Libia Governo libico, parto difficile Umberto Profazio 28/01/2016 |
Il voto di Tobruk
Il Parlamento di Tobruk, l’unico legittimamente riconosciuto dalla comunità internazionale, ha respinto il nuovo governo del Primo Ministro designato Fayez al-Sarraj che, composto da 32 membri in rappresentanza delle diverse regioni della Libia, era stato nominato il 19 gennaio. Già la sua gestazione aveva causato non poche polemiche nel Paese. L’elevato numero di ministri, il basso profilo di alcuni di essi e soprattutto l’annuncio della sua formazione dato da Tunisi e non dal territorio nazionale erano fattori indicativi che lanciavano chiari segnali sulla sua futura sorte.
L’impressione in tutto il Paese è infatti che il governo non sia un’emanazione libica, quanto il frutto di un’imposizione da parte esterna.
L’accordo di Skhirat e il fattore Haftar
Con l’uscita di scena del mediatore Onu Bernardino León e l’ingresso di Martin Kobler, il 15 dicembre si è arrivati al tanto sospirato accordo di riconciliazione nazionale, firmato a Skhirat. Tuttavia già allora l’accordo era stato investito da forti critiche.
Alcune clausole sono divenute ostacoli insormontabili, in particolare quelle relative al comando delle forze armate, con Tobruk che rifiuta ogni eventualità di un allontanamento del generale Khalifa Haftar come richiesto da Tripoli. Figura controversa, Haftar è a capo del Libyan National Army, Lna: a dispetto del nome, l’Lna non è altro che una delle principali milizie presenti nell’est del Paese, da mesi impegnato nell’assedio di Bengasi contro gli islamisti. Non è un caso che il giorno stesso in cui la Camera dei Rappresentanti ha negato la fiducia al nuovo governo, il Parlamento di Tobruk abbia anche abrogato l’art. 8 dell’accordo di Skhirat che stabiliva il trasferimento al Primo Ministro di ogni potere relativo al comando supremo delle forze armate, alla nomina degli esponenti militari e delle forze di sicurezza e la facoltà di decretare lo stato di emergenza.
Ancora una volta quindi il fattore Haftar è risultato decisivo, nonostante la figura del generale sia stata investita da pesanti accuse. Dopo aver defezionato dall’Lna, il suo ex portavoce Mohammed al-Hijazi ha accusato il generale di corruzione, trovando il sostegno del Presidente della Camera di Tobruk Agila Saleh che ha istituito una commissione d’inchiesta sulla vicenda. In realtà, se mai vi è stata frattura tra Haftar e Saleh, essa si è subito ricomposta come dimostra l’incontro tra i due ad al-Maraj il 24 gennaio e soprattutto l’esito del voto del 25 gennaio. Haftar gode poi del sostegno degli Emirati, della Giordania e dell’Egitto. Dopo aver violentemente represso la Fratellanza Musulmana, il Cairo si è mostrato fortemente avverso a un’eventuale diffusione dell’islamismo politico nella regione. In questo Haftar è risultato utile, sia come pedina da muovere nel complesso scenario libico, sia come baluardo all’avanzata degli islamisti lungo i confini orientali.
L’offensiva jihadista e il nodo di Tripoli
Tuttavia ciò non basta a fermare l’avanzata del Califfato. Il camion bomba esploso a Zliten il 7 gennaio ha fatto registrare il bilancio peggiore in termini di vittime (circa 70, soprattutto cadetti di una scuola di polizia) da circa un anno. Ma è stata soprattutto l’offensiva scatenata contro il cosiddetto “crescente petrolifero” (la zona dove sono situati i principali terminal libici) ad aver creato allarme. L’attacco a inizio gennaio contro es-Sider è proseguito nei giorni scorsi a Ras Lanuf, respinto solo con molte difficoltà dalle Guardie Petrolifere, milizia federalista guidata da Ibrahim al-Jathran. Nonostante tali eventi incidano poco sui prezzi del greggio su un mercato internazionale sostanzialmente saturo, la capacità di proiezione della filiale libica di Al-Baghdadi è visibilmente aumentata.
Serra, l’incontro con le milizie libiche e l’intervento occidentale
Dopo il voto del 25 gennaio, Serraj ha altri 10 giorni di tempo per presentare un nuovo esecutivo, possibilmente meno numeroso. Oltre alla costante preoccupazione di garantire un’equa rappresentanza alle varie province libiche, tra i nodi principali da sciogliere vi è anche l’atteggiamento del Congresso Generale Nazionale.
Il suo Presidente, Nouri Abu Sahmain, è visibilmente ostile a ogni ipotesi che veda il nuovo governo insediarsi a Tripoli, così come diverse fazioni della coalizione islamista Fajr (Alba) che hanno minacciato di resistere con le armi. Nella stessa coalizione sono comunque iniziate a emergere divisioni, con alcuni gruppi che sembrano volersi attestare su posizioni più moderate. Su questo fronte sta lavorando il Generale Paolo Serra che, in qualità di consigliere militare di Kobler, ha incontrato diversi capi-milizia (tra i quali quelli di Zintan e Misurata) per assicurare condizioni di sicurezza accettabili nella capitale nell’eventualità di un trasferimento del governo.
La costituzione di un governo di unità nazionale è stato finora la condicio sine qua non per un intervento militare occidentale in Libia. Nonostante la cautela delle varie capitali è prevedibile una forte azione di contrasto per fermare i gruppi jihadisti che proliferano nell’area.
Al momento tuttavia, l’attività maggiore sembra registrarsi nel settore dell’intelligence, con il monitoraggio aereo e la presenza, segnalata a più riprese da diverse fonti di stampa, di forze speciali di diversi Paesi al fine di stringere legami con i numerosi attori presenti sul terreno. I pericoli sono dietro l’angolo. In un panorama politico e sociale così frammentato come quello libico, l’individuazione di partner affidabili risulterà un fattore cruciale per il buon esito di ogni eventuale operazione di contrasto al terrorismo jihadista.
Umberto Profazio è dottore di ricerca in Storia delle Relazioni Internazionali presso l’Università di Roma “Sapienza”, Maghreb Analyst per la NATO Defence College Foundation e Junior Researcher per il Centre for Geopolitics and Security in Realism studies. Il suo primo e-book “Lo Stato Islamico: origini e sviluppi”, è edito da e-muse.
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