranno essere regolati dettagli cruciali: la nomina del presidente e la formazione del Consiglio di Presidenza (che deciderà all’unanimità); la nomina dei membri del nuovo Alto Consiglio di Stato (una sorta di Senato con poteri consultivi - e forse alcuni poteri decisionali negli adempimenti politici maggiori - destinato a cooptare nelle istituzioni i membri del Cng di “Alba” fermo restando il legittimo ruolo di legislatoredella CdR); il governatore della banca centrale; il presidente della compagnia petrolifera di stato (Noc).
Infine, il Consiglio di Presidenza dovrà procedere allo scioglimento delle milizie e alla ricostituzione della catena di comando: è in questa prospettiva che i nemici trasversali di Hiftar prefigurano l’estromissione di Hiftar e dei suoi accoliti.
Dunque, la mediazione dell’Onu ha raggiunto il risultato di enucleare e poi aggregare al centro le forze moderate del paese, interessate e pronte al compromesso, ma - ciò facendo - ha altresì messo ai margini i loro bracci armati e consegnato la guida della transizione a delle forze politiche inermi, esposte alle prevedibili reazioni dei duri di destra e di sinistra. Né Hiftar né i comandanti delusi di “Alba” sono dei Cincinnati.
È evidente l’estrema fragilità di quello che in sé e per sé è un grande successo negoziale. Come oggi ovunque nella regione, i militari prevaricano ogni sviluppo civile e democratico, riproponendo un deplorevole corso storico nel Medio Oriente contemporaneo.
Come consolidare questo successo della diplomazia e proteggerlo dai rischi di violenze e colpi di mano che stanno appena dietro l’angolo, sia nelle vesti dei militari di Tobruk sia in quelle dei vari comandanti di Tripoli e dei loro patroni politici interni ed esterni?
Estrema fragilità del processo negoziale
Innanzitutto, il negoziato continua, sempre sotto la guida di Bernardino Léon (e della diplomazia americana ed europea che fin qui lo ha sostenuto con forza e competenza).
Léon molto saggiamente ha lasciato la porta aperta a tutti coloro che non hanno firmato a Skhirat, senza porre preclusioni di sorta ad islamisti e comandanti. Si ha ragione di credere che non pochi odierni oppositori finiranno per saltare sul carro di Skhirat: ovunque nel paese i sostenitori della guerra sono sempre più isolati. La previsione, perciò, è che l’accordo vada a consolidarsi.
In questa fase ulteriore del negoziato sarà molto importante il ruolo che sapranno svolgere i membri della comunità internazionale. Essi dovranno saper mettere bene in chiaro sia la loro volontà di aiutare la Libia a ricostruirsi come comunità democratica sia la loro intenzione di astenersi da ogni interferenza politica nei loro interventi a favore di questa ricostruzione.
L’opinione pubblica e le elite della Libia sono estremamente sensibili sul punto dell’interferenza ed il rischio è che qualunque benintenzionata azione dall’esterno sia subito affondata da qualsiasi gratuita accusa di asservimento ad interessi e cospirazioni di potenze straniere.
Il ruolo della Comunità internazionale
Ciò pone un grave problema per quanto riguarda l’aiuto di cui hanno invece estremo bisogno le inermi forze centriste destinate a governare la Libia sulla base degli accordi in corso.
L’emergente governo libico ha bisogno come minimo di forze internazionali destinate a sorvegliare i cessate-il-fuoco e le intese di sicurezza che il Consiglio di Presidenza è chiamato dagli accordi di Skhirat a mettere in pratica.
Più in generale ha bisogno di forze internazionali destinate a proteggere le istituzioni, le grandi infrastrutture e le missioni diplomatiche (una forza di cui è difficile per ora sapere se deve essere di semplice “peace keeping” o di “enforcement”).
È difficile dire quali Paesi potrebbero inviare queste forze: ci sono ovvii inconvenienti per quanto riguarda i Paesi occidentali, ma ce ne sono anche per quanto riguarda i paesi arabi e quelli africani. Tutti sono destinati a confrontarsi con una situazione estremamente volatile sul piano della sicurezza e impervia su quello politico.
Difficile da organizzare, l’intervento dell’Onu può essere facilmente complicato dalle interferenze in atto. La diplomazia occidentale - a prescindere dall’invio di forze di pace - dovrebbe premere sui suoi alleati arabi e africani - soprattutto sui primi - affinché non interferiscano.
Il Qatar alla fine di giugno ha emesso una chiara dichiarazione con la quale si è tirato fuori dal patrocinio che ha esercitato negli ultimi anni a favore delle forze di “Alba”e degli islamisti.
Nelle ultime battute del negoziato, la Turchia sembra essersi ugualmente tenuta da parte. L’Egitto continua invece a perseguire la sua forte interferenza a favore di Tobruk e soprattutto di Hiftar. È giunto il momento di riportare il Cairo alla ragione.
‘Astensioni’ e sanzioni
Infine, è anche giunto il momento di erogare le dovute sanzioni personali ai “cattivi” leader che si oppongono all’accordo e già agiscono come suoi “spoilers”.
La Reuters riportava il 20 luglio che l’Ue sta considerando una lista alla cui testa si trovano Abdulrahman Suweihli, un irriducibile di Misurata (in netta controtendenza con la sua stessa città), e Salah Badi, un noto “comandante” islamista. Sulla lista ci sarebbero anche Hiftar e il suo capo dell’aviazione, Jaroushi.
Sembrano mancare invece altri nomi di indomiti guerrafondai ed estremisti, come Nuri Bu Sahmein, il leader del Blocco dei Martiri e presidente del Cng. Avrà l’Ue il coraggio di farlo? Non è la prima volta che considera delle liste, ma finora nessuna decisione è stata presa. Una lista, convergente con quella Ue circola anche a livello del Consiglio di Sicurezza. Anche qui è arrivato il momento di agire.
Le misure che la crisi libica richiede per essere condotta a buon fine mostrano non poche volte l’esistenza di contraddizioni rispetto agli interessi di sicurezza dei Paesi della comunità internazionale chiamati a metterle in atto.
Abbiamo già evocato il caso dell’Egitto, ma anche la coalizione anti-Is, gli Usa, la Francia e l’Italia hanno degli interessi e delle urgenze che potrebbero portarli a forzature o strumentalizzazioni nell’interpretazione e nell’esecuzione di dette misure.
La pressione della lotta al sedicente Stato islamico, la necessità di proteggere gli interessi italiani e francesi in Egitto e nel Sahel, l’urgenza posta dall’emigrazione clandestina potrebbero indurre questi paesi e l’Ue a interventi in Libia - come il piano di lotta militare ai trafficanti - che a conti fatti si rivelerebbero dannosi alla nuova transizione democratica libica e, perciò, nel medio-lungo periodo, anche agli interessi nazionali che s’intende proteggere o promuovere.
Francia, Usa, Egitto e Italia hanno mezzi e motivazioni per intervenire e sostenere la società libica a uscire dalla sua crisi: ci si aspetta che lo facciano ma con la pazienza e la lungimiranza necessarie a non essere troppo influenzati dalle loro urgenze nazionali.
Roberto Aliboni è consigliere scientifico dello IAI.