Medioriente A Roma cambio di passo sulla Libia Roberto Aliboni 16/12/2015 |
Ha invece avallato la proposta delle Nazioni Unite così com’è, incoraggiando quelle parti che già l’hanno approvata (e che si riuniranno a Skhirat mercoledì prossimo, 16 dicembre) a farlo in via definitiva, soprassedendo ad ogni ulteriore tentativo di intendersi con gli islamisti di Alba libica e gli altri oppositori della proposta stessa.
Verso Skhirat
Dal comunicato finale e dalle dichiarazioni del segretario Usa, John Kerry, risulta chiaramente che i partecipanti alla conferenza di Roma hanno ritenuto inutile ogni ulteriore tentativo di raggiungere un comprensivo accordo nazionale e intendono invece sostenere un governo che subirà, sì, una più o meno forte opposizione interna, ma avrà anche un vasto appoggio internazionale per venire a capo di questa opposizione, riprendere in mano l’economia del paese e porre le premesse per un contrasto efficace all’autoproclamatosi “stato islamico”, Isis.
Kerry ha detto “È tempo di sbloccare la situazione”, ed ha poi aggiunto che i paesi riuniti a Roma “non appena questo governo sarà formato, sono pronti ad incontrarlo al più presto per cominciare a stabilire cosa è necessario al fine di sostenere le misure da prendere”.
Le decisioni prese a Roma mettono in evidenza posizioni nuove. Hanno cambiato posizione innanzitutto gli occidentali che, non arrivando il governo comprensivo ed inclusivo da essi ritenuto necessario a stabilizzare la Libia, hanno deciso di accettare un governo meno comprensivo, ma disposto ad aprire la porta ad interventi di stabilizzazione dall’esterno che evidentemente vengono ormai ritenuti irrinunciabili. Il motore primo è l’espansione dell’Isis in Libia.
Ma - il che è forse anche più notevole - hanno cambiato posizione le potenze regionali che finora hanno sostenuto questa o quella delle parti in presenza esercitando forti interferenze.
Anche se resta da vedere fino a che punto e fino a quando ad Ankara, Riad e Doha resisterà questo cambiamento di posizione, vale la pena notare che un cambiamento è intanto emerso nel più impervio quadro siriano, dove questi tre paesi hanno, nei mesi scorsi, trovato un’intesa sul piano militare e ora hanno collaborato con successo, nella riunione di Riad del 10 novembre, a formare la delegazione unica che il “processo di Vienna” esige e che sembrava impossibile si potesse mai formare fra milizie e gruppi separati da profondi dissensi se non ostilità.
Variabile russa
L’entrata in guerra della Russia è probabilmente il fattore che ha convinto questi paesi a mettere da parte le discordie e avvicinarsi agli Usa. L’abbattimento del bombardiere russo da parte della Turchia può anche essere visto in questa chiave (e al tempo stesso come affermazione nella gara per la leadership fra le potenze regionali sunnite).
È cambiata anche la posizione russa, sempre molto critica verso le politiche occidentali riguardanti la Libia? Mosca si è tenuta un po’ sui margini della conferenza di Roma, inviando un viceministro degli Esteri invece del ministro.Nella conferenza stampa Kerry ha però riferito di un giudizio positivo e convergente da parte della Federazione Russa.
Dietro questo più cauto atteggiamento russo, come dietro la concordia delle potenze sunnite, si intravvedono gli sforzi in corso per trovare nuovi equilibri in Siria e dare possibilmente uno sbocco alla lunga crisi in questo paese e nella regione.
Se così è, lo si vedrà al procedere del processo di Vienna nei prossimi trenta-quaranta giorni. Siamo qui di fronte a fattori più o meno tattici che però rafforzano la nascente strategia occidentale e il suo fuoco sull’Isis.
La scommessa che gli Usa e gli europei hanno sostenuto a Roma con successo non ha però prospettive facili. Il governo di unità nazionale minoritario che nascerebbe a Skhirat potrebbe essere così debole da non riuscire neppure ad utilizzare il sostegno che gli viene promesso.
Un intervento in Libia rischia di restare illegittimo agli occhi della maggioranza del paese e di suscitare problemi poi difficili da risolvere. Non si tratta solo di reazioni negative da parte dei settori islamisti più radicali. Ci sono interessi e contrapposizioni anche da parte di interessi territoriali (come quelli dei così detti federalisti) e personali (come quelle del generale Heftar).
Gli ostacoli che abbiamo illustrato in un precedente articolo restano immutati. Inoltre, su una fine duratura delle interferenze da parte delle potenze regionali si può dubitare.
Infine, se le cose andranno secondo il percorso auspicato a Roma, l’Italia - con il chiaro appoggio degli Usa, prima che degli europei - è facile che riceva quel ruolo nel sostegno al governo di unità nazionale che il governo Renzi ha tanto auspicato. Ci saranno però difficoltà e occorre prudenza.
Roberto Aliboni è consigliere scientifico dello IAI.
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