DA UN INEDITO MANOSCRITTO MEDIEVALE:
FURONO LORO I PRIMI A CIRCUMNAVIGARE L’AFRICA
Planisfero di Andrea Bianchi , anno 1436
Si notino, in alto a destra, due galee
presso la costa d’Etiopia
di Alfonso Licata *
La spedizione dei navigatori genovesi
Vadino e Ugolino Vivaldi ha rappresentato un episodio mitico e ammantato di
grande mistero, intrapresa nella primavera dell’anno 1291 con l’intento
transoceanico di raggiungere le Indie
attraverso la circumnavigazione dell’Africa. La notizia dell’impresa di viaggio
dei fratelli Vivaldi ci era giunta, fino ad oggi, soltanto attraverso gli Annales di
Genova scritti dal cronista Jacopo Doria,articolata nel seguente passo:
“In quell’anno, Tedisio Doria, Ugolino
de’ Vivaldi e suo fratello, con alcuni altri cittadini di Genova, intrapresero
un viaggio che nessuno mai fino ad allora aveva tentato. Armarono di tutto
punto due galee, vi caricarono cibo, acqua e quanto altro serviva, e nel mese
di Maggio le misero in mare dirette allo stretto di Ceuta: volevano raggiungere
l’India navigando per l’Oceano, per riportare da lì prodotti utili. Su queste
galee partirono i due fratelli Vivaldi in persona e due francescani. L’impresa
parve un evento straordinario non solo a chi la vide, ma anche a chi ne sentì
parlare. Passarono dalla località di Gozora; ma da lì in poi non abbiamo più
saputo nulla di loro. Dio li protegga e li riporti a casa sani e salvi.
Ebbene, una nuova fonte recentemente
venuta alla luce, ci rende nota una diversa sorte dei fratelli Vivaldi: essi,
contrariamente a quanto si è sempre pensato, non sarebbero naufragati e dispersi
con le loro galee durante la traversata oceanica al di là delle Colonne
d’Ercole, ma non avrebbero fatto mai ritorno in patria volontariamente, a causa
del grande pericolo che incombeva per affrontare il viaggio di ritorno. Si tratta della Cronica Generalis sive
universalis del frate domenicano Galvano Fiamma, un’opera
manoscritta incompiuta, scritta pare verso il 1340, che rappresenta, nelle
intenzioni dell’autore, una storia del mondo fin dalla sua origine – la
Creazione - e attualmente si trova in possesso di un privato collezionista negli
Stati Uniti .
Da dove attinge il frate domenicano le
sue notizie, tra cui quella sulla sorte dei fratelli Vivaldi? Egli stesso ci
svela la fonte della sua narrazione come è nel suo abitudinario modo di
scrivere: un Tractatus de mappa Ianuensi quam composuit sacerdos Sancti
Marchi de Ianua scritto da un altro frate domenicano, Giovanni da
Carignano, illustrissimo pioniere della storia della cartografia medievale,
Rettore della Chiesa di San Marco in Molo, ubicata all’interno del porto di
Genova fino alla sua morte, avvenuta nel 1329 . Quest’opera di Giovanni da Carignano,
ancorchè conosciuta per il fatto di essere menzionata dal Supplementum
cronicarum di Giacomo Filippo Floresti (a sua volta probabile fonte del
Galvano Fiamma ) sembrava essere perduta. Galvano , pertanto, prende le sue
notizie dal Tractatus de mappa di Giovanni da Carignano, che costituisce uno scritto
aggiuntivo ed integrativo di mappe o planisferi, ove sono contenute
informazioni che, per la loro estensione e numero, non potevano essere
riportate sulle mappe , carte nautiche , portolani o mappamondi.
Ma l’illustre cartografo, a sua volta,
da chi attinse le notizie? E qui Galvano Fiamma ci rivela, con circa cento anni
di anticipo, che nell’anno domini MCCC ( anno 1300, da intendersi però
indicativamente ) vi fu il primo contatto diplomatico fra la denominata “Etiopia” dell’epoca
medievale e l’Europa occidentale, per mezzo di una lettera dell’Imperatore di
Etiopia diretta al Re di Spagna, affidata a ben trenta ambasciatori, contenente
una proposta di alleanza militare contro i musulmani, lettera che, a causa del
decesso del Re di Spagna, (identificato senza dubbio con Ferdinando IV di
Castiglia e Lèon, regnante dal 1295 al 1312) fu consegnata ad Avignone al Papa Clemente
V (in carica dal 1307 fino alla sua morte avvenuta nel 1314).
Nel racconto di Galvano Fiamma riferentesi
alla spedizione dei fratelli Vivaldi compare un comandante dal nome sconosciuto,
tale Uberto di Savignone e si riporta il
racconto degli ambasciatori, come
anzidetto,i quali dissero che i Genovesi fratelli Vivaldi erano giunti nella
loro terra, ma avevano rinunciato a tornare in patria per le difficoltà del
viaggio. Riporto di seguito il passo, tradotto dal latino:
“Non furono soltanto quegli ambasciatori
etiopi a venire da noi, ma una volta anche alcuni dei nostri andarono da loro;
lo raccontarono quei trenta ambasciatori nella città di Genova. Si sa che
nell’anno 1290 due galee genovesi, con imbarcati più di 600 cristiani e alcuni
chierici ; i comandanti erano Uberto di Savignone e [ ]. Essi oltrepassarono lo
stretto di Spagna e, navigando per il mare Atlantico, giunsero nell’Etiopia, a
sud dell’Equatore. Non avevano più viveri; scesero a terra e si
misero a razziare tutto ciò che trovavano, perché morivano di fame. Furono
catturati e portati dall’imperatore che si è detto, e questi, saputo che erano
cristiani e sudditi della Chiesa romana, li incontrò volentieri, li onorò molto
e conferì loro grandi dignità. Non rientrarono più a Genova: non se la
sentirono di tornare per mare, per i pericoli che vanno oltre ogni
immaginazione, e non poterono tornare per terra, perché in mezzo stanno i
musulmani, che cercano di impedire con tutte le loro forze che i cristiani
vadano in Etiopia e che gli Etiopi vengano da noi, perché temono che si alleino
contro di loro, cosa che sarebbe la loro fine. Tutto questo lo narrarono gli
ambasciatori dell’imperatore di Etiopia che furono a Genova, e che videro quei
Genovesi in Etiopia.”
Non vi è dubbio che la spedizione di cui
parla Galvano Fiamma sia quella di cui
parla Iacopo Doria nei suoi Annales.
Vi sono alcuni punti in cui non vi è
perfetta coincidenza nei particolari ( l’anno riportato nel manoscritto è il
1290, e non il 1291; i componenti dell’equipaggio vengono indicati in numero di
600, un po’ troppi; il comandante non è un Vivaldi, ma tale Uberto di Savignone
(località vicino a Genova).
La cosa piu’ interessante risiede però in quel
che Galvano Fiamma dice della sorte dei
naviganti: essi non scomparvero nell’oceano facendo naufragio, ma approdarono
in una terra chiamata “Etiopia”, dove vennero bene accolti. I marinai dell’equipaggio, finite le vettovaglie, sbarcarono, si
diedero al saccheggio e furono catturati dai soldati dell’Imperatore di Etiopia;
questi, accertato che erano cristiani, li accolse con molti onori e concesse
loro di rimanere nel suo regno. Non tornarono indietro perché non se la sentirono
di affrontare di nuovo, a ritroso, un così pericoloso viaggio.
Un altro aspetto importante ai fini
della ricostruzione storica, in ordine alla notizia riportata da Giovanni di
Carignano sull’esito della spedizione dei fratelli Vivaldi, è dato dal fatto che gli eventi riferiti
sembrano ben conciliarsi con alcune notizie provenienti da altre fonti
considerate fantasiose e non affidabili dagli studiosi, che del pari accennano
alla sopravvivenza dei navigatori Vivaldi in Africa e ai grandi pericoli della
navigazione.
In proposito giova qui ricordare che Il Libro del conosçimiento de todos los
reynos....., (un insieme di relazioni di viaggi immaginari) scritto
verso il 1375 da un religioso anonimo, parla del viaggio intrapreso anni dopo da
un genovese di nome Sorleone, imbarcatosi alla ricerca del padre Ugolino
Vivaldi: ecco la traduzione del passo:
“A quanto mi dissero nella città di
Graçiona, lì erano stati portati i genovesi che erano scampati al naufragio
della loro galea ad Amenuan; dell’altra galea, che si era salvata, non
conoscevano la sorte... Nell’altra città di Magdasor mi raccontarono di un
genovese, di nome – dicevano – Sorleone, che era andato lì in cerca di suo
padre, che era partito con le galee di cui si è parlato. Gli avevano tributato
tutti gli onori; Sorleone voleva passare nell’impero di Graçiona per cercarlo,
ma l’imperatore di Magdasor glielo impedì perché il viaggio era troppo incerto,
per i pericoli lungo la via.”
Ancora: nell’anno 1453 il cosiddetto Itinerario
di Antoniotto Usodimare accenna alla
spedizione dei Vivaldi, evidenziando la sopravvivenza in Africa di gente che faceva
parte dell’equipaggio:
“Nell’anno 1290 partirono da Genova due
galee, armate dai fratelli Vadino e Guido de’ Vivaldi, che volevano andare in
Oriente, nelle regioni dell’India. Le galee fecero una lunga navigazione; ma
quando arrivarono nel mare dell’Etiopia, una delle due si incagliò in una
secca, e non riuscì più a proseguire. L’altra continuò il viaggio e attraversò
quel mare fino a giungere a una città dell’Etiopia chiamata Mena. Lì furono
catturati e tenuti prigionieri dagli abitanti, che sono cristiani dell’Etiopia,
sottomessi al Prete Gianni. Quella città si trova sul mare, presso il fiume
Sion. La loro prigionia fu tale che nessuno di loro poté poi ritornare da lì.
Tutto questo fu raccontato da mercanti etiopi nella città del Cairo.”
Concludendo , possiamo oggi ritenere
che, con ogni probabilità, queste notizie già da tempo conosciute risalgono
alla conoscenza del Tractatus de mappa di Giovanni da Carignano: il
manoscritto di Galvano Fiamma, che da questo attinge, apre quindi
un’altra finestra sulla conoscenza
storica e, all’esito degli approfondimenti delle ricerche in corso, potrebbe
riservarci altre clamorose rivelazioni.
Avv. Alfonso Licata
* Presidente del Comitato
Internazionale delle Celebrazioni del VII Centenario della scoperta delle
Canarie da parte del navigatore italiano Lanzarotto Malocello (1312-2012)
* Presidente del Comitato delle
Isole Canarie della Società Dante Alighieri
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