Medio Oriente Libia verso la somalizzazione Roberto Aliboni 31/07/2014 |
Il motivo occasionale sta nelle due sanguinose battaglie in corso: all’aeroporto di Tripoli lo scontro è fra le milizie di Zintan - nazional liberali - e quelle di Misurata - filo islamiste; a Bengasi, Ansar al-Sharia e altri estremisti islamici combattono contro una coalizione di milizie più o meno politicamente apparentabili con quelle di Zintan, fra cui quella formata negli ultimi mesi dall’ex generale Khalifa Haftar.
Lo scontro di oggi ha però un profilo politico diverso dal conflitto a bassa intensità di tutti contro tutti che abbiamo conosciuto nei due anni precedenti e certamente prefigura una svolta.
Da una parte, la multipolarità della crisi libica - il moltiplicarsi di conflitti fra i più disparati attori - appare in declino. Dall’altra, le violenze in corso sembrano mettere definitivamente in causa il processo politico di transizione democratica che si era messo in moto dopo la rivoluzione. Entrambe questi fattori possono determinare un salto di qualità nei conflitti in atto.
Nei due anni passati, la crisi libica è stata un rompicapo a causa del suo carattere multipolare, di tutti contro tutti: le tribù, le etnie, la Cirenaica e la Tripolitania. Più di recente alcuni di questi conflitti, pur lungi dall’essere risolti, hanno però cominciato a recedere. Ciò vale per l’occupazione dei terminali petroliferi, la tensione fra i “federalisti” cirenaici e il centro tripolino e il conflitto fra gli Awad arabi e i Tubu nell’estremo sud del paese.
Conseguenze della legge per l’epurazione
Si è invece rafforzato il conflitto di fondo che nei due anni passati è fermentato fra le forze rivoluzionarie esclusive e quelle inclusive. Lo scontro è avvenuto, in particolare, sulla legge per l’epurazione, che ha sancito severi criteri di esclusione per tutti quei leader e funzionari che avevano servito sotto il regime di Muammar Gheddafi.
Questi criteri si sono rivelati così rigidi da escludere anche Mahmoud Jibril, uno dei leader indiscussi della rivoluzione (anche se a era in precedenza nei ranghi dell’amministrazione del regime).
Beninteso, la legislazione sull’epurazione non è nata come strumento di esclusione dei nazional-liberali ma, cammin facendo, la coalizione islamista nel Congresso generale (i Fratelli Mussulmani e il Blocco dei Martiri di Abu Sahmain) l’ha indubbiamente usata proprio a questo scopo: per rovesciare i governi e la maggioranza dominati dall’Alleanza delle Forze Popolari dei nazional-liberali.
Milizie e lotta per il potere
Diplomatici e analisti internazionali hanno continuato a interpretare il processo politico libico come una transizione fondamentalmente consensuale verso la democrazia, in cui erano impegnati sia nazional-liberali che islamisti liberali, anche se disturbata, ahimé, dalla prevaricazione delle milizie, forti del monopolio della forza a fronte di un governo privo di mezzi coercitivi.
In realtà, c’è stata una dura lotta per il potere, in cui tutte le parti in conflitto non hanno esitato a usare a loro vantaggio le milizie, al fine di escludere l’avversario. Gli islamisti, in particolare, non hanno neppure esitato, quando gli è convenuto, di allearsi con i jihadisti di Derna e Bengasi.
I Fratelli Mussulmani e i loro alleati non hanno accettato la loro condizione di minoranza nel Congresso e nel paese, fino al tentativo di nominare, malgrado minoranza, un loro governo al posto di quello di Ali Zeidan, dopo averlo costretto alle dimissioni e alla fuga dal paese.
Fallito questo tentativo, il 25 giugno si sono fatte elezioni legislative con l’obiettivo di rinnovare lo screditato Congresso Generale, cui è stata data anche la nuova denominazione di Camera dei Rappresentanti.
Anche le elezioni sono state però un fallimento. Alle elezioni si sono candidati solo indipendenti, essendo stati esclusi i partiti. Nessuno perciò è in grado di dire quale tendenza la nuova Camera esprimerà e in che tempi. Non è neanche chiaro se la Camera dei Rappresentanti riuscirà a riunirsi, ma è evidente che, se pure ci riuscisse, non sarà certo in grado di avviare quel processo politico che in due anni ha registrato solo fallimenti. Il nuovo Parlamento è anzi assurto a simbolo della fallita transizione democratica.
Ruolo comunità internazionale
La comunità internazionale non può illudersi di stabilizzare il paese, riattivando un processo politico finito in un vicolo cieco o cercando di addestrare le forze di sicurezza necessarie a ridare al governo libico (quale governo?) il monopolio della forza.
Così il futuro della Libia sembra sempre più dipendere dall’esito del conflitto, come in alcuni paesi del Levante. Nessuno vuole intervenirvi militarmente, né è in grado di esercitare una qualche influenza politica significativa. Per la Libia si profila quindi uno scenario simile a quello della Siria: difficoltà a individuare dei partner a parte intera; quindi, assai scarsa convinzione e impegno nel sostenerli; in conclusione, un’influenza insignificante.
In Libia però la destabilizzazione ha effetti più immediati sull’Europa e sui suoi interessi. Inoltre, non esiste, come in Siria, un centro politico strutturato come quello degli Assad. In questo senso, la Libia sembra avviata più verso il destino della Somalia che della Siria, cioè a diventare un vero e proprio stato fallito.
Difficilmente però l’Europa può restare a guardare. Dagli Stati Uniti gli europei possono aspettarsi un appoggio, ma non un’iniziativa che surroghi, come al solito, la loro. Dagli arabi possono aspettarsi di più, in particolare dall’Egitto e, forse dall’Arabia Saudita, ma su un terreno politico molto scivoloso.
Il rischio è che l’Europa sia coinvolta in uno dei tanti conflitti settari che stanno sconvolgendo la regione e finisca per essere trascinata in un confronto contro jihadisti e/o Fratelli Mussulmani, politicamente inopportuno per i suoi interessi. È venuto il momento che a questi sviluppi e ai gravi rischi che essi comportano si ponga finalmente mente, e che lo si faccia al più presto.
Roberto Aliboni è consigliere scientifico dello IAI.
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