Sicurezza negli aeroporti: le sfide Dopo Bruxelles, il disastro Egyptair Sofia Cecinini, Alessandro Marrone 27/05/2016 |
Come quanto accaduto all’aeroporto dii Bruxelles Zaventem due mesi fa, lo Charles-de-Gaulle è stato setacciato dalle autorità francesi alla ricerca di possibili indizi che siano in grado di dare una spiegazione alla catastrofe. Già nel mese scorso, l'Unione europea, Ue, e gli Stati membri avevano iniziato a discutere una serie di misure per far fronte alla minaccia terroristica verso gli aeroporti europei.
Le mosse dell’Ue
Diversi gli obiettivi più importanti fissati dal comunicato congiunto dei ministri della giustizia e degli interni dell'Ue riunitisi il 24 marzo. Si parte dall’attuazione della direttiva sul codice di prenotazione, Pnr, contenente tutte le informazioni riguardo ai passeggeri.
È previsto infatti che ogni Stato membro stabilisca una propria “Unità di informazione passeggeri”, Uip, per raccogliere i dati delle compagnie aeree e scambiarli reciprocamente nel minor tempo possibile. Tali dati dovranno essere conservati per un periodo di cinque anni.
Vi è poi il tema della condivisione delle informazioni tra le autorità e gli operatori dei trasporti in modo da adottare misure di attenuazione ove necessario. Altri obiettivi sono il completamento della legislazione in materia di lotta contro il terrorismo e l’attuazione di controlli sistematici delle frontiere esterne dell'area Schengen, portando avanti un'ulteriore cooperazione antiterrorismo tra l'Ue, la Turchia e i Paesi del Nord Africa, del Medio Oriente e dei Balcani occidentali.
I ministri riunitisi hanno poi deciso di sostenere il Gruppo contro-terrorismo, Ctg, e la creazione di una piattaforma dedicata allo scambio multilaterale di informazioni in tempo reale, prevedendo anche un più frequente ricorso a squadre investigative congiunte europee al fine di coordinare le indagini e raccogliere e scambiare prove.
Simili punti si trovano nel documento per contrastare le minacce “ibride” adottato dalla Commissione europea e dall'Alto Rappresentante il 6 aprile, in cui viene sottolineato anche che la cooperazione ed il coordinamento tra Nato e Ue è di fondamentale importanza.
Nuove sfide per l’Europa
Se fino ad oggi le procedure di controllo sono state volte ad evitare che i potenziali terroristi salissero a bordo dei velivoli, le esplosioni nelle sale delle partenze a Zaventem hanno reso evidente che le grandi aree pubbliche sono oggi vulnerabili ad attacchi.
L'Europa deve quindi fronteggiare la necessità di incrementare fortemente i livelli di sicurezza nei cosiddetti “soft target”, ovvero le aree comuni di passaggio. Da qui la necessità di introdurre monitoraggi più completi, anche delle aree meno frequentate dai viaggiatori, con telecamere e sistemi di rilevamento in grado di individuare l'introduzione nell'area di materiale pericoloso, così come l'aumento della presenza dei unità cinofile all'interno delle sale delle partenze.
L'efficacia di queste misure tuttavia è strettamente connessa alle capacità di prevenzione delle autorità nazionali e internazionali e alla loro interazione. Non a caso, si è molto discusso di errori da parte belga che hanno posto il Paese al centro di polemiche a livello internazionale.
Non è la prima volta che Bruxelles riceve critiche per la cattiva gestione delle indagini relative al terrorismo. Ad esempio, una volta catturato Salah Abdeslam, responsabile degli attacchi coordinati di Parigi del 13 novembre, la notizia diffusa dalle autorità belghe riguardo la collaborazione del terrorista con gli inquirenti potrebbe aver accelerato l’attuazione di nuovi attentati da parte dei jihadisti ancora in libertà. Probabilmente, se la notizia fosse stata mantenuta riservata, l’intelligence belga avrebbe potuto fare un utilizzo diverso delle informazioni ottenute per cercare di prevenire le mosse di altri terroristi.
Israele può essere un modello?
Una delle critiche più severe è venuta dall'ex Direttore di sicurezza dell'aeroporto di Tel Aviv considerato uno dei più sicuri al mondo, che ha affermato che un attacco del genere non sarebbe mai potuto accadere al suo Ben Gurion.
Sui media internazionali si è discusso se e come certe pratiche considerate da molti “troppo dure” possano contribuire a una sicurezza efficace. Ad esempio, in Israele i passeggeri vengono interrogati da agenti addestrati ancora prima di raggiungere il check-in. Questa attività, chiamata Profiling, può durare qualche minuto o un'ora intera, a seconda delle caratteristiche della persona che emergono durante il colloquio, con lo scopo di identificare individui potenzialmente pericolosi.
Basandosi sul presupposto che gli attacchi terroristici vengono compiuti da persone in grado di essere riconosciute e fermate, il “fattore umano” è considerato la chiave del modello di sicurezza israeliano. Tale approccio è completato da un monitoraggio totale da parte di telecamere anche delle aree dell'aeroporto meno frequentate dai viaggiatori, e da sistemi di rilevazione per individuare l'introduzione nell'area di materiali pericolosi.
Se può essere utile considerare tale modello di sicurezza i 73 milioni di passeggeri annui negli aeroporti europei - contro i 15 milioni di Ben-Gurion - rendono più difficile attuare le medesime misure anche in ambito Ue.
Non bisogna infine dimenticare che l'esigenza di migliorare la sicurezza negli aeroporti europei deve essere affiancata da un aumento immediato della condivisione di informazioni tra le autorità dei singoli Paesi membri, soprattutto tra i rispettivi servizi di intelligence nazionali, per evitare che la violenza jihadista riesca nuovamente a colpire il Vecchio Continente.
Sofia Cecinini è stagista presso l’area Sicurezza e Difesa dello IAI; Alessandro Marrone è responsabile di ricerca del Programma sicurezza e difesa dello IAI (Twitter @Alessandro__Ma).
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