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Un piano quinquennale per un’educazione dai pulpiti e una riforma per ridurre il tasso di divorzi. Sono questi i dossier più caldi sui quali si sta consumando lo scontro tra il regime egiziano di Abdel Fattah Al-Sisi e Al-Azhar, massima autorità dell’Islam sunnita di stanza al Cairo.
Anche se questa istituzione religiosa è stata una strenua sostenitrice del ritorno dei generali al potere, negli ultimi mesi non sembra più disposta a fare da megafono al regime che dopo la restaurazione se ne è servito per legittimarsi e per imporre le sue politiche sulla popolazione. Lo scatto che immortala lo sheikh di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyib, al fianco di un Al-Sisi ancora in divisa militare poche ore dopo il golpe dell’estate 2013 sembra ora il ricordo di un idillio rovinato dal tempo. La ricette di Al-Sisi per ridurre i divorzi La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la proposta, avanzata da Al-Sisi, di mettere fine, attraverso la creazione di un’apposita legge, al divorzio verbale. In tema di matrimonio e separazione, l’Egitto segue la sharia: in mancanza di clausole ad hoc introdotte nel contratto matrimoniale su richiesta della donna, per divorziare una coppia deve passare dal tribunale. Visto che tale processo spesso si dilunga, negli anni si è diffusa la pratica del divorzio verbale, una scappatoia con cui gli uomini ripudiano le proprie mogli pronunciando una semplice formula verbale che interrompe il vincolo coniugale, magari a causa di un alterco iniziato per futili motivi. Combattendo questa pratica e costringendo la coppia a sottoporsi al tradizionale, e quindi lento, iter previsto dalla legge, Al-Sisi spera di riuscire a scoraggiare le separazioni, cresciute, nel 2015, del 10,8% rispetto all’anno precedente. Per raggiungere il suo obiettivo, il presidente ha chiesto ad Al-Ahzar di dare legittimazione religiosa alla sua iniziativa, affermando che il divorzio verbale non è conforme alla sharia. Tutt’altra però la risposta arrivata dall’ente religioso che ha invitato lo Stato a preoccuparsi dei veri problemi alle radici del divorzio - soprattutto quelli di natura socio economica - snobbando pubblicamente il progetto del regime. Visto che negli ultimi anni Al-Ahzar è stata una delle prime alleate del regime, questa sua ultima mossa ha destato non poca sorpresa, nonostante che in Egitto il potere temporale e quello spirituale si fossero già scontrati di recente su un’altra questione che ha avuto al centro la qutba, ovvero la predica pronunciata dai ministri religiosi durante la preghiera comunitaria del venerdì. Piano quinquennale di sermoni La strategia post 2013 di controllo della società civile e di restrizione dello spazio pubblico è infatti passata anche dalle moschee. Dopo aver chiuso tutte quelle create in luoghi informali (dai garage alle cantine), nel 2014 il Ministero degli Affari Religiosi ha deciso di prendere sotto il suo controllo tutti i luoghi di culto e di fare predicare al loro interno solo ministri autorizzati da Al-Azhar. Per gli “abusivi” sono stati previsti tre mesi di carcere e il pagamento di una salata multa. Per assicurarsi un controllo più capillare, il Ministero ha pure deciso di prendere in mano la gestione e l’amministrazione, anche finanziaria, delle moschee, licenziando gli islamisti che la Fratellanza aveva messo al vertice e sostituendoli con figure più leali ai militari. La misura più discussa è stata però quella che ha preso di mira i sermoni del venerdì. Nell’estate successiva al golpe, il Ministero ha deciso di allineare e standardizzare le prediche, dando loro un codice etico. Al fine di riformare e rinnovare il pensiero religioso, a inizio anno il Ministero ha presentato un vero e proprio piano quinquennale di temi da sviluppare durante la qutba: 54 nel 2017 e altri 270 nei rimanenti anni. Si va dalla promozione dei valori nazionalisti alla guerra al terrorismo, temi cruciali per il regime di Al-Sisi che sostenendoli cerca di legittimarsi dentro e fuori dal Paese. A scegliere i temi delle prediche è stata un’apposita commissione creata dal governo che non ha però coinvolto nel processo Al-Azhar, spiegando che questa istituzione è responsabile della diffusione dei valori islamici all’interno del mondo sunnita, mentre la gestione della pratica religiosa lungo il Nilo spetta al Ministero degli Affari religiosi. Ecco perché sheikh e imam di Al-Azhar, che hanno criticato il progetto di standardizzazione dei sermoni sin dalla prima ora, si sono opposti a questo piano quinquennale. Religione ad usum delphini I recenti scontri tra Al-Azhar e il regime rischiano di mettere in crisi uno dei matrimoni sui quali si è fondata la restaurazione del regime militare egiziano. Per condurre la guerra al terrorismo (che al suo interno include quella a tutti gli oppositori del regime) Al-Sisi si è quasi sempre appellato al rinnovamento religioso, nazionalizzando l’Islam anche attraverso la nazionalizzazione di Al-Azhar. Ma se questo gioco di sponda venisse meno, anche la “rivoluzione” voluta da Al-Sisi rischierebbe di deragliare. A soffrirne non sarebbe tanto il progetto di riforma dell’Islam invocato da Al-Sisi (della cui sincerità è lecito dubitare) quanto piuttosto il regime egiziano che scontrandosi con Al-Azhar perderebbe un ingranaggio essenziale per questa “rivoluzione” presentata come religiosa, ma in realtà ad usum delphini. Fino ad ora, appoggiandosi sull’Islam, Al Sisi ha cercato di legittimare il suo regime autocratico più di quanto abbia fatto credere al popolo egiziano e agli osservatori stranieri. Ma se Al-Azhar si tirasse indietro, Al-Sisi diventerebbe un re nudo. Viola Siepelunga è giornalista freelance. | ||||||||
lunedì 20 febbraio 2017
EGITTO. Equilibri precari
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