Medio Oriente Intervento in Libia, i pro e i contro Natalino Ronzitti 12/02/2015 |
Le milizie la fanno da padrone, ingenerando insicurezza negli operatori stranieri, tanto che la produzione di petrolio è calata vertiginosamente. Vendite illegali di petrolio e traffici di armi aggravano la situazione, divenuta ancora più pericolosa con la proclamazione di un califfato islamico a Derna.
C’è il rischio di una nuova Somalia a due passi dalle nostre coste, con tutto quello che ne può seguire per la minaccia terroristica. Il paventato dissolvimento della Libia con la nascita di due o più stati indipendenti non si è finora realizzato poiché le tribù e le bande armate non sono riuscite a organizzarsi in un modello statale, almeno secondo i canoni classici della comunità internazionale.
Eubam e Unsmil
I rimedi tentati dalle istituzioni internazionali non hanno finora avuto successo. A parte l’European Union Border Assistance Mission (Eubam), missione civile dell’Unione europea (Ue), le speranze maggiori sono riposte nell’opera delle Nazioni unite che agiscono mediante l’UN Support Mission in Libya (Unsmil). Si tratta di una missione non armata, di natura politica, volta a favorire il dialogo tra le varie componenti del mosaico libico che si sono incontrate recentemente a Ginevra.
L’Unsmil, il cui mandato è stato più volte rinnovato dal Consiglio di sicurezza (Cds), opera sotto l’egida del Segretario Generale dell’Onu e del suo rappresentante speciale, Bernardino Leon. Non si tratta quindi di una missione di peace-keeping con il dispiegamento di una forza armata sul terreno.
L’Italia, attraverso le parole del suo Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Paolo Gentiloni e del Vice-Ministro Lapo Pistelli, ha dichiarato il suo appoggio a Leon e si è resa disponibile a un intervento militare, ma solo sotto l’egida Onu, escludendo ogni intervento unilaterale.
In questa sede si indicano le opzioni ammissibili sotto il profilo del diritto internazionale e conformi alla nostra Costituzione.
Legittima difesa
Un attacco missilistico o di un gruppo terroristico provenienti dalla costa libica sul nostro territorio non è da escludere. In tal caso l’Italia avrebbe il diritto di reagire in legittima difesa, senza dover chiedere autorizzazione del Cds.
Ormai è riconosciuto che la legittima difesa può essere esercitata non solo nei confronti di uno stato, ma anche di un attore non statale. La reazione potrebbe essere messa in atto dopo che l’attacco armato sia stato sferrato, ma anche nell’imminenza dello stesso, ad es. se fonti di intelligence dovessero accertare che i missili puntati verso l’Italia sono pronti a partire.
Gli alleati potrebbero intervenire a fianco dell’Italia, che avrebbe il diritto di invocare l’art. 5 della Nato, ma anche l’art. 47 del Trattato Ue (troppo spesso si dimentica che, secondo tale disposizione, in caso di aggressione i partner europei sono obbligati a fornire all’aggredito aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso).
L’azione in legittima difesa può durare per tutto il tempo necessario e comportare una presenza armata in territorio libico.
Missione di Peace-Enforcement
Di regola il peace-enforcement richiede l’autorizzazione del Cds. Esso comporterebbe uno stabile dispaccio di una forza multinazionale in territorio libico, con il compito di pacificare il territorio e ricostruirne il tessuto istituzionale. Tale forza potrebbe operare sotto l’egida del Segretario Generale dell’Onu, ma anche sotto comando di uno stato.
L’Italia sarebbe il candidato più naturale. Si potrebbe però avere anche una missione congiunta Ue-Unione africana. Le difficoltà consistono nell’ottenere l’assenso di tutti i membri permanenti del Cds. La Russia, scottata dall’intervento Nato del 2011, difficilmente si pronuncerebbe a favore e quasi sicuramente opporrebbe il veto.
Coalizione di volenterosi
Si tratterebbe di un’operazione senza cappello Onu e quindi indigeribile per Gentiloni. Entrare in territorio altrui senza il consenso dello stato territoriale e senza l’autorizzazione del Cds è illegittimo, anche se vi sono fautori dell’intervento umanitario (tra cui non è da annoverare il sottoscritto).
L’ancora di salvataggio (o se si vuole la foglia di fico) potrebbe essere costituita dal Governo di Tobruk, quantunque non si tratti di un governo effettivamente rappresentativo. Come dimostra l’esperienza (Kosovo, Iraq 2003), una risoluzione a posteriori del Cds potrebbe legittimare il fatto compiuto, sempre che Russia (e Cina) non si oppongano).
Missione di peace-keeping
A differenza del peace-enforcement, il peace-keeping ha come scopo il mantenimento della pace, senza prendere posizione tra le fazioni in lotta e la forza di pace non è autorizzata ad usare la forza, tranne a protezione dei suoi membri.
Forse il peace-keeping potrebbe ottenere il consenso (o la non opposizione) della Russia, qualora fosse ancorato a un chiaro mandato. Sennonché la situazione libica richiede l’“imposizione” della pace, non il “mantenimento” di una pace inesistente! Molto dipenderà dall’iniziativa di Leon e dall’esito delle trattative politiche, al cui successo potrebbe essere condizionato il successivo invio di una forza di peace-keeping.
Trattato italo-libico del 2008
Un’eventuale azione militare italiana deve fare i conti con il Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione del 2008. Esso contiene un paio di disposizioni che ribadiscono il divieto della minaccia e dell’uso della forza (art. 3) e stabiliscono il divieto di compiere atti ostili in partenza dai rispettivi territori (art. 4).
Le due disposizioni furono superate con disinvoltura durante l’intervento del 2011. Esse non impedirebbero un intervento in legittima difesa o sotto l’egida delle Nazioni unite. Il solo dubbio potrebbe essere sollevato in relazione a un’azione armata non in legittima difesa e non autorizzata dall’Onu. Ma è sempre in vigore (o quantomeno sospeso) il Trattato del 2008? Questione complessa che non è qui possibile esaminare.
In conclusione, il diritto internazionale offre sulla carta un ampio ventaglio di possibilità per un intervento in Libia a protezione dei nostri interessi. Ovviamente però, la legittimità internazionale deve essere coniugata con l’opportunità politica e la disponibilità economica. E queste sono un’altra cosa!
Natalino Ronzitti è professore emerito di Diritto internazionale (Luiss Guido Carli) e Consigliere scientifico dello IAI.
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