Libia, un piede dentro e due fuori Umberto Profazio 04/03/2016 |
Secondo la Farnesina, tra le vittime degli scontri potrebbero esserci due italiani, Fausto Piano e Salvatore Failla. Entrambi erano stati rapiti lo scorso luglio assieme a altri due colleghi della ditta Bonatti, società di costruzioni che operava come contractor dell’Eni a Mellitah. Numerose fonti hanno rivelato un coinvolgimento dell’autoproclamatosi “Stato Islamico” nello scontro a fuoco, convincendo ancora di più l’opinione pubblica della necessità di un intervento in Libia.
Forze speciali straniere in Libia
Già da alcune settimane le notizie relative alla presenza di forze speciali straniere in Libia avevano portato molti commentatori a prefigurare la prossimità di un nuovo avventura militare nel Paese. Il 24 febbraio ad esempio il quotidiano francese Le Monde aveva rivelato le presenza di forze speciali francesi nella Libia orientale, incaricate di svolgere operazioni su indicazioni della Direction générale de la sécurité exteriéure (DGSE).
L’obiettivo di Parigi sarebbe quello di colpire lo Stato Islamico attraverso operazioni sotto copertura, eliminando i principali leader dell’organizzazione. Secondo il quotidiano francese l’operazione, organizzata di concerto con la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, avrebbe già condotto all’eliminazione di Abu Nabil al-Anbari, il principale leader dello Stato Islamico in Libia ucciso durante un bombardamento americano a Derna lo scorso novembre.
Lo scoop, all’origine di un’inchiesta per compromissione del segreto di Stato, non sembra aggiungere nulla di nuovo nello scenario libico. Già lo scorso dicembre forze speciali americane erano atterrate presso la base aerea di al-Watiya per poi essere costrette a evacuare a seguito delle minacce di una milizia, ignara o forse contraria alla loro presenza.
La notizia tuttavia segue di pochi giorni un nuovo attacco aereo ordinato dagli Stati Uniti contro lo Stato Islamico proprio presso Sabratha. L’obiettivo principale del raid del 19 febbraio, in cui sono morte almeno 50 persone, era Noureddine Chouchane, figura di rilievo dell’organizzazione in Libia e ritenuto il mandante degli attentati dello scorso anno contro il museo del Bardo a Tunisi e contro il resort turistico di Sousse.
Il giallo su Belmokhtar
Nonostante l’evidente attività sul terreno di diversi attori interessati, le recenti vicende dimostrano l’esistenza di numerosi fattori che rappresentano un freno a un nuovo intervento su larga scala in Libia. Oltre alla perdurante assenza di un governo di unità nazionale, occorre menzionare le numerose difficoltà ambientali riscontrate e l’ostilità dei principali partner regionali.
Per quanto riguarda il primo punto, a seguito del raid su Sabratha fonti del Pentagono hanno affermato che la morte di Chouchane ha eliminato un fattore cruciale per l’espansione dello Stato Islamico in Libia, annientando le sue capacità di reclutamento e di espansione territoriale e riducendo l’eventualità di attacchi contro obiettivi occidentali nella regione.
Molto più stringato è stato il commento della Casa Bianca che ha ribadito la determinazione statunitense nel combattere l’organizzazione di Abu Bakr al-Baghdadi anche in Nord Africa, probabilmente per confutare le voci di una riluttanza di Washington a intervenire nel teatro libico. Tuttavia il portavoce Josh Earnest non ha confermato il decesso di Chouchane.
La cautela dell’amministrazione del Presidente uscente Barack Obama sembra dovuta ai più recenti sviluppi relativi alla sorte di un altro leader jihadista attivo nella regione, Mokhtar Belmokhtar. Lo scorso giugno il leader dell’organizzazione al-Mourabitoun era stato individuato nei pressi di Ajdabiya, Libia, dall’intelligence Usa. Un successivo attacco aereo aveva condotto il governo Usa ad annunciare la morte di Belmokhtar.
Tuttavia, a distanza di otto mesi Washington non è ancora riuscita a ottenere conferme sulla sorte del terrorista algerino, confermando le grosse difficoltà riscontrate dall’intelligence americana nel recuperare informazioni in teatri altamente instabili e dove gli asset a disposizione sono sempre più a rischio.
Tunisia e Algeria temono raid stranieri in Libia
Agli evidenti limiti dell’intelligence nella regione bisogna aggiungere anche i danni collaterali dei raid organizzati dalle potenze occidentali. A titolo di esempio si può indicare la morte dei due diplomatici serbi Sladjana Stankovich e Jovica Stepic, rapiti lo scorso novembre dallo Stato islamico, accusati di traffico di armi e morti durante il bombardamento del campo di Sabratha. Oppure l’offensiva scatenata dal Califfato proprio contro Sabratha pochi giorni dopo il raid Usa, il cui prosieguo avrebbe condotto ai tragici avvenimenti del 3 marzo con la presunta morte di Piano e Failla.
La complessità dello scenario libico non aiuta le scelte degli occidentali, che sembrano caratterizzate più che da un presunto coordinamento, da strisciante competizione. Inoltre gli stessi partner regionali sembrano fortemente ostili a ogni eventuale intervento militare in Libia. La Tunisia ad esempio, dopo aver completato la costruzione di una muro di separazione di 200 km al confine con la Libia, ha annunciato che ogni decisione riguardante un intervento occidentale deve tenere in considerazione gli interessi tunisini.
Dello stesso avviso sembra essere l’Algeria, fortemente preoccupata per gli ultimi sviluppi. Dopo aver innalzato il livello di allerta lungo il suo confine orientale il governo di Algeri ha ribadito il suo sostegno a una soluzione pacifica per la crisi libica che rispetti il diritto internazionale. Il timore di entrambi i Paesi è che ulteriori raid o un intervento militare su larga scala costringano i gruppi terroristi a spostare altrove le loro basi operative, minacciando più da vicino il loro territorio.
Umberto Profazio è dottore di ricerca in Storia delle Relazioni Internazionali presso l’Università di Roma “Sapienza”, Maghreb Analyst per la NATO Defence College Foundation e Junior Researcher per il Centre for Geopolitics and Security in Realism studies. Il suo primo e-book “Lo Stato Islamico: origini e sviluppi”, è edito da e-muse.
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