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Metodo di Ricerca ed analisi adottato


Il medoto di ricerca ed analisi adottato è riportato suwww.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com

Vds. post in data 30 dicembre 2009 seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità delloStato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento al medesimo blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

lunedì 12 gennaio 2009

Macro Regione Africa Orientale

Articolazione

BURUNDI, COMORE, ERITREA, ETIOPIA,GIBUTI, KENYA, MADAGASCAR, MALAWI. MAURITIUS, MOZAMBICO, RWANDA, SEYCHELLES, SOMALIA,TANZANIA, UGANDA, ZAMBIA, ZIMBABWE

Paese,
Area (migliaia di kmq)
Popolazione (in milioni)

BURUNDI
27
6,05
COMORE
2,17
0,6
ERITREA
121,32
4,4
ETIOPIA
1127,13
76,51
GIBUTI
23
0,46
KENYA
582,65
31,14
MADAGASCAR
587,04
16,47
MALAWI
118,40
11,90
MAURITIUS
1,86
1,26
MOZAMBICO
801,59
19,10
RWANDA
26,33
7.95
SEYCHELLES
0,45
0,08
SOMALIA
637,66
10,70
TANZANIA
945,09
36,59
UGANDA
236,09
28,19
ZAMBIA
752,61
10,46
ZIMBABWE
390,58
12,57

Analisi dei fattori di squilibrio della macro area

1) CONFLITTI - L'Africa orientale nel XIX e fino all'inizio del XX secolo, fu terra di conquista e di contrasto per le principali potenze europee dell'epoca. I primi colonizzatori furono i portoghesi che si stabilirono nel sud del Mozambico, espandendosi in seguito anche verso il nord del paese fino ad incontrare gli inglesi presso il lago Malawi che avevano creato un protettorato nella zona dell'attuale stato del Malawi, lasciando ai portoghesi il controllo della costa est del lago. L'impero britannico conquistò le zone più fertili e promettenti dell'Africa orientale, quelle degli attuali Uganda e Kenia. Queste zone, molto adatte all' agricoltura furono usate dagli inglesi per coltivazioni commerciali e di esportazione come il caffè e il o per l'allevamento di bestiame da carne e da latte. In più la regione aveva le potenzialità per accogliere l'espansione demografica inglese, grazie anche alle condizioni climatiche favorevoli a stanziamenti in stile europeo, come quelli di Nairobi o Entebbe. I francesi si stanziarono in Madagascar (la più grande isola dell' oceano indiano e la quarta nel mondo) e in altre isole minori come Reunion e le Comore. Il Madagascar fu ceduto ai francesi dagli inglesi in cambio di Zanzibar, un importante base per il commercio delle spezie. Gli inglesi mantennero comunque delle isole minori come le Seychelles e le fertili Mauritius. Gran parte dell'area era poi in mano dell' impero tedesco sotto il nome di africa orientale tedesca, nella zona dell'attuale Ruanda , Burundi e della parte della Tanzania continentale chiamata Tanganyika. Nel 1922 gli inglesi ottennero dalla società delle nazioni l'autorità sul Tanganyika, territorio che unirono poi a Zanzibar per formare la Tanzania. L'Africa orientale sotto il dominio tedesco sebbene fosse molto estesa non era strategicamente importante come quella sotto il controllo britannico situata più a nord. La parte sud della Somalia divenne colonia italiana (Somaliland italiano), mentre una striscia di terra nel nord del paese rimase sotto il controllo britannico (Somaliland britannica). La costa della parte Nord del paese era di fronte alla colonia inglese di Aden nella penisola arabica; insieme questi territori garantivano agli inglesi il controllo del passaggio. Anche i francesi avevano il loro avamposto strategico sulla via dell' Indocina con la piccola colonia di Gibuti anche chiamata Somaliland francese. L'unica parte della regione indipendente era l' Etiopia che venne occupata solo brevemente dagli italiani (1936-1941). L'occupazione aveva avuto inizio dal piccolo porto di Assab in Eritrea, comprato dagli italiani. Da qui partì la colonizzazione dell'Eritrea e in seguito dell'Etiopia.
2) PAESI LIMITROFI IN CONFLITTO - Molti governi della zona anche ai giorni nostri presentano un alto grado di corruzione e appaiono sostanzialmente di tipo illiberale; inoltre, alcuni paesi sono coinvolti in aspre lotte politiche, in guerre etniche o sono oppressi da regimi dittatoriali. Dalla fine del colonialismo la regione ha visto:
i. Guerra civile etiopica (fronte popolare democratico rivoluzionario etiopico contro il Derg)
ii. Guerra dell' Ogaden
iii. Seconda guerra civile sudanese
iv. Guerra civile somala
v. Guerra civile del Burundi
vi. Insurrezione in Uganda dell'esercito di liberazione del signore
vii. Le bombe del 1998 nelle ambasciate americane di Nairobi e Dar es Salam
viii. Guerra tra Eritrea e Etiopia
ix. Kenia, Tanzania e Uganda hanno governi relativamente stabili.
x. Conflitto interno keniano insorto nel Gennaio 2008 a seguito delle elezioni presidenziali tenutesi all’interno del paese.
3) RIFUGIATI - Ben sei paesi della macroregione (composta in totale da 15 paesi) soffrono del problema dei rifugiati, tanto in relazione all’accoglienza che loro offrono, sia in relazione al problema della fuga della popolazione civile dai loro territori, e quindi la conseguente instabilità tanto politica quanto in più generali termini di sicurezza in cui questi riversano. Dalle statistiche portate avanti della UNHCR per l’anno 2006, solo nell’Africa Orientale e nel c.d. Corno d’Africa abbiamo avuto un incremento del 10% della totalità di rifugiati dall’area, per cui si è toccata la soglia del 852,300 persone. Altro dato da porre in rilievo è la percentuale di persone che, a seguito proprio dei conflitti interni sopracitati, si spostano all’interno della regione. In particolare, il conflitto somalo ha fatto impennare soprattutto negli ultimi 5 anni la percentuale di rifugiati interni.
4) DISOCCUPAZIONE - Il tasso medio di disoccupazione della regione si stabilizza intorno al 18%. Bisogna sempre considerare che, essendo presente all’interno della regione paesi sull’orlo del collasso, in alcuni di essi il tasso di disoccupazione si attesta certamente a livelli di molto più alti.
5) SFRUTTAMENTO PETROLIO/ORO/DIAMANTI - La macroarea appare generalmente stabile sotto tale profilo, con un'unica eccezione, ovvero la Tanzania, che con riguardo allo sfruttamento di tali materie prime ne trae grande vantaggio nella competizione mondiale, ed in particolare spicca nella regione in quanto a giacenze e sfruttamento di diamanti.
6) AREA GEOGRAFICA - 834,380 mila ettari è l’estensione geografica è quella rivestita dall’Africa Orientale.
7) AREA FORESTALE - 226,534 mila ettari costituiscono l’area forestale che ricoprono l’intera regione. Da ciò si evince come il problema della garanzia della sicurezza e del controllo in un area così estesa e piena di foreste appaia di difficile se non ardua realizzazione.
8) COESIONE SOCIALE - La coesione sociale presente nella macroarea si attesta a livelli abbastanza alti; segnaliamo in particolare il caso delle Mauritius, Mozambico e Seychelles, laddove contrasti di tipo etnico-sociali sono quasi inesistenti, o comunque catalogabili nella norma. Per altro verso, Burundi, Comore e Kenya presentano al loro interno conflitti etnici, capaci di decretare l’instabilità del paese e di essere catalogabili come veri e propri fattori di squilibrio per questi.
9) FAZIONI ETNICHE/RELIGIOSE - Le religioni maggiormente professate sono quelle monoteiste. Animisti, cattolici e musulmani costituiscono i gruppi religiosi di maggiore rilevanza dell’intera regione.
10) MOVIMENTI INTERNI DI STRATI DELLA POPOLAZIONE (MIGLIAIA) - Anche in questo caso, l’area non appare omogenea in relazione e tale parametro di instabilità, giacché sono vi sono paesi, come lo Zimbabwe, l’Uganda, il Kenya, il Burundi e la Somalia per i quali tali movimenti interni della popolazione costituiscono un elemento di instabilità per la sicurezza interna del proprio paese. In particolare si evince con facilità come, in quei paesi dove un conflitto del recente passato sia stato particolarmente violento o non abbia trovato una soluzione pacifica definitiva, i movimenti interni di vari strati della popolazione siano particolarmente ingenti e frequenti.
11) GOVERNO - L’instabilità interna e le recenti guerre di indipendenza fanno della regione una delle più instabili di tutto il continente africano. Sebbene alcuni dei paesi che compongono l’area non siano di così recente formazione, nella quasi totalità di questi vi è stata una successione di dittature che ha portato tali paesi ad avere grosse difficoltà nello sviluppo di istituzioni democratiche e strutture di mercato stabili ed efficienti.
12) REGIME POLITICO - La maggior parte degli stati che compongono la macroarea presentano una struttura politica repubblicana di tipo presidenziale o federale. È bene notare come tale tipo di struttura abbia favorito l’emergere di numerosi dittatori o presidenti particolarmente dotati di poteri, elemento per il quale l’instabilità politica ha assunto una posizione centrale tra le caratteristiche comuni agli stati della regione.
13) NUOVI STATI DI FORMAZIONE INSTABILE - Fatta eccezione per il Malawi, tutti gli altri stati sono di nuova formazione. Gli anni che vanno dal 1961 al 1962 hanno rappresentato il momento politico nazionale e di maggiore intensità nella storia del Malawi.
14) CORRUZIONE - Nel corso degli ultimi anni, la corruzione pubblica ha continuato a dominare tanto i concorsi e le gare di appalto pubbliche quanto la messa in opera dei vari progetti di sviluppo per i diversi paesi nell’Africa Orientale. I mass media sottolineano come ancora si viva di retaggi dei periodi di transizione e della permanenza al potere di vari governi c.d. corrotti, anche se diverse politiche e programmi di lotta alla corruzione sono stati intrapresi a diversi livelli nazionali. Dopo un decennio di riforme di libero mercato, tuttavia, lo stato rimane il più grande datore di lavoro e consumatore economico. Le varie riforme del mercato hanno solamente modificato il modo in cui la corruzione si verifica: ciò consente ai governi in lizza per la gare e di aggiudicazione di contratti di mantenere lo status quo economico precedentemente fondato sulla mera corruzione. Il modello di corruzione riflette, in parte, anche i numerosi conflitti armati della regione, ad esempio in Eritrea, Etiopia, Somalia, Sudan. I conflitti hanno fornito opportunità per l'accesso illecito alle risorse naturali. E’ emerso, inoltre, il ruolo centrale giocato dal settore privato per l’aumento della corruzione in Africa orientale.
15) CAPACITÀ ECONOMICA - Economicamente la zona appare fortemente divisa, con paesi che presentano una recente crescita economica di importante calibro. Più in generale, però, l’intera regione appare soffrire ancora oggi dei conflitti interni che hanno lacerato molti di tali paesi, ma soprattutto le loro popolazioni, creando quindi istituzioni politiche e amministrative deboli, fortemente corrotte, elementi per i quali gli IDE e i flussi economici esteri appaiono molto scarsi.
16) PNL PRO-CAPITE (US$) - La media della regione si attesta intorno ai 1,000 US $ pro-capite, posizionandosi tra le regioni più povere dell’intero globo. Ciò ovviamente manifesta tanto uno scarso sviluppo delle economie locali, quanto la scarsità e mal distribuzione delle risorse economiche tra i vari strati della popolazione.
17) CRESCITA ECONOMICA (%) - I vari programmi internazionali, soprattutto quelli del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, hanno permesso il rilancio delle economie di molti dei paesi componenti l’area. In particolare si segnala come ben 12 paesi su 17 hanno visto un incremento superiore al 2%.
18) FORZA LAVORO IN AGRICOLTURA (%) - Circa l’80% dell’economia è fondata sull’economia rurale, per cui il grado di sviluppo del settore secondario risulta veramente basso.
19) AIUTO ESTERO (% PNL) - La macroregione dell’Africa Orientale appare come un’area fortemente dipendente dagli aiuti esteri, ed in particolare fatta eccezione per Zimbabwe, Kenya e Somalia tutti gli altri paesi hanno visto una percentuale per tutti superiore al 6% per il biennio 2006-2007. In realtà, per onestà di pensiero, va ammesso che il caso della Somalia andrebbe analizzato isolatamente, giacché il conflitto interno ha di molto destabilizzato l’intera struttura statale, ivi compresa quella economica.
20) HIV/AIDS (%) - molti programmi internazionali sono stati portati avanti all’interno della macroregione per la lotta all’ HIV/AIDS, soprattutto per frenare la mortalità infantile e femminile causata da tali malattie. Tanto attraverso l’interessamento di organizzazioni internazionali di tipo governativo e non governativo, sia con la collaborazione di agenti privati, si sono portati progetti per la prevenzione e per la cura di tali malattie, programmi che hanno permesso l’abbattimento dell’oltre 40% delle persone affette nella maggioranza dei paesi componenti l’area.
21) SPESA MILITARE (% PNL) - La maggior parte dei paesi considerati investe circa il 3% del PIL nazionale per la spesa militare, proprio ad identificare la necessità di assicurare la propria sicurezza sia nei confronti dei movimenti interni ribelli sia nei confronti dei paesi limitrofi.
22) DISASTRI NATURALI - In alcuni dei paesi facenti parte della regione, disastri naturali di varia natura si sono verificati negli ultimi 5 anni. Ad esempio, la desertificazione del proprio territorio costituisce uno dei problemi maggiori che attanaglia paesi come l’Eritrea e l’Etiopia. Altri paesi, come il Mozambico e il Madagascar, soffrono del problema opposto, ovvero la grande presenza di aree forestali, per cui la deforestazione pone a serio rischio la stabilità geomorfologica del paese.
23) ISOLAMENTO GEOGRAFICO - L’isolamento geografico gioca un ruolo fondamentale per molti dei paesi dell’area. Infatti, la loro posizione geografica, che li proietta sempre più verso il cuore dell’Africa, li spinge a riflettere al loro interno molte delle insicurezze ed instabilità dei vicini, a trovare grosse difficoltà tante economiche quanto politiche per accedere ai fori di discussione internazionale e a poter usufruire dei interscambi mondiali. Si trovano, quindi, come intrappolati all’interno dei loro stessi confini geografici.
24) SVILUPPO SOCIALE - Così come in relazione alle istituzioni governative e la stabilità politica della regione, anche per quanto attiene i vari indici di sviluppo umano, l’Africa Orientale appare un’area critica del globo.
25) INDICE DI SVILUPPO UMANO - La media dell’intera macroregione si attesta tra 0,27% e 0,50%. Ciò indica il bassissimo grado di sviluppo umano che è presente all’interno dei vari paesi componenti l’area, ed in particolare ci si riferisce al problema dell’istruzione ed educazione, oltreché le aspettative di vita e lo sviluppo e rispetto dei diritti umani.
26) POPOLAZIONE (MILIONI) - La popolazione della regione, ingente e impressionante se si pensa alla vastità della regione, vede concentrarsi in specifiche aree all’interno dei vari paesi, ed in particolare nelle zone limitrofe ai maggiori centri cittadini o ai c.d. “polmoni verdi” dell’area, laddove il processo di desertificazione rende invivibili ampie zone della macroregione. Per avere un paragone, riportiamo i dati concernenti la concentrazione di popolazione di alcuni dei maggiori centri urbani della regione: Dar es Salaam, Tanzania 1,651,000; Nairobi, Kenya 1,504,000; Khartoum, Sudan 925,000; Addis Ababa, Ethiopia 3,500,000
27) CRESCITA DEMOGRAFICA - La crescita demografica dell’intera regione si attesta al di sopra del 3%, dimostrando, quindi, il grande stato di arretratezza dei paesi che la compongono, se si relaziona tale dato con quello dell’indice di sviluppo umano (si veda poco sopra). La costante crescita della popolazione appare oggi come un elemento fortemente destabilizzante, sia per lo scarso tasso di occupazione della popolazione sia per il basso livello di sviluppo economico e sociale, per cui le stesse politiche di welfare e sostegno appaiono di difficile realizzazione.
Organizzazioni internazionali presenti nella macro area

L’Africa Orientale è una macroregione, come definita dalle Nazioni Unite, all’interno della quali si riscontrano tra i paesi più complessi politicamente e complicati geograficamente che l’attuale scenario internazionale contenga.
Le Organizzazioni Internazionali Governative (in seguito OI) che maggiormente partecipano alla stabilizzazione della regione sono senza dubbio le Nazioni Unite, con 7 missioni tra peacekeeping e peace enforcement nell’area, e l’Unione Africana, il cui peso politico è assolutamente rilevante in tutto il continente e soprattutto per il ruolo svolto nella risoluzione della crisi interna alla Somalia.
Andando ad analizzare nello specifico le due OI, è doveroso vedere come proprio incipit discorsivo le Nazioni Unite e il loro operato politico e militare nella macroregione.
La missione United Nations Operation in the Congo (Opération des Nations Unies au Congo, o ONUC, istituita con risoluzione ONU N°143/1960), che si è realizzata nella Repubblica Democratica del Congo dal Luglio del 1960 al 1964, ha rappresentato una pietra miliare nella storia delle peacekeeping operations sotto egida delle Nazioni Unite in termini di responsabilità che l’Organizzazione ha assunto, l’area geografica estesa del teatro operativo in questione e del numero di uomini impiegato. ONUC ha incluso, oltre che un numero di 20,000 caschi blu, un numero ingente di personale impiegato nella missione civile per il teatro di operazioni. Originariamente il mandato prevedeva il ripristino di un Governo Congolese, con un supporto tanto militare quanto tecnico, necessario a seguito del collasso di molti servizi primari forniti dallo Stato, e soprattutto dell’intervento delle truppe belghe. Purtroppo ONUC si trovò catapultata in un vortice di caos interno al paese, situazione di enorme ed estrema complessità strutturale e ontologica, assumendo il controllo di determinate funzioni che poi negli anni divennero “tipiche” delle PKOs.
La missione in Mozambico, invece, ONUMOZ, venne istituita nel periodo 1992-1994,per implementare l’Accordo Generale di Pace, firmato tra il Presidente della Repubblica del Mozambico e il Presidente della Resistência Nacional Moçambicana. Il mandato includeva il facilitare l’applicazione dell’Accordo precedentemente menzionato, monitorare il cessate il fuoco e la fuoriuscita delle truppe straniere dal territorio del paese, oltre che provvedere alla sicurezza nei corridoi atti a favorire tale fuoriuscita. Ulteriore ruolo previsto dalla Risoluzione ONU N° 782/1992 era fornire l’assistenza tecnica e monitorare l’intero processo elettorale.
Nello stesso periodo, dal 1992 al 1993, venne istituita con la Risoluzione ONU N°733/1992 la missione United Nations Operation in Somalia I, UNOSOM I, allo scopo di monitorare il cessate il fuoco nell’area di Mogadishu e garantire la sicurezza dei convogli di aiuti umanitari e la loro distribuzione nelle varie zone della città. Il mandato della missione venne ulteriormente ampliato allo scopo di garantire maggiormente la sicurezza dei convogli umanitari. La missione ha successivamente collaborato con la Unified Task Force per favorire la creazione di un ambiente sicuro perché l’aiuto umanitario potesse realmente trovare realizzazione.
La United Nations Observers Mission Uganda Rwanda, UNOMUR, istituita con Risoluzione ONU N° 846/1993, che ha visto realizzazione dal 1993 al 1994, venne stabilita allo scopo di vigilare l’inviolabilità dei confini tra i due paesi e verificare che nessuna assistenza militare venisse fornita attraverso questi. A seguito dei tragici eventi avvenuti in Rwanda nell’Aprile del 1994 che impedirono la piena realizzazione e applicazione del mandato di UNOMUR, la Missione ha giocato un ruolo fondamentale come meccanismo di confidence-building tra i due paesi.
UNSOM II, ovvero la United Nations Operation in Somalia II, venne stabilita nel Marzo del 1993 per porre in essere appropriate azioni, incluse misure implicanti l’uso della forza, per stabilire in Somalia uno scenario sicuro per l’assistenza umanitaria alla popolazione civile somala. A tal fine, UNOSOM II, attraverso un processo di disarmo e riconciliazione sociale, aveva il compito di ristabilire la pece, sicurezza, legge e ordine nel paese, in piena cooperazione con la Unified Task Force presente nel paese. All’inizio del Marzo del 1995, UNOSOM II vide cessare il uso mandato, che trovava base giuridica nella Risoluzione ONU N° 814/1993.
Infine la missione ONUB, United Nations Operation in Burundi, istituita con Risoluzione ONU N° 1545/2004, vedeva come proprio obiettivo porre fine alla guerra civile che stava distruggendo il paese, favorire gli accordi di pace all’interno del paese, permettere il processo di riconciliazione sociale tra le parti del conflitto e, infine, ripristinare l’ordine e la sicurezza nel paese.
Per quanto concerne la missione stabilita dall’Unione Africana (in seguito UA) in Somalia, questa nasce a seguito di un conflitto interno “vecchio” di sedici anni[1]. A seguito della sconfitta dell’Unione delle Corti Islamiche (dic.2006-gen. 2007), la Comunità Internazionale iniziò a pensare ad una presenza militare in Somalia, sotto il mandato delle Nazioni Unite, aperta anche alla partecipazione di altre Nazioni africane non necessariamente legate all’IGAD; in tal senso, il 19 gennaio 2007 il Consiglio di Sicurezza dell’UA si espresse favorevolmente circa il dispiegamento di una forza militare di pace in Somalia per un periodo di iniziale di 6 mesi. A tale nuova missione, denominata AMISOM (African Mission to Somalia), la cui fase operativa ha avuto inizio il 12 febbraio 2007, partecipano circa 8.000 uomini, tuttora in fase di immissione, appartenenti a 6 Paesi (Burundi, Ghana, Malawi, Nigeria, Tanzania ed Uganda). Tale missione è stata successivamente autorizzata dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU con la Risoluzione 1744 del 21 febbraio 2007, per un periodo iniziale di 6 mesi.
Nei primi giorni di marzo 2007, sono giunte a Mogadiscio le truppe ugandesi della missione AMISOM, incaricate di controllare la capitale e contrastare il ritorno delle milizie islamiche. È atteso per i mesi successivi l'arrivo nel Paese del resto dei caschi verdi, con truppe provenienti da Nigeria, Ghana, Malawi e Burundi, che compongono le forze di pacificazione.
Per quanto riguarda la presenza delle Organizzazioni Non Governative nella macroarea dell’Africa Orientale, è bene sottolineare il ruolo che alcune di esse hanno particolarmente rivestito in specifici scenari nazionali. Ci si riferisce in particolare al ruolo svolto da Care International, Medici senza Frontiere, OXFAM, UNICEF e anche UNHCR, soprattutto quest’ultima per quanto concerne lo scenario del Rwanda e dell’Uganda.

[1] Alla caduta del regime dittatoriale di Siad Barre nel 1991, sono seguiti quindici anni di disordini in tutta la Somalia ed i numerosi pretendenti alla guida del Paese si sono combattuti senza però riuscire a controllare l’intero territorio. La lotta per il potere contrappose diversi gruppi tribali, in un crescendo di violenza accompagnato peraltro da una terribile carestia. Gli anni di disordini hanno reso la Somalia un Paese ingovernabile e senza controllo; tale situazione di completo disordine portò la popolazione ad una povertà estrema alla mercé delle milizie dei vari warlords che imperversarono per anni in gran parte del sud del Paese (zona fertile ed agricola della Somalia). I “signori della guerra” peraltro costrinsero al ritiro i caschi blu dell'ONU nel 1995 ed il fallimento della missione UNOSOM. La fine degli anni '90 fu caratterizzata da intensi scambi diplomatici che portarono agli accordi fra ventisei fazioni (1997), alla Conferenza di pace di Gibuti (2000), ed alla Conferenza di pace di Mbagathi (2002). Nel 2004 il processo di pacificazione in Somalia sembrava avviarsi ad una conclusione; in questo senso vennero eletti dalla IGAD (Intergovernmental Authority on Development, l'organizzazione politico-commerciale formata dai paesi del Corno d'Africa) un parlamento federale e furono nominati un Presidente ad interim (Abdullah Yusuf) ed un Governo, il Governo Federale di Transizione (Primo Ministro Mohamed Geddi). Queste deboli istituzioni tuttavia non riuscirono a rendere effettivo il loro potere e a governare davvero il Paese, anche a causa della presenza dei warlords di Mogadiscio, contrari alla formazione di un governo di transizione. Nell'estate del 2006 giunse una nuova crisi; le milizie controllate dalle Corti islamiche cacciarono da Mogadiscio, con l'appoggio della popolazione civile, i warlords e presero il controllo della parte centro-meridionale del Paese. Per contrastare la loro avanzata e impedire il rovesciamento del governo provvisorio somalo, internazionalmente riconosciuto, l'esercito etiope accorse in aiuto dell'esercito governativo somalo, sostenuto anche da Uganda, Yemen e Kenya, che però si rifugiò a Baidoa (a circa 250 chilometri da Mogadiscio) perdendo, di fatto, il controllo della Capitale. A tale riguardo, venne condotta, senza risultati, una intensa attività diplomatica sotto la mediazione di IGAD, Lega araba e ONU, per cercare di raggiungere un accordo tra le Corti islamiche ed il governo provvisorio. Nell’impossibilità di trovare una soluzione al problema della Somalia, il 6 dicembre 2006 il Consiglio di Sicurezza dell’ONU approvò la Risoluzione 1725, che diede il via libera formale allo schieramento in Somalia di una forza internazionale regionale, denominata IGASOM (sotto gli auspici dell’IGAD), con il compito di “monitorare e mantenere la sicurezza a Baidoa”. Pochi giorni dopo si riacuirono gli scontri tra le milizie delle Corti islamiche e le truppe fedeli al governo provvisorio di Baidoa. Alla fine di dicembre 2006, le truppe etiopi, intervenute pesantemente a sostegno del governo, entrarono nella capitale somala dopo pochi ma violentissimi giorni di guerra.
Il blog è aggiornato da Massimo Coltrinari. per informazioni: ricerca23@libero.it

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