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Mal di testa egiziano in vista per il nuovo segretario di Stato Usa. Ora che è ufficialmente al lavoro, Rex Tillerson dovrà infatti pronunciarsi sulla proposta di legge presentata al Senato dal repubblicano Ted Cruz, acerrimo nemico della Fratellanza Musulmana egiziana.
Il testo, che prende di mira la Confraternita, chiede che questa venga definita un’organizzazione terrorista, entrando quindi a far parte della lista nera dove già si trovano, tra le altre, Al-Qaida, Hamas ed Hezbollah. A sostenere la proposta di Cruz sono stati i senatori Orrin Hatch, James Inhofe e Pat Roberts (tutti repubblicani) che hanno lavorato a stretto contatto anche con Mario Diaz-Balart, altro compagno di partito che ha presentato una proposta simile alla Camera dei Rappresentanti. A Tillerson spetta ora il compito di presentare al Congresso una dettagliata relazione nella quale deve spiegare se la Fratellanza possiede o meno le caratteristiche per essere inserita nella lista nera ed essere quindi trattata di conseguenza. Ispettori della Fratellanza anche nella diaspora Se la proposta di Cruz trovasse una sponda in Tillerson, gli Stati Uniti diventerebbero il quarto Paese al mondo a mettere al bando la Confraternita, che dal 2013 è stata costretta ad agire nuovamente in clandestinità nella madrepatria. Dopo la caduta di Hosni Mubarak, i Fratelli Musulmani sono emersi dai lori sotterranei per agire alla luce del sole, influenzando in modo significativo l’epoca post-rivoluzionaria e imponendosi nel nuovo scenario politico. Si è trattato però di una breve parentesi, perché con il ritorno dei militari al potere la Confraternita è stata nuovamente bandita e il suo leader - l’allora presidente Mohammed Mursi- è finito in carcere, insieme a buona parte della dirigenza. A essere bloccate sono state anche le organizzazioni caritatevoli del movimento, i cui beni e attività sono stati congelati. Ecco perché molti tra i sopravvissuti a questa epurazione hanno optato per la fuga, partendo alla ricerca di quella patria alternativa che da sempre caratterizza la vita della Fratellanza. Quanti hanno deciso di dirigersi verso il Golfo non hanno questa volta optato per l’Arabia Saudita (tradizionale patria alternativa dei Fratelli in fuga dalla repressione nasseriana), preferendo Qatar ed Emirati Arabi Uniti. La guerra fredda intra sunnita che si è scatenata a seguito del golpe egiziano ha però portato gli emiri a riconsiderare in fretta la loro posizione. Seguendo a ruota Riad, gli Emirati hanno deciso di dichiarare la Fratellanza un’organizzazione terroristica, a dispetto dell’alleanza storica tra il movimento di Hasan al-Banna e le monarchie del Golfo e della posizione del Qatar, che rimane tuttora il suo maggiore sponsor nella regione, affiancato dalla Turchia di Racep Tayip Erdogan. A indagare sull’anima terroristica della Fratellanza è stata anche Londra, altra tra le mete preferite dalla diaspora egiziana. Nel 2014,il primo ministro David Cameron aveva infatti commissionato uno studio sulla Confraternita, i cui risultati, resi noti a fine 2015, l’hanno descritta come una compagine sociale e politica che non disdegna la violenza quando ritenuta necessaria e che ha intrattenuto storiche relazioni con un’organizzazione terroristica del calibro di Hamas. La relazione è stata però criticata in primis per gli autori che l’hanno firmata, l’allora ambasciatore britannico a Riad Sir John Jenkins e Charles Farr, già direttore generale dell’ufficio per la sicurezza e la lotta al terrorismo del Ministero degli Interni. Ecco perché, nel 2016, la CommissioneAffari esteri della Camera dei Comuni britannica ha pubblicato un nuovo rapporto nel quale ha evidenziato i vizi di forma e di contenuto presenti nella precedente relazione. La scommessa di Al-Sisi su Trump La questione non è nuova neanche negli Stati Uniti, dove già nel 2014 la repubblicana Michele Bachmann aveva sollevato la questione, seguita, nel 2015, sempre da Cruz, portavoce al Senato di una proposta di legge nata nella commissione di affari giudiziari della Camera, grazie, ancora una volta, a Diaz-Balart, capace di raccogliere il consenso anche del democratico Collin Peterson. A quel tempo, analisti di politica estera statunitensi vicini al Congresso avevano individuato una triade di lobbisti a sostegno dell’iniziativa: Egitto, Emirati Arabi Uniti e l’allora candidato alle primarie repubblicane, Donald Trump. Pur smentendo di avere subito pressioni egiziane, lo stesso Diaz-Balart aveva ammesso l’intercorrere di una decina d’incontri con diplomatici cairoti a Washington, con i quali ci sarebbe stato anche un intenso scambio di email. E c’è da scommettere che il tema sia stato anche sull’agenda della delegazione del governo egiziana recentemente volata a Washington per incontrare uomini del Congresso e della neo-insediatasi Amministrazione Trump. Dopo anni di ostilità nei confronti della détente obamiana verso la Fratellanza, il presidente egiziano Abdel Fattah Al-Sisi è certo di trovare in Trump un interlocutore più sensibile ai suoi timori securitari e più interessato alla lotta al terrorismo regionale, attraverso la quale il raìs giustifica la repressione degli islamisti. È per questo che Al-Sisi ha deciso di investire su di lui sin dal primo momento, diventato uno dei primi leader mondiali, insieme al russo Vladimir Putin, a sostenere la sua corsa verso la Casa Bianca. La speranza è che cercando di distruggere l’autoproclamatosi “stato islamico” in tre giorni (come dichiarato durante la campagna elettorale), Trump aiuti Al-Sisi nella battaglia contro i principali, ma non unici, nemici del restaurato regime egiziano. Il timore, per i generali, è che le parole del magnate siano però solo retorica. Solo il tempo dirà se il nuovo presidente trasformerà le sue parole in fatti, ma la risposta che Tillerson darà al dossier che ha trovato sulla sua scrivania sarà un primo indicatore delle vere intenzioni della nuova Amministrazione. L’inserimento della Fratellanza nella lista nera delle organizzazioni terroristiche sarebbe un regalo di cui Al-Sisi sarebbe molto riconoscente. Viola Siepelunga è una giornalista free lance. |
venerdì 27 gennaio 2017
Egitto: difficili rapporti con gli Usa
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