Conflitto israelo-palestinese Egitto, mediatore fantasma Andrea Dessì, Azzurra Meringolo 13/07/2014 |
Dal valico passano non solo i feriti più gravi che cercano soccorso in Egitto, ma anche le speranze della tregua dell’ennesima escalation di violenza tra israeliani e palestinesi, la più violenta dal novembre 2012.
Tramonto della luna di miele
A mediare una tregua nel 2012 fu proprio il Cairo. Da allora molto è cambiato nella regione. L’asso nella manica della mediazione egiziana fu il rapporto tra i Fratelli Musulmani - rappresentati al Cairo dal presidente Mohammed Morsi - e i cugini di Hamas, costola della confraternita islamista che ha il potere su Gaza. Da quando la Fratellanza è rinchiusa nelle carceri egiziane, la luna di miele tra gli arabi al di qua e al di là di Rafah è finita.
Il nuovo presidente egiziano Abdel Fattah Al-Sisi spera che la disfatta dei cugini palestinesi indebolisca i Fratelli egiziani, nemici dell’esercito dal quale proviene. Per questo dal Cairo avevano fatto capire che questa volta l’Egitto non avrebbe provato a mediare. Ora, però, questa posizione sembra ammorbidirsi e l’Egitto ricompare sulla scena come un possibile mediatore.
Un portavoce del presidente egiziano dice infatti che Sisi ha promesso al presidente dell’Autorità Palestinese - che amministra la Cisgiordania - di alzare la cornetta per chiamare quanti possono fare qualcosa per far cessare la mattanza. Più tardi Abu Zuhri, un portavoce di Hamas, ha rivelato all’agenzia Bloomberg l’esistenza di contatti tra Gaza e il Cairo.
Rivelazioni interessanti non solo perché qualsiasi mediazione di successo deve coinvolgere Hamas - e non solo l’Autorità palestinese che ha a sua volta problemi con gli islamisti che governano Gaza - ma anche perché fanno pensare che gli sforzi di mediazione egiziani di cui si parlava a metà giugno non si sono esauriti.
Sisi possibile negoziatore
Non è quindi escluso che Sisi decida di far scendere in campo i suoi negoziatori. Gli islamisti palestinesi non sono il suo alleato naturale, ma il presidente egiziano non vuole rinunciare a influire sull’ordine regionale, come gli chiede anche la Casa Bianca.
Nonostante le voglie neoisolazioniste degli americani e il morale a pezzi del segretario di Stato John Kerry dopo il fallimento dell’ennesimo tentativo di riappacificare Israele e Palestina, Washington desidera ancora un Medio Oriente stabile. L’Egitto rimane quindi una pedina importante.
Le parti in conflitto non sono però ancora pronte a deporre le armi.
Per la diplomazia Usa il primo obiettivo è quello di scongiurare un’invasione di terra da parte del governo israeliano. Tel Aviv, dal canto suo, vuole punire la leadership di Hamas, accusata, pur senza prove convincenti, dell’uccisione dei tre giovani israeliani, e impedire la riconciliazione tra gli islamisti di Hamas e i nazionalisti di Fatah.
La spina nel fianco dell’accordo tra Fatah e Hamas
Alla base di questo conflitto c’è infatti anche il recente annuncio dell’accordo di riconciliazione tra Fatah e Hamas e l’insediamento del nuovo governo di consenso nazionale a Ramallah con l’appoggio delle due fazioni palestinesi.
A sovraintendere alla nascita di questo esecutivo è stato Moussa Abu Marzouq, stratega di Hamas, famoso per la capacità di tessere con successo la tela dei rapporti e delle mediazioni tra Egitto-Gaza e i servizi segreti israeliani. Abu Marzouq - caso vuole - è l’unico uomo di Hamas a risiedere in Egitto anche dopo la stretta repressiva dei militari nei confronti degli islamisti.
Sebbene il governo sia di natura tecnica e quindi senza ministri affiliati a Hamas, Israele ha da subito condannato il nuovo esecutivo, dichiarando che non dialogherà con un governo di ‘terroristi’. Di diverso avviso sono però le principali potenze internazionali, Stati Uniti, Unione europea, Cina, India e Russia.
Difficile pensare che, dopo l’ennesima escalation di violenza tra Hamas e Israele e la perdurante collaborazione tra Fatah e Israele sulla sicurezza in Cisgiordania, il recente accordo di riconciliazione nazionale Hamas-Fatah possa sopravvivere.
La divisione politico-militare tra la Striscia di Gaza, controllata da Hamas, e la Cisgiordania di Fatah continuerà a minare gli obiettivi nazionali della Palestina. Non a caso, il premier israeliano Benjamin Netanhayu addita questa divisione come prova della mancanza di un partner riconosciuto dall’intera popolazione palestinese con il quale siglare un accordo di pace.
Mentre si aspetta che un mediatore con serie intenzioni - egiziano, turco, saudita o statunitense che sia - si faccia avanti, gli scontri si inaspriscono, così come le tensioni intra-palestinesi.
Andrea Dessì è assistente alla ricerca dello IAI.
Azzurra Meringolo è ricercatrice presso lo IAI e caporedattrice di Affarinternazionali. Coordinatrice scientifica di Arab Media Report. Potete seguirla sul suo blog e su twitter a @ragazzitahrir.
Nessun commento:
Posta un commento