Ora che la vittoria delle forze di Misurata a Sirte contro l’autoproclamatosi “stato islamico” si è materializzata, appare in più viva luce la sua sconnessione con il superamento dello stallo politico della Libia. Essa non servirà ad avanzare la riconciliazione fra le parti libiche in lotta, cioè a facilitare il riconoscimento del governo di unità nazionale di Fayez Sarraj da parte dei suoi avversari.
D’altra parte, la stessa vittoria, benché fortemente funzionale ai loro interessi, difficilmente indurrà i numerosi sostenitori internazionali di Sarraj a compensarlo con un appoggio più risolutivo verso i suoi nemici interni ed esterni: i condottieri della Cirenaica e i loro alleati in Egitto, nel Golfo e nella stessa Europa.
La crisi libica, con le sue conseguenze e i suoi straripamenti, potrebbe perciò durare. Lo “stato islamico”, dopo la sconfitta a Sirte, non scomparirà. Nondimeno, esce da Sirte (mentre le cose nel Levante non gli vanno meglio) fortemente indebolito. Resta comunque in piedi il conflitto fra le parti libiche.
Governo di Sarraj sfiduciato Le forze militari associate al governo di unità nazionale di Tripoli e quelle associate all’ex governo di Tobruk hanno separatamente combattuto i jihadisti : le seconde hanno avuto ripetuti scontri a Derna e Bengasi, le prime hanno condotto la grande offensiva contro Sirte. Fra i due schieramenti libici non ci sono stati scontri militari. Invece, lo scontro politico non si è mai placato.
Il Consiglio presidenziale guidato da Sarraj si è spaccato un mese dopo la sua nascita con la defezione dei rappresentanti della Cirenaica e di Zintan. È riuscito a varare un governo ma, in virtù del sabotaggio esercitato con successo nel parlamento internazionalmente riconosciuto di Tobruk, non ha mai avuto da quest’ultimo il voto di fiducia richiesto dagli accordi che hanno dato vita al Consiglio presidenziale e al Governo di Unità nazionale di Sarraj.
L’Onu ne ha comunque confermato la legittimità e assicurato, con l’aiuto dei paesi occidentali, il suo controllo sulle risorse finanziarie e naturali del paese (o meglio ha escluso quello della parte avversa). Lunedì, il parlamento di Tobruk ha espresso un voto contro il governo di Sarraj in circostanze tuttavia che non prestano a questo voto alcuna credibilità e che non è destinato ad avere sulla situazione nessun impatto concreto.
Sarraj, caccia al tesoro per ottenere consenso Sarraj ha lavorato per ottenere l’adesione di Tobruk lungo due direttrici. Da una parte, ha bandito la crociata contro lo “stato islamico” a Sirte intendendo così di porre le basi di una forza militare nazionale sotto il manto del Consiglio presidenziale. Mail suo appello è stato ascoltato dalle milizie di Misurata e da alcune delle milizie islamiste di Tripoli, mentre il generale Khalifa Heftar e il suo così detto Esercito nazionale libico non si sono mossi facendo fallire l’obiettivo politico che Sarraj si proponeva.
Dall’altra, ha stabilito un dialogo diplomatico con i padrini politici di Tobruk e Haftar peregrinando fra il Cairo, Abu Dhabi e Riyadh. Questi però che sono rimasti fermi nel loro appoggio a Tobruk e Zintan, Haftar e Jibril.
Nella sua azione diplomatica non ha avuto nessun sostanziale appoggio dai suoi sostenitori occidentali, che hanno tanto premuto perché fosse condotta l’offensiva contro l’Isis, hanno inviato consiglieri militari e aerei da bombardamento in ausilio delle truppe sotto bandiera tripolina, ma nella difficile ricerca della soluzione politica alla crisi libica l’hanno lasciato solo.
Beninteso, i sostenitori di Sarraj, a cominciare dagli Usa e dal Regno Unito, hanno incoraggiato il Cairo e Abu Dhabi per le vie diplomatiche affinché accedessero al progetto di rappacificazione nazionale concepito in seno all’Onu e affidato a Sarraj. L’Italia lo ha certamente fatto nei confronti del Cairo e, dopo il caso Regeni, si è rivolta ad Abu Dhabi perché, non potendo l’Italia più farlo, premesse sul Cairo.
Mentre è chiaro che queste pressioni dovrebbero essere accompagnate da qualche argomento più forte della “moral suasion”, non è evidente se la politica occidentale in Siria, vista come “anti-sunnita” in quelle capitali orientali, dia alle esortazioni dell’Occidente a Riyadh, al Cairo e Abu Dhabi la necessaria autorità.
Neppure è chiaro se la “moral suasion” da sola sarebbe sufficiente. Inoltre, almeno un paese occidentale, la Francia, persegue una politica di forte sostegno al regime di Al-Sisi in Egitto e agli interessi economici e di sicurezza che Egitto e Francia condividono in Cirenaica. Infine, considerata l’evoluzione del regime di Al-Sisi, probabilmente non esistono quegli ottimi rapporti che servirebbero affinché paesi occidentali ed Egitto si prestino effettivamente ascolto.
Perciò, Sarraj si trova oggi ad avere ottenuto una vittoria militare, che probabilmente suscita anche simpatia nell’opinione pubblica libica (che però conta molto poco), ma è inutilizzabile sul piano politico. Molti si sono chiesti come mai Haftar abbia consentito alle milizie di Misurata di andarsi a coprirsi di gloria da sole: probabilmente Haftar ha capito meglio di Sarraj la situazione.
Alla ricerca di un ruolo per Haftar Che cosa accadrà ora? Qualcuno ha criticato Sarraj per aver lasciato che Misurata assumesse troppa prominenza rispetto ad altre forze libiche: la critica è che un leader destinato a creare le basi di una concordia nazionale avrebbe dovuto invece puntare a bilanciare il ruolo relativo dei protagonisti. In realtà, Sarraj ha provato a negoziare un ruolo soddisfacente per Haftar nel suo governo. Tuttavia Haftar punta probabilmente più in alto di quanto Sarraj gli abbia potuto concedere, mentre Misurata e gli islamisti in genere sono forse disposti a compromessi, ma non sul ruolo di un uomo che essi vedono come una replica di Gheddafi.
I rivoluzionari non possono accettare che un uomo vocato all’emarginazione di qualsivoglia tipo di islamismo abbia un ruolo in un governo di unità nazionale che è invece aperto agli islamisti moderati e vada quindi a rappresentare nel governo forze regionali che questo islamismo vogliono mettere al bando. La soluzione politica promossa dall’Onu ha dei parametri di democrazia e inclusione simili a quelli che i tunisini hanno applicato da soli. Il governo Sarraj non può perseguire una soluzione politica che esuli da questi parametri.
Perciò non ha commesso un errore, ma si trova in una situazione di stallo,oltretutto in gran parte dovuta all’incapacità dei suoi sostenitori occidentali di sottrarlo ai ricatti e alle pressioni delle varie potenze regionali e internazionali che per loro interessi sono causa maggiore di quello stallo.
Incassato l’indebolimento dello “stato islamico” alle loro porte, è quindi tempo che gli occidentali cessino di farsi aiutare dalla Libia nei confronti dell’estremismo e aiutino invece questo Paese a rendere innocui coloro che ostacolano il progetto di unità nazionale che essi stessi hanno chiesto a Sarraj di realizzare.
Roberto Aliboni è consigliere scientifico dello IAI.
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