Egitto
Il 25 gennaio, durante la giornata della commemorazione della Rivoluzione e dei Martiri di piazza Tahrir, sono stati numerosissimi i casi di violenze scoppiati in tutto il Paese. In diverse città del Paese, si sono susseguite numerose manifestazioni da parte dei movimenti di opposizione al regime militare, le quali sono state represse violentemente. Il bilancio degli scontri tra manifestanti e forze di polizia è stato di circa 50 morti, centinaia di feriti e oltre mille arresti. La repressione delle manifestazioni è avvenuta in ossequio alla legge del 24 novembre scorso, con la quale vengono interdette e vietate tutte le manifestazioni non autorizzate. Al di là delle ragioni di ordine pubblico, la legge del 24 novembre può essere considerata uno strumento del governo per inibire le manifestazioni di dissenso da parte delle formazioni di opposizione, con in testa la Fratellanza Musulmana.
Gli eventi di piazza Tahrir hanno ulteriormente! testimoniato il clima di grande tensione che domina il Paese e che potrebbe favorire la diffusione e l’ascesa di movimenti radicali. Un esempio di questa tendenza è offerto dal gruppo terrorista islamico Ansar Bayt al Maqdis (ABM), responsabile di due attentati, il 14 gennaio e il 24 gennaio, a causa dei quali sono morte 13 persone. Il duplice attacco è stato giustificato come rappresaglia contro l’Esercito reo, a detta di ABM, di aver destituito illegittimamente l’ex Presidente Morsi. Appare preoccupante come il governo egiziano, nel contrastare la Fratellanza Musulmana e le organizzazioni terroristiche, abbia adottato una legislazione che considera illegale, in ugual maniera, la militanza nelle formazioni in questione. In questo modo, la Fratellanza e ABM vengono, di fatto, considerate simili, pur non, in realtà, non essendolo. La perdurante ciclicità delle violenze in Egitto e l’affacciarsi sulla scena politica di nuove formazioni estremiste, denota! no come il colpo di Stato del luglio scorso da parte dell’Esercito abbia radicalizzato ulteriormente i toni e le manifestazioni del conflitto politico all’interno del Paese. |
Nigeria
Da qualche giorno il partito di governo nigeriano, il People’s Democratic Party (PDP), è percorso da forti tensioni interne, che rischiano di minare anche la stabilità dell’esecutivo. Infatti, il 29 gennaio, 11 senatori avrebbero deciso di confluire nel maggiore partito di opposizione, l’All Progressive Congress (APC), anche se il Presidente del Senato, David Mark, ha reso noto di non aver ricevuto ancora nessuna comunicazione ufficiale in merito. Se ciò venisse confermato, il Presidente si troverebbe a fare i conti con una maggioranza parlamentare ulteriormente assottigliata, dopo le dimissioni di 37 deputati del PDP, rassegnate lo scorso anno, che hanno sensibilmente ridimensionato la supremazia del partito nella Camera Bassa del Paese.
La ragione di questa ondata di defezioni è il contrasto tra i senatori del PDP e Goodluck Jonathan, cristiano di etnia Igbo, leader del partito e Presidente della Nigeria, accusato di una politi! ca discriminatoria nei confronti della popolazione musulmana e Hausa-Fulani. Inoltre, ad esasperare il conflitto interno al PDP è l’intenzione, da parte di Jonathan, di candidarsi alle prossime elezioni presidenziali del 2015 come leader del partito. Si tratta di una mossa che potrebbe alterare la consuetudine politica del Paese, che da decenni prevede una tacita l’alternanza alla guida del PDP (e dunque del governo visto che il partito ha vinto ogni elezione presidenziale sin dalla fine della dittatura militare nel 1999) tra un esponente musulmano, generalmente di etnia Hausa-Fulani, e uno cristiano, solitamente di etnia Yoruba. In questo momento, appare difficile che il Presidente Jonathan riesca a portare a compimento il progetto di ricandidatura e conseguimento di un nuovo mandato, soprattutto perché, negli ultimi anni, l’equilibrio politico e sociale tra le maggiori etnie e confessioni nigeriane è già stato messo a dura prova dalle attività di Boko Haram ! (“l’Educazione Occidentale è peccato”) e da una preoccupante crescita del radicalismo islamico nelle regioni settentrionali del Paese. | |
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