Sostegno alla società civile e alla riforma della pubblica amministrazione e del settore giudiziario, miglioramento della governance, riduzione delle disparità sociali e della disoccupazione giovanile, lotta al terrorismo: sono solo alcuni degli obiettivi contenuti nelle conclusioni del Consiglio dell’Unione europea, Ue, del 17 ottobre sulla Comunicazione congiunta “Un sostegno rafforzato per la Tunisia” presentato a Bruxelles dall’Alto rappresentante dell'Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, e dal Commissario Ue per l'Allargamento e la politica europea di vicinato, Johannes Hahn, a fine settembre.
Il Consiglio, infatti, si è espresso favorevolmente sulle misure contenute nella Comunicazione, ribadendo il suo sostegno alla transizione in atto nel Paese e l’impegno a rafforzare gli aiuti alla Tunisia sulla base del progresso delle riforme annunciate nel piano di sviluppo quinquennale 2016-2020 presentato recentemente dal governo.
In particolare, l’Ue raddoppierà l’assistenza finanziaria alla Tunisia prevista per il 2017, erogando fino a 300 milioni di euro. Questa cifra va ad aggiungersi ai due “pacchetti” dell’assistenza macro-finanziaria, uno strumento complementare agli aiuti del Fondo Monetario Internazionale, approvati nel 2014 e questa estate (rispettivamente 300 e 500 milioni di euro).
I versamenti, ancora parziali, sono condizionati all’attuazione di riforme strutturali, tra cui la riforma delle istituzioni pubbliche e delle società statali e la riduzione dei sussidi energetici.
Alle origini delle relazioni Tunisia-Ue Dal 2011, la Tunisia è stata uno dei principali beneficiari dei fondi europei erogati attraverso diversi programmi su base geografica, in primis lo Strumento europeo di vicinato (Eni), e di natura tematica, come lo Strumento europeo per la democrazia ed i diritti umani (Eidhr), lo Strumento inteso a contribuire alla stabilità e alla pace (IcSP) e lo Strumento per le Organizzazioni della società civile e Autorità locali.
Le sue relazioni con l’Ue datano alla fine degli anni Sessanta (nel 1969 il primo accordo commerciale con la Cee). Nel 1995, la Tunisia è stato il primo Paese a firmare un Accordo di Associazione con la Ue nel quadro del Partenariato euro-mediterraneo inaugurato dal cosiddetto “Processo di Barcellona” e, a partire da gennaio 2008, il primo Paese della sponda sud del Mediterraneo ad entrare a tutti gli effetti nella zona di libero scambio per i prodotti industriali con l’Europa, dopo un periodo transitorio di progressivo smantellamento tariffario.
Dal 2012, la Tunisia ha uno “statuto avanzato” con l’Ue, che mira principalmente all’attuazione del controverso Accordo di Libero Scambio Completo e Approfondito (Dcfta/Aleca) i cui negoziati sono stati avviati ufficialmente ad ottobre 2015. Il Dcfta, in continuità con gli accordi precedenti, mira ad estendere la zona di libero scambio a tutti i prodotti manifatturieri e a nuovi settori, tra cui quello dei servizi e dell’agricoltura attraverso la liberalizzazione commerciale.
Emergenza economica tunisina In un’intervista radiofonica, Fadhel Abdelkefi, Ministro per gli investimenti, lo sviluppo e la cooperazione internazionale del nuovo governo tunisino di unità nazionale di Youssef Chahed aveva descritto il Paese in uno “stato di emergenza economica”.
Le tensioni sociali che hanno segnato la prima metà del 2015 con le proteste nella regione interna di Kasserine e in altre aree del Paese, le ripercussioni sul turismo - settore trainante dell’economia tunisina - a seguito dei passati attacchi terroristici, sono stati i principali driver della performance economica della Tunisia nello scorso anno.
Il rapporto annuale 2016 della Banca Mondiale ha registrato una crescita del Pil 2015 dello 0.8% soltanto (in calo rispetto agli anni precedenti), un tasso di disoccupazione al di sopra del 15%, in particolare giovanile, e un debito pubblico che ha raggiunto il 52% del Pil, contro il 40% nel 2010. A preoccupare è soprattutto la mancanza di investimenti, che dovrebbero beneficiare della nuova legge sugli investimenti recentemente adottata dall’Assemblea dei Rappresentanti del Popolo in Tunisi.
In particolare, grandi speranze si nutrono attorno alla Conferenza Internazionale degli Investimenti che si terrà a Tunisi a fine novembre, tanto che recentemente il comitato consultivo del partito islamista Ennahda - parte del governo Chahed - ha richiamato all’unità politica per assicurare la riuscita di questa iniziativa economica, intesa come piattaforma fondamentale per il rilancio degli investimenti nazionali ed esteri in tutti i settori e la ripresa più in generale dell’economia.
Non mancano posizioni molto critiche sulla natura sbilanciata e l’equilibrio delle relazioni commerciali ed economiche tra la Tunisia e l’Ue, in particolare per quanto riguarda il controverso accordo sul libero scambio. Si pensi, ad esempio, al comunicato congiunto co-firmato a febbraio 2016 da parte di diverse organizzazioni della società civile tunisina - tra cui il sindacato Ugtt e la Lega dei diritti dell’uomo - e francese in occasione del voto del Parlamento europeo sull’apertura dei negoziati per il Dcfta.
A suscitare non poche perplessità è la mancanza di un cambiamento nella strategia europea che consenta al Paese nordafricano uno sviluppo sostenibile nel lungo periodo, un approccio che trascura le specificità del tessuto industriale tunisino e la sua competitività con la controparte e limita la libertà dello stato di proteggere gli investimenti in nome della “libera concorrenza”.
Giulia Cimini è dottoranda di ricerca in Studi Internazionali presso l'Università degli Studi di Napoli L'Orientale.
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