Medio Oriente Alba contro Dignità, in Libia si muova l’Ue Roberto Aliboni 04/09/2014 |
Nell’ambito di questo scontro ci sono stati interventi di aerei militari stranieri, che hanno mostrato i nessi fra lo scontro in Libia e quello fra le diverse potenze sunnite della regione. In questo quadro, i paesi occidentali e l’Onu, impegnati a sostenere la pacificazione nazionale e la transizione del paese alla democrazia, sembrano finiti nell’angolo. Vorranno, potranno fornire una risposta adeguata?
Le elezioni del 25 giugno e la costituzione della nuova Camera dei Rappresentanti, al posto del Congresso nazionale generale, invece di rimettere sui binari la competizione politica fra le parti libiche si sono rivelate una sorta di estremo rantolo delle istituzioni democratiche della transizione e hanno contribuito a farla deragliare.
Elezioni che liquidano la democrazia
Nel febbraio del 2012, il Congresso, in preda a controversie inconciliabili e sotto il peso di una diffusa sfiducia popolare, aveva raggiunto un compromesso per rinnovarsi mediante nuove elezioni.
Nello stesso mese, tuttavia, il generale Khalifa Belkasim Hiftar annunciava la sua “Operazione Dignità” contro islamisti e “terroristi”, ricevendo un avallo da parte dei moderati dell’Alleanza delle forze nazionali.
Da questo punto in avanti, ogni possibilità che il dissidio fra islamisti e moderati si potesse risolvere nell’ambito delle istituzioni, come aveva fatto pensare il compromesso di febbraio, veniva meno. Islamisti e rivoluzionari radicali, mentre Hiftar avviava le sue operazioni in Cirenaica, hanno perciò cominciato a prepararsi allo scontro, comunque fosse andato avanti il processo istituzionale.
Le elezioni hanno poi mandato alla Camera dei Rappresentanti una maggioranza nettamente orientata verso i moderati. Tuttavia, la bassissima partecipazione al voto ha tolto loro ogni convincente legittimità.
Comunque, sono state interpretate da islamisti e rivoluzionari radicali come l’ultimo segnale della prevaricazione condotta dai moderati su di loro e di conseguenza sono iniziate le operazioni delle loro forze militari coalizzate sotto il nome di “Operazione Alba”.
La parola alle armi
Il 13 luglio le forze di “Alba” hanno attaccato l’aeroporto internazionale di Tripoli, tenuto sin dalla rivoluzione dalle brigate della città di Zintan, alleate dei moderati e perno della loro influenza nella capitale.
A Bengasi, il 29 luglio gli islamisti di Ansar al-Sharia hanno sloggiato le forze di “Dignità” dalla importante base di Buatni. Da allora, le forze islamiste cirenaiche continuano a premere su quelle di Hiftar che chiaramente annaspano.
L’aeroporto di Tripoli è caduto il 23 agosto. Attualmente, le forze della coalizione “Alba” spadroneggiano nella capitale, da dove i moderati si sono chiaramente ritirati. “Alba” ha occupato le sedi governative (e la ex residenza dell’ambasciatore americano).
Reagendo a tutto ciò, la Camera, riunita nella lontana Tobruk, ha riconfermato il governo di Al-Thinni, che s’era dimesso, ma la coalizione di “Alba” ha chiesto al vecchio Congresso di riunirsi e sta operando affinché sia nominato un “governo di emergenza” che avrebbe come premier Omar Hassi, un militante rivoluzionario della prima ora, che viene dai ranghi dei Fratelli Mussulmani.
La Camera ha caratterizzato i militanti di “Alba” come “terroristi fuori legge”. Il portavoce delle brigate di Misurata, punta di lancia di “Alba”, ha replicato che le operazioni a Tripoli avevano lo scopo di liberare le istituzioni “dai resti del vecchio regime” e che la Camera di Tobruk non fa altro che tentare di “screditare coloro che restano leali alla Rivoluzione del 17 Febbraio”, chiarendo così in epigrafe qual sia la percezione alla radice dello scontro tra i “veri rivoluzionari” e i “reazionari mascherati da rivoluzionari”.
Uno scontro di sponsor esterni
Nella battaglia di Tripoli sono intervenuti aerei degli Emirati Arabi Uniti, appoggiati logisticamente dall’Egitto. Militarmente non sono stati d’aiuto. Politicamente sono serviti a chiarire che il processo politico-istituzionale libico si collega al confronto fra le diverse potenze sunnite della regione e ne è inevitabilmente influenzato.
Non è un mistero che Qatar e Turchia appoggiano i Fratelli Mussulmani e le forze ad essi associate, mentre Arabia Saudita, Emirati ed Egitto sostengono un arco di moderati che va da Mahmoud Jibril a Khalifa Hiftar.
D’altra parte, non è chiaro se le forze jihadiste di Bengasi e Derna hanno sostenitori esterni o se, nell’ambito delle liaisons dangereuses disinvoltamente praticate da molti attori della regione, Qatar e Turchia appoggino anche loro. Certamente ricevono appoggio dalle diverse associazioni e "charities” del salafismo estremista del Golfo.
Con ancora maggiore certezza ricevono appoggi dai loro accoliti a partire dai vari fronti mediorientali e africani in cui la Jihad si trova oggi sul sentiero di guerra. Come che sia, nella fase attuale la contiguità fra estremisti e moderati islamisti s’è trasformata in alleanza.
Se contiguità e alleanze fra forze islamiste moderate ed estremiste costituiscono una difficoltà non nuova sulla strada di un’eventuale ripresa del processo politico-istituzionale, tale eventualità è certamente complicata dalle pesanti interferenze esterne in essere.
È questo certamente un problema in più per i paesi occidentali e l’Onu i quali, nel momento in cui un agitato mondo politico si sta trasformando in un’altra guerra civile, hanno subito denunciato le interferenze esterne e confermato l’obbiettivo di ricreare le condizioni perché il processo politico-istituzionale riprenda.
Responsabilità occidentali
Se l’obiettivo era difficile prima, lo è ancora di più ora. Non è chiaro come possa essere perseguito un dialogo nazionale e non ha più senso parlare di riforma del settore della sicurezza. In una guerra civile o si appoggia una parte o si cerca di creare le condizioni per un avvicinamento delle parti senza stare con nessuna di esse.
In Libia, l’aggregazione dei Fratelli Mussulmani con gli jihadisti e quella dell’Alleanza delle Forze nazionali con il generale Hiftar è il risultato di un processo politico in cui tutti i democratici libici hanno puntato all’esclusione dell’altro piuttosto che alla collaborazione (come è avvenuto in Tunisia).
In questo processo negativo le responsabilità dei governi rivali della regione è grande e appare crescente: essi hanno tutto l’interesse a tirare l’acqua al loro mulino piuttosto che a quello della Libia. C’è anche una responsabilità dell’Occidente?
Indubbiamente l’Occidente, finita la rivoluzione, si è volatilizzato, talvolta senza nemmeno preoccuparsi di capire perché mai fosse intervenuto. Ha lasciato l’Onu da solo. Ha esortato al dialogo, al processo politico e alla difesa delle istituzioni, ma mentre ha sviluppato contatti con i rivoluzionari moderati (persone di un mondo bene o male conosciuto) non risulta che abbia sviluppato contatti con i Fratelli Mussulmani nel tentativo di rassicurarli e impegnarli in un dialogo politico.
Questo fu fatto in Egitto dagli statunitensi (anche se, in conclusione, senza successo), ma in Libia non è stato neppure tentato. Forse ingaggiare i Fratelli libici, dissociarsi da Hiftar e altri elementi meno convincenti dell’area rivoluzionaria moderata, e convincere i Fratelli a distinguersi nettamente dagli jihadisti (come ha fatto a un certo punto Ennahda in Tunisia) potrebbe essere utile a far arretrare i libici dal baratro che si profila e aprire la strada a un dialogo di cooperazione e pacificazione nazionale. Dunque degli impegni politici e non una generica esortazione a fare i democratici.
Il primo passo dell’Occidente - rigetto delle interferenze esterne e riconferma della transizione democratica - può apparire ingenuo, ma è invece un gesto che trova un favore trasversale nell’opinione libica.
Per andare oltre ci vuole una diplomazia collettiva ben attrezzata e coordinata e, soprattutto una forte volontà politica. Non è escluso che i nuovi dirigenti dell’Ue riescano a mobilitare questa diplomazia collettiva e battere un colpo, per una volta, nella variegata tormenta che avvolge ormai da anni il loro vicinato meridionale.
Roberto Aliboni è consigliere scientifico dello IAI.
Nessun commento:
Posta un commento