venerdì 29 marzo 2019
SOMALIA. si aggrava la crisi umanitaria
Gli Stati Uniti hanno avviato una campagna di bombardamenti aerei in Somalia che è diventata più intensa dopo l'arrivo alla Presidenza di Donald TRump. Nel 2018 sono state almeno 2326 le vittime di 47 raid aerei statunitensi . Dall'inizio del 2019 i bombardamenti sono stati 24 con 225 vittime . I raid secondo fonti di Al Shabaab causano la morte di molti civili. In ogni caso, secondo fonti del New York Times, i bombardamenti hanno aggravato la crisi umanitaria in Somalia
domenica 24 marzo 2019
ALGERIA: le proteste continuano
Da 22 Febbraio 2019 sono in corso in Algeria proteste popolari sempre più massicce contro la candidatura ad un quinto mandato di Abedelaziz Bouteflika, al potere del 1999. . Dalla Svizzera dove è ricoverato per cure Bouteflika ha mandanto una lettera al popolo algerino in cui promette in caso di rielezione il 18 aprile di indire le elezioni presidenziali libere ed anticipate.
La lettera è stata accolta in modo negativo, quasi come benzina sul fuoco e le proteste sono aumentate. Secondo i commentatori il sistema algerino sta raccogliendo frutti di quello che ha seminato . LO scontento deriva da anni di corruzione dilagante e fragilità istituzionale, minate dalla concentrazione del potere nelle mani di pochi. Tutto questo da inevitabilmente portando il paese al disastro.
L'Algeria, uno dei pochi stati ancora stabili nell'Africa settentrionale rischia di diventare instabile se la classe dirigente non prende atto della situazione ed indice nuove elezioni libere e portare al governo una nuova classe dirigente.
L'esercito scarica Nouteflika" uno dei tanti titoli apparsi sulla stampa algerina dopo le dichiarazioni del capo di stato maggiore algerino Ahmed Gaid Salh che in una dichiarazione ha detto che intende ricorrere all'articolo 102 della costituzione che dichiara il presidente "inadatto" alla carica di presidente.
domenica 17 marzo 2019
Africa centrale: una evoluzione non auspicabile
Lo
Stato Islamico nel Sahel è una possibile nuova minaccia?
Ci sono rischi concreti
di un nuovo Stato Islamico nel Sahel?
Ciò che preoccupa
l‟intelligence occidentale è l‟annuncio della creazione dell‟ISBS “Grande Stato
Islamico del Sahara”, la terra in cui si sta sviluppando è il confine tra
Libia, Niger e Mali, dove il controllo statale è assente e i traffici illegali
prosperano. La cosa che preoccupa di più è la probabile alleanza tra i gruppi
Quaedisti della zona e gli uomini vicini allo Stato Islamico, tra cui molti
jihadisti scappati da Derna e Sirte.
Quali sono questi gruppi?
Il gruppo jihadista della regione è Al-Mourabitoun “Le sentinelle” capeggiato
da Adnan Al Saharawi, ora è il fondatore dell‟ISGS.
Adnan al-Sahrawi era l'ex
portavoce e autoproclamato emiro (leader) del gruppo di al-Qaeda al-Mourabitoun
("Le sentinelle") basato sul Sahara. Nel maggio 2015, Sahrawi ha
promesso la fedeltà di Mourabitoun all'ISIS e al suo califfo Abu Bakr
al-Baghdadi, che esorta "altri gruppi jihadisti a fare altrettanto".
Il Sahrawi si è quindi separato da al-Mourabitoun per formare il proprio
gruppo, lo Stato islamico affiliato all'ISIS nel Grande Sahara (ISGS) , alias
Stato islamico del Sahel. Si sospetta che attualmente operi al di fuori del
Mali.
Sembra esserci il suo
gruppo dietro l‟uccisione di 4 soldati americani nel deserto ed è guardato con
preoccupazione non tanto per le sue azioni in questo momento, finora poco
rilevanti, ma per le capacità espansive che potrebbe avere nella zona.
Il territorio in cui si
sta espandendo è il confine tra Niger e Mali, una terra di nessuno dove
prosperano i traffici illegali, dal contrabbando al traffico di migranti, in
questo territorio passano infatti l‟80% dei migranti che si dirigono verso
l‟Europa, non solo, è lo snodo che poi porta i migranti nel Fezzan, e quindi
nella costa libica per imbarcarsi verso l‟Europa. Il territorio è da tempo a
rischio radicalizzazione e da tempo le formazioni jihadiste fanno molti
proseliti tra queste popolazioni nomadi.
La cosa che preoccupa di
più è la sospetta ma non confermata alleanza tra l‟ISBS e l‟AQIM (Al Qaeda nel
Maghreb islamico) di Belmokhtar,
un fantasma, l‟” imprendibile” francesi, se non è chiara l‟effettiva alleanza
tra i 2 teorici rivali, è certa la connivenza e sospetta radicalizzazione con i
Tuareg di Ansar Dine e altri gruppi nomadi del deserto, oltre che il legame
lato con Boko Haram che opera in Nigeria.
Lo scopo è la lotta contro il G5 (Niger, Mali,
Burkina Faso, Mauritania e Ciad), e le forze internazionali che qui vi operano,
tra cui la Francia con l‟operazione Barkhane (circa 4000 uomini) e forse nei
prossimi mesi del 2018 anche l‟Italia, che deve superare l‟ostruzionismo
francese che opera nelle sue ex colonie. È necessario un intervento italiano?
Quanto è rischioso? Quanto è rischioso non intervenire?
Ricercatore Cesvam,
Dott. Matteo Bortolamigiovedì 14 marzo 2019
Libia ed iniziative altrui
La
mossa francese per mettere le mani sulla Libia
E
l’Italia?
La risoluzione 1973 ONU
che ha legittimato l‟intervento militare che garantisse una no-fly zone sui
cieli libici a scopi “umanitari” ovvero preservando i ribelli dai bombardamenti
del raìs, non solo, la no-fly-zone è stato il primo passo, si è passati molto
presto al diretto supporto delle milizie ribelli, con azioni anche aria-terra e
non solo aria-aria. La frettolosa campagna aerea condotta dalle nazioni unite
senza una exit strategy o un obbiettivo politico anche a medio termine, ha
portato ad una seconda guerra civile, l‟inserimento dell‟Isis e la
frammentazione politica attuale.
L‟intervento francese si
è dimostrato disastroso, se non per lo scopo principe, ovvero l‟eliminazione di
Gheddafi. Ora il governo francese si è spostato in un‟asse diverso rispetto a
quello delle Nazioni Unite, ovvero supporta il generale Haftar in
controtendenza e in alcuni casi anche di scontro con i suoi partner europei,
tra cui l‟Italia.
Come gestì il quadro libico
l‟Italia? Quale futuro si prospetta?
In Italia, l‟allora
presidente del Consiglio Silvio Berlusconi si mostrò scettico nell‟abbattere il
colonnello, con cui mesi prima aveva concluso vantaggiosi accordi economici e
si trovò in grande difficoltà a fornire basi e aerei per il bombardamento del
suolo libico. Ciò che la Francia ha cominciato l‟Italia deve finire, per questo
è importante ridefinire in termini più massicci l‟influenza italiana in Libia,
necessario è scrollarsi di dosso quel decennale servilismo che danneggia gli
interessi italiani proprio sulla sua ex colonia.
Come’è intervenuta
l’Italia e quali sono gli interlocutori?
L’Italia sostiene il
premier Al Serraji, pur considerato un interlocutore legittimo dall’ONU, non ha
i mezzi ne l’influenza politica necessaria per poter governare, non tanto per
il sostegno internazionale, ma per l’effettivo potere che ha a disposizione,
non essendo molto conosciuto è legato alle milizie con un legame più economico
che politico, di convenienza, in quanto l’unico posto dove ha effettivamente
potere è la base navale in cui ha sede.
Le personalità che godono
di maggiore fama e seguito sono tre: Haftar l‟uomo forte del parlamento di
Tobruk, Ghwell primo ministro fino al 2017 e autore di un tentato golpe e forte
di una base clientelare con varie milizie, infine una figura molto conosciuta
in Libia ma poco acclamata dalla stampa occidentale ovvero il secondogenito di
Gheddafi, Saif Al-Islam.
Ha senso continuare a
giocare a fondo perduto su Al-Serraji o ha più senso puntare su un leader più
carismatico e incisivo?
Iscriviti a:
Post (Atom)