Terrorismo Africa, Al Qaeda contro Isis Rossella Marangio 03/05/2016 |
Infatti, seppur più o meno connessi con reti terroristiche internazionali, i gruppi terroristici operanti nel continente sono spesso estremamente legati alle realtà locali in cui si formano ed operano, ed è in tale contesto che sviluppano la propria strategia, ed è in questa cornice che la risposta della comunità internazionale dovrebbe agire.
Fondamentalisti locali e reti globali
La maggioranza dei gruppi terroristici presenti in Africa si divide secondo la propria affiliazione alle maggiori reti internazionali che propugnano un ricorso al jihad: Al Qaeda e l’autoproclamatosi stato islamico. Tra gli affiliati ad Al Qaeda si distinguono notoriamente Aqim (Al Qaeda in the Islamic Maghreb), operante in Algeria, Mali, Senegal, Costa d’Avorio e Burkina Faso, i Murabitun in Mali, Ansar Al Sharia in Libia e Al-Shabaab, attivo soprattutto in Somalia e Kenya.
Tra gli affiliati al sedicente stato islamico, invece, si annoverano Boko Haram, operante principalmente in Nigeria, ma con tendenze a diffondersi nei paesi confinanti come Ciad e Camerun, e gruppi dell’Isis attivi in Libia, Tunisia ed Egitto.
Negli ultimi mesi, tutti questi gruppi hanno moltiplicato le loro azioni con significativi attacchi principalmente volti a colpire obiettivi civili, come gli hotel in Mali e Burkina Faso (Aqim), i resort in Egitto e Tunisia (Isis), ristoranti, centri commerciali, scuole in Somalia e Kenya (Al-Shabaab) o villaggi in Nigeria, Camerun e Ciad (Boko Haram).
La deriva preoccupante di questo intensificarsi degli attacchi è che una vera e propria competizione tra gruppi afferenti ad Al-Qaeda e allo stato islamico si sia messa in moto in Africa in una corsa alla propaganda basata sul numero e l’intensità degli attacchi.
Scontro fra jihadisti
Infatti, seppur incitando al jihad e propugnando il rispetto della sharia, le due reti internazionali sono di fatto in competizione per affermarsi come punto di riferimento del jihad e l’Africa è diventata lo scenario di questa guerra allo stesso tempo ideologica e materiale.
In tale competizione, un ruolo centrale è ricoperto dalla diversa concezione di controllo del territorio e territorialità che i due gruppi adottano e che, in Africa in particolare, è tutt’altro che secondaria.
Se gruppi affiliati ad Al Qaeda, infatti, non mirano realisticamente ad instaurare regimi alternativi, ma anzi si autoalimentano grazie al caos ed all’assenza di poteri e controllo, i gruppi affiliati allo stato islamico concepiscono la presa del territorio come uno dei nodi cruciali della propria azione.
Infatti, le strategie di Boko Haram o del gruppo stato islamico in Libia - che controllano direttamente porzioni di territorio e fanno spesso ricorso a rapimenti - differiscono notevolmente dagli attacchi più simili alla guerriglia tipici di gruppi affiliati ad Al Qaeda come Aqim.
Per tale differente concezione della territorialità, non sembra un caso che gruppi qaedisti si siano principalmente diffusi in aree tradizionalmente caratterizzate da popolazioni nomadi - come il Sahel e la Somalia (seppur Al Shabaab abbia marcati tratti nazionalistici) -, dove i confini sono necessariamente permeabili e traffici di ogni tipo alimentano anche il terrorismo.
La risposta internazionale
In risposta alla minaccia del terrorismo, l’intervento militare è stato il primo e tuttora il principale strumento messo in atto dalla comunità internazionale e da attori regionali.
Missioni con mandati di varia natura - dal contrasto del terrorismo al supporto più generale alla costruzione di capacità statuali - si sono diffuse sul territorio africano: tra le altre, Operation Serval (Francia), Afisma (Unione africana-Ecowas) e Minusma (Nazioni Unite) in Mali; Amisom (Unione africana) in Somalia; e la Multinational Joint Task Force contro Boko Haram in Nigeria.
Tuttavia, una risposta puramente militare al diffondersi di gruppi terroristi non sembra essere adeguata al fenomeno; anzi, in alcuni casi, potrebbe essere controproducente andando ad incrementare, anziché ridurre, il numero di potenziali combattenti, a causa della possibile commistione tra mancanza di opportunità e sentimenti di rivalsa verso ingerenze esterne.
Infatti, il terrorismo riesce ad alimentarsi anche grazie ad una serie di condizioni che rendono la militanza armata estremamente attraente. Tra queste condizioni, ci sono sicuramente la possibilità di avere introiti - in un contesto dove le opportunità economiche sono estremamente limitate - ed un sentimento di marginalizzazione all’interno della società che difficilmente può essere ribaltato.
Strategie diversificate
Nel lungo periodo, dunque, la necessità è quella di creare alternative concrete al terrorismo, in particolare per i giovani, e sostenere processi politici e di sviluppo che siano inclusivi e che tengano in conto le realtà locali, non da ultimo il ruolo che le comunità giocano in molte società africane nel determinare anche rapporti e scelte individuali.
Inoltre, le risposte al proliferare del terrorismo sul continente dovrebbero essere maggiormente diversificate, anche a seconda delle diverse strategie utilizzate dai gruppi terroristici.
Infatti, gruppi che mirano al controllo del territorio e gruppi che utilizzano maggiormente tecniche di guerriglia presentano caratteristiche e rivendicazioni diverse che devono essere adeguatamente prese in considerazione.
Infatti, se per entrambe le categorie è cruciale agire sui canali di finanziamento, un più efficiente controllo dei traffici di armi e dei canali di reclutamento, le rivendicazioni sono diverse e si dividono sommariamente in chi beneficia maggiormente dal caos tout court e chi mira a stabilire un ordine alternativo. Ed i processi politici - e non solo - che si occupano di queste questioni non possono trattarli allo stesso modo.
Rossella Marangio è dottoranda in Relazioni Internazionali nel programma ‘Politica, Diritti Umani e Sostenibilità” della Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa. Precedentemente ha lavorato come assistente accademico al Collegio d’Europa ed ha svolto tirocini presso il Seae e la Rappresentanza Permanente d’Italia presso l’Ue. Ha una Laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l’Università di Trieste ed un Master in Studi Europei Interdisciplinari presso il Collegio d’Europa.
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