Almeno altri 45 giorni di carcere. È questa la sorte che spetta ad Ahmed Abdallah, presidente della commissione egiziana per i diritti e le libertà, accusato di aver partecipato a manifestazioni non autorizzate.
Insieme a lui, resta in carcere anche l’avvocato Malek Adly, ritenuto colpevole di aver incitato gli egiziani a criticare, con manifestazioni di strada, il dono con il quale presidente Abdel Fattah al-Sisi ha deciso di omaggiare la casa regnante saudita: ovvero i due isolotti del Mar Rosso di Tiran e Sanafir.
Oltre alle accuse ufficiali del momento,in entrambi i casi pesa il fatto cheAdly e Abdallah siano due attivisti da anni invisi al regime di turno e ora ancora più ingombranti visto l’aiuto dato alla famiglia e ai legali di Giulio Regeni che cercano di fare luce sulla tragica morte del giovane ricercatore.
Giornalisti in rivolta Questi eventi, arrivati alle nostre orecchie perché vicini a un caso a cui siamo più sensibili, sono in realtà la cartina di tornasole dell’ennesima ondata repressiva che sta attraversando l’Egitto di Al-Sisi e che nelle ultime settimane ha preso di mira soprattutto la libertà di stampa. A mostrarlo è stato, la settimana scorsa, l’arresto di Yehia Qalash, presidente del sindacato dei giornalisti. Gesto, quest’ultimo, che ha messo a nudo la battaglia tra ministero degli Interni e sindacato. Uno scontro che sta toccando un apice mai raggiunto prima nella storia dell’Egitto repubblicano.
La miccia che ha aperto lo scontro con il sindacato dei giornalisti è stata il raid con il quale, il 1° maggio, la polizia ha fatto irruzione nella sede della corporazione per arrestare Mahmoud al-Sakka e Amr Badr. Questi giornalisti (entrambi fondatori, nel 2015, di Bidaia, il movimento - in fretta bandito - che da mesi chiedeva la ristrutturazione del ministero degli Interni e l’abolizione della severa legge sulle manifestazioni) avevano organizzato un sit-in di protesta contro le precedenti retate con le quali la polizia aveva cercato di azzittire quanti criticavano la cessione di due isolotti del Mar Rosso.
Dopo questa inedita retata, unica lungo il Nilo,Qalash aveva indetto un’assemblea sindacale durante la quale sono state prese una serie di decisioni per portare avanti la protesta contro il ministero degli Interni, il vero obiettivo di quasi tutti i manifestanti egiziani che negli ultimi mesi hanno trovato il coraggio di tornare in strada.
Ma ancora prima di combattere contro quello che è ritenuto il nemico esterno, i giornalisti devono fare i conti in casa propria. L’ala del sindacato più lealista al regime, quella che da mesi si limita a pubblicare o a leggere le veline del governo, ha infatti convocato un’altra assemblea per prendere le distanze “da quanti vogliono trasformare il sindacato in un partito politico”.
Visto dai corridoi dei sindacati, lo scontro fratricida - ben evidente dalle diverse titolazioni dei media statali rispetto a quelle dei media privati che ora, dopo un paio di anni di allineamento, tornano a fare sentire la loro voce - sembra aver consegnato la vittoria all’ala rivoluzionaria. Ma potrebbe trattarsi di una vittoria di Pirro. A mostrarlo non è solo la fine fatta da Qalash, ma anche le dinamiche all’interno dell’ambiente mediatico egiziano.
Lifting di regime Solo nelle ultime due settimane, si è assistito ad acquisizioni e fusioni di canali televisivi di tale importanza che si può parlare di un vero e proprio rimodellamento della mappa multimediale egiziana. Un restyling che sembra in realtà un lifting di regime.
Il volto più rappresentativo di questa evoluzione è quello di Elham Sharshar, moglie di Habibel-Adly, ultimo ministro degli Interni dell’epoca di Hosni Mubarak e deus ex machina della repressione di regime di allora. La notizia dell’apertura di un nuovo giornale da parte di Sharshar è arrivata poche ore dopo quella - da confermare - secondo la quale el-Adly sarebbe pronto a riconciliarsi con il regime.
Restando nella cerchia dei gattopardi, c’è un altro nome che in questi giorni ricompare sulla stampa egiziana. È quello di Makram Mohammed Ahmed, giornalista dichiaratamente pro-regime che in passato è stato ai vertici del sindacato. Secondo le voci che circolano, potrebbe essere lui a prendere il posto di Qalash.
Il risveglio del sindacalismo Questa notizia - che solo il tempo potrà confermare - mostra che la battaglia interna al sindacato dei giornalisti è tutt’altro che sopita. Qualora vincessero i lealisti, veline, censura, e incensamento del regime tornerebbero a diventare non solo pane quotidiano degli operatori dell’informazione, ma anche pratiche istituzionali. E la stampa di corte racconterebbe solo di strette di mano, visite ufficiali, accordi commerciali.
Qualora a spuntarla fossero invece le voci stonate, c’è da scommettere che queste proverebbero ad assumere la leadership della protesta sindacale che a inizio anno ha già visto insorgere l’ordine dei medici. Le sinergie tra questi due sindacati si sono già manifestate e non si può escludere che diventino contagiose. Non sarebbe la prima volta. Nel 2011, i giornalisti ci misero la testa, gli altri i numeri. E ora, dopo due anni e mezzo di apatia, le centinaia di sindacati nati dopo la rivoluzione sembrano pronti a rimboccarsi le maniche.
Azzurra Meringolo è ricercatrice presso lo IAI e caporedattrice di Affarinternazionali. Coordinatrice scientifica di Arab Media Report. Potete seguirla sul suo blog e su twitter a @ragazzitahrir.
|
Nessun commento:
Posta un commento