Il paradosso marocchino Giulia Fagotto 06/06/2013 |
Si tratta di un paese in forte crescita, con una popolazione giovane e dotato di una politica per l’attrazione degli investimenti stranieri ben oliata. Ciò apre delle buone opportunità per le aziende italiane. Il nostro paese è infatti attualmente al quinto posto tra i partner commerciali del Marocco con un valore di interscambio pari a 2,3 miliardi di euro nel 2011. Questi alcuni degli spunti formulati dal rapporto Italian Business in Morocco redatto dagli esperti di Studi e Ricerche per il Mezzogiorno (SRM) e presentato il 6 giugno in un incontro pubblico organizzato a Roma in collaborazione con l’Istituto Affari Internazionali (IAI).
L’immagine del Marocco come paese dalle forti potenzialità economiche si è ulteriormente rafforzata all’indomani della turbolenta stagione delle Primavere arabe. A differenza dei regimi tunisino, egiziano e libico, la monarchia marocchina non è stata spazzata via dalle proteste scoppiate nel 2011 e capeggiate dal movimento del 20 febbraio. Quali fattori hanno permesso il concretizzarsi dell’“eccezione marocchina” e quali sfide la attendono?
La decisa risposta del re
L’arresto prematuro dell’ondata rivoluzionaria è stato dovuto in primo luogo all’efficace tempismo dall’azione riformista del re Mohamed VI, il quale già negli anni precedenti aveva promosso un lento ma costante processo di liberalizzazione, rompendo definitivamente con la repressione degli “anni di piombo” (1970)del padre Hassan II. Con l’approvazione, tramite referendum, delle modifiche costituzionali e le elezioni anticipate del novembre 2011, la protesta popolare ha infatti perso slancio sia in termini di presenza numerica che di spinta rivendicativa.
Un ulteriore fattore, spesso sottovalutato ma non per questo meno determinante, è la scarsa politicizzazione della società che, complici l’alto tasso di analfabetismo e lo storico trend di disaffezione politica, ha condotto il popolo marocchino ad affidarsi alle riforme del sovrano piuttosto che proseguire la protesta.
Figura emblematica, quasi paterna, il sovrano rimane quindi l’elemento chiave per comprendere lo sviluppo socio-politico del Paese. Grazie alla legittimità dinastico-religiosa della casa reale, il cui lignaggio discende in linea diretta con quello del profeta Mohammed, e al suo ruolo di collante tra le divisioni etniche (es. berberi), il re è il simbolo indiscusso dell’unità nazionale.
Il governo fantoccio
La stessa elezione di Abdelillah Benkirane, leader del partito islamico Giustizia e Sviluppo (PJD), a capo del governo è stata giudicata come un ulteriore passo verso la legittimazione del progetto di “cambiamento” proposto da Mohammed VI. Dopo una campagna elettorale in cui gli islamisti del PJD, sull’onda della protesa popolare, dichiaravano di voler mitigare i tratti autoritari e patriarcali della monarchia, le dichiarazioni rilasciate dal capo dell’esecutivo a TV5Monde il 24 febbraio 2013 (1) non lasciano spazio a dubbi circa il suo atteggiamento nei confronti del re: “Se i marocchini vogliono un primo ministro che si opponga a sua maestà che cerchino altrove. Qualora dovessi trovarmi in contrasto con sua Maestà sarei io stesso a dimettermi”.
L’esecutivo di Benkirane all’indomani dell’insediamento nel gennaio 2012 ha infatti immediatamente preso le distanze dai movimenti di protesta popolare promuovendo una politica all’insegna della stabilità e della crescita economica.
Incalzato dalle domande della giornalista francese, il capo del governo si è soffermato sulle riforme attuate sotto l’egida del sovrano sottolineando come i nuovi provvedimenti in materia di diritti umani - tra cui l’abolizione della tortura come strumento sistematico e le misure volte a favorire la parità tra i sessi - siano solo l’inizio di un processo più ampio di democratizzazione. Inoltre Benkirane ha evidenziato come gli interventi abbiano coinvolto anche il settore economico con azioni di contrasto al deficit della bilancia commerciale.
Transizione democratica o …?
Le dichiarazioni del capo del governo appaiono in netto contrasto con una realtà che testimonia un’involuzione democratica del paese attraversato da un velato processo di islamizzazione che interressa trasversalmente l’intera società.
Gli esempi sono molteplici e spaziano dall’ambiguo atteggiamento nei confronti della questione femminile, riscontrabile nella nomina di una sola donna nell’equipe governativa del PJD, alle ricorrenti censure della stampa, fino all’organizzazione di alcune dimostrazioni pubbliche contro il consumo di alcool e l’occidentalizzazione della società.
Una reintroduzione progressivamente tangibile dei costumi islamici e del discorso religioso si registra soprattutto nel settore pubblico, dove vengono favoriti l’uso del velo e la pratica delle cinque preghiere giornaliere. Anche i dati statistici smentiscono le parole di Bankirane: il tasso di disoccupazione, in continuo aumento, supera il 9,8% (con quella giovanile che ha sfondato il 40% e quella femminile che rappresenta il 60%), mentre il 28% della popolazione (5 milioni di persone) vive al di sotto della soglia di povertà; allarmante è anche il tasso di analfabetismo, tra i più alti nella regione, che si attesta al 50,6%.
L’enorme sperequazione sociale, inoltre, rende inefficaci i sussidi messi disposizione per ammortizzare il peso dell’inflazione. La corruzione endemica continua a rappresentare un ostacolo per qualsiasi opportunità di espansione economica e commerciale, sia del settore privato sia di quello pubblico.
A più di un anno dal suo insediamento il governo islamista ha sicuramente il merito di aver avviato importanti opere infrastrutturali, di aver promosso investimenti nel settore delle energie rinnovabili e di aver arginato l’impatto della crisi economico-finanziaria che ha colpito l’Unione Europea - principale partner della monarchia alawita, conducendo tra l’altro a un esito favorevole la negoziazione di un prestito di 6,2 miliardi di dollari da parte del Fondo Monetario Internazionale.
Sul piano delle riforme politico-sociali, alle quali è destinato solamente una parte minoritaria del budget statale, l’azione di governo di Benkirane sembra essere decisamente meno incisiva. È dunque lecito chiedersi se il Marocco abbia davvero imboccato la strada verso la tanto agognata democrazia, condizione imprescindibile per assicurare il pieno sviluppo economico del paese nel lungo termine.
(1) http://www.tv5.org/cms/chaine-francophone/Revoir-nos-emissions/Internationales/Episodes/p-24534-Abdelilah-Benkirane.htm.
Giulia Fagotto è laureanda In European International studies presso l'università di Trento. Ha appena concluso un tirocinio presso l'Istituto Affari Internazionali nel quadro del programma Mediterraneo e Medio Oriente.
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