Medio Oriente Libia, i tricolori bruciati dai seguaci di Haftar Umberto Profazio 05/05/2016 |
Il tricolore italiano è stato dato alle fiamme a Tobruk, Derna e Bengasi tra il 27 e il 30 aprile. Gli episodi sono successivi alle indiscrezioni di stampa sull’invio di 900 soldati italiani in Libia, su richiesta del nuovo governo di accordo nazionale, Gna. L’ipotesi è stata prontamente smentita dallo Stato Maggiore della Difesa, ma non ha impedito lo svolgersi delle manifestazioni.
Non è certo la prima volta che in Libia vengono registrate violente proteste anti-italiane: a soffiare sul fuoco sono in particolare gli elementi più radicali della società libica, memori della colonizzazione italiana nel secolo scorso.
Tuttavia, imputare alla difficile storia delle relazioni italo-libiche i recenti avvenimenti di Derna, Bengasi e Tobruk risulterebbe fuorviante. La vicenda è frutto dell’attuale crisi libica, complice una transizione perenne che non riesce a trovare uno sbocco conclusivo.
La difficile strada intrapresa a seguito dell’accordo di Skhirat del 17 dicembre scorso risulta ancora piena di ostacoli, il principale dei quali è senza dubbio Khalifa Haftar.
Le manovre di Haftar e l’ipoteca su Tobruk
In effetti, il minimo comune denominatore delle tre località dove si sono recentemente registrate le proteste sembra essere proprio il Generale. Bengasi è da circa due anni sotto assedio da parte di Haftar e del suo Esercito nazionale libico, Lna (a dispetto del nome, l’ennesima milizia che compone il frammentato panorama del Paese).
L’offensiva di Haftar a Bengasi contro i gli islamisti ha ottenuto nuovi rilevanti successi nelle scorse settimane, sebbene parte della città sfugga ancora al suo controllo.
Derna, prima roccaforte del cosiddetto “stato islamico” in Libia fino a giugno 2015, è stata recentemente bersagliata dall’aviazione del Lna. Scopo di Haftar sarebbe stato quello di rivendicare la vittoria contro il Califfato, nonostante i meriti principali della liberazione della città siano appannaggio del Consiglio della Shura della di Derna.
Apparentemente, le proteste anti-italiane di Derna erano indirizzate anche contro il Lna, accusato di bombardamenti indiscriminati sulla città.
D’altra parte, Tobruk è da mesi ostaggio di Haftar. La Camera dei Rappresentanti trasferitasi in questa città non è ancora riuscita a votare la fiducia al Gna presentato dal Premier Fayez al-Serraj, condizione necessaria per l’entrata in vigore del Libyan Political Agreement, Lpa.
A impedirlo sembra essere proprio Haftar, la cui nomina a Capo di Stato Maggiore dell’esercito approvata lo scorso anno dalla Camera di Tobruk è stata il principale successo della sua nuova avventura libica dopo l’esilio negli Stati Uniti. Un risultato messo a repentaglio proprio dal Lpa che all’art. 8 assegna le prerogative di nomina dei vertici dell’esercito libico al Gna.
Obiettivo Sirte
La costituzione del Gna e il suo trasferimento da Tunisi a Tripoli è stato un successo diplomatico, su cui ha puntato principalmente l’Italia. Non è un caso che il primo esponente straniero a congratularsi personalmente con al-Serraj sia stato il Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni.
Ciononostante, come tutte le soluzioni diplomatiche, quella del Gna richiede tempo e pazienza, fattori non spesso in dotazione in scenari di crisi. Inoltre, anche qualora il governo di al-Serraj riuscisse a mettere progressivamente radici a Tripoli, liquidando ciò che resta del Congresso Generale Nazionale e del governo di Khalifa Ghweil, resterebbe ancora da colmare la distanza con Tobruk, sempre più prigioniera delle manovre di Haftar.
Quest'ultimo, appoggiato dall’Egitto e dagli Emirati Arabi Uniti, ha annunciato nei giorni scorsi un'operazione militare per liberare Sirte dallo stato islamico. Il nome in codice è al-Qurdabyia, località nelle vicinanze di Sirte famosa per la sconfitta delle truppe italiane nel 1915.
L'annuncio ha fortemente preoccupato il Gna, consapevole del rischio di uno scontro tra il Lna e le milizie di Misurata, anch'esse pronte a muovere contro Sirte. Al-Serraj si è pronunciato contro un’offensiva non coordinata su Sirte, ammonendo i principali protagonisti sul rischio di una guerra civile.
L’Egitto, la Libia e il caso Regeni
La cesura, anche storica, tra Tripolitania e Cirenaica è sapientemente coltivata non solo dai principali attori interni, ma anche dalle potenze regionali, consapevoli di poter (o dover) giocare un ruolo nella complessa partita libica.
Con l’Algeria paralizzata nella sua azione di governo a causa della sempre più evidente malattia del Presidente Abdelaziz Bouteflika, è l’Egitto a detenere la golden share della complessa partita libica. Il regime del Presidente Abdel Fattah al-Sisi possiede diversi asset nel Paese, il principale dei quali è il già menzionato Haftar.
Con il deterioramento dei rapporti italo-egiziani a seguito della tragica morte del ricercatore italiano Giulio Regeni e l’avvallo delle Nazioni Unite al Gna, nuove geometrie sembrano disegnarsi in Libia.
Una volta molto più vicina al parlamento di Tobruk (l'unico legittimamente riconosciuto dalla comunità internazionale negli scorsi mesi) che a quello di Tripoli, l'Italia ha deciso di scommettere sul Gna, proprio in coincidenza con le fase più concitate del caso Regeni.
L'arrivo di al-Serraj a Tripoli il 30 marzo scorso ha di poco preceduto la rottura dell'asse tra Roma e il Cairo, messa in piena luca dal richiamo dell'ambasciatore Maurizio Massari per consultazioni. L'evidente contrapposizione tra Roma e il Cairo aiuterebbe a spiegare in parte la vicenda delle bandiere italiane bruciate in piazza.
Più in generale, risulta molto improbabile che l’Egitto accetti una soluzione della crisi libica che non tuteli i suoi interessi, in particolare in Cirenaica e lungo i suoi confini occidentali.
Tuttavia, a preoccupare è ancora una volta il mancato coordinamento tra gli occidentali, gli europei in particolare. La posizione della Francia risulta infatti molto ambigua: nonostante le dichiarazioni di sostegno al Gna, Parigi sembra sempre più vicina alle posizioni egiziane, come dimostrato dalla recente visita del Presidente Francois Hollande al Cairo e dai suoi interessanti risvolti economico-commerciali.
A dispetto delle apparenza, il governo francese sembra sempre più indirizzato verso l’interventismo, comprensibile dopo i recenti attentati a Parigi, ma probabilmente controproducente nel lungo termine sia per l’unità libica che nel contesto della lotta al terrorismo internazionale.
Umberto Profazio è dottore di ricerca in Storia delle Relazioni Internazionali presso l’Università di Roma “Sapienza”, Maghreb Analyst per la NATO Defence College Foundation e Junior Researcher per il Centre for Geopolitics and Security in Realism Studies. Il suo primo e-book “Lo Stato Islamico: origini e sviluppi”, è edito da e-muse.
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