Medio Oriente Forze di pace in Libia? Roberto Aliboni 21/11/2014 |
La Corte Suprema invalida le elezioni
In effetti, la Libia è sempre più avvitata nella sua guerra intestina. La mediazione avviata dalle Nazioni Unite, basata sul riconoscimento delle istituzioni uscite dalle elezioni è stata affondata dalla sentenza della Corte Suprema libica che il 6 novembre le ha dichiarate invalide, in quanto l’emendamento costituzionale sulla cui base sono state indette non sarebbe stato a suo tempo votato con la necessaria maggioranza.
Al tempo stesso, il conflitto libico appare sempre più come una “proxy war” nel quadro dei più generali conflitti della regione. Le due coalizioni libiche sono incoraggiate dagli appoggi dei rispettivi alleati a confidare nella loro vittoria e quindi non sono per nulla inclini a negoziare.
Tuttavia, anche se per questi motivi la necessità di un’operazione di pace internazionale appare più cogente, la fattibilità legale e politica resta problematica.
Libia, cercasi mediazione
Vandewalle indica l’Ue perché nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite la Russia certamente si opporrebbe. Il Consiglio ha da poco approvato la Risoluzione 2174 in tema di sanzioni e altre penalità e non pare probabile che ci sia la volontà e la disponibilità per andare oltre.
Ma in realtà qualsiasi intervento dell’Ue è ugualmente subordinato a un mandato Onu: senza questo mandato l’Ue non interverrà mai.
I paesi dell’Ue potrebbero decidere di intervenire anche senza mandato, ma sempre sotto il crisma della legalità internazionale qualora percepissero l’urgente necessità di proteggere la popolazione libica e si inducessero perciò a esercitarne la relativa responsabilità.
Ma qui la legalità non sarebbe sorretta dalle necessarie condizioni politiche, poiché questa protezione è già stata esercitata con effetti disastrosi, suscitando molte polemiche, specialmente e ancora da parte della Russia, che nell’intervento del 2011 si sentì ingannata e considerò l’operazione di rovesciamento del presidente Muammar Gheddafi non meno politicamente sbagliata del tentativo di rovesciare il raìs siriano Bashar al-Assad.
La “responsabilità di proteggere” non è allo stato dei fatti una dottrina universalmente accettata né ben definita nelle sue articolazioni. Un’entità debole e politicamente divisa com’è oggi l’Ue non intraprenderà mai, da sola, questa strada.
Dagli Stati Uniti si può avere una percezione ottimistica, tanto più se capita, come al professor Vandewalle, di partecipare a un’audizione del Parlamento italiano e restare colpito dalla “naturalezza con la quale alcuni deputati ribadivano che solo una forza a guida europea potesse trovare una via di uscita alla recente impasse.”
Un intervento dell’Ue avrebbe senso e, se l’Ue avesse una consistenza politica, sarebbe la cosa giusta da fare, ma la solidarietà politica dell’Ue è una merce in via di sparizione che in relazione alla Libia esiste solo nei comunicati, che non a caso continuano ad affermare invece la necessità della mediazione ormai fallita dell’Onu.
Se l’Ue beneficiasse di una solidarietà di politica estera il modo di intervenire, anche senza un mandato dell’Onu, potrebbe essere quello di raccogliere la richiesta delle istituzioni libiche che hanno vinto le elezioni.
Questa richiesta c’è stata. Naturalmente è una richiesta discutibile, specialmente dopo la sentenza della Corte Suprema, ma una forte e solido attore internazionale lo farebbe senza troppi problemi.
Tuttavia, con questa iniziativa l’Ue sceglierebbe di appoggiare un governo secolarizzante, simile a quello che si è installato in Egitto con il presidente Abdel Fattah al-Sisi, e di combattere i Fratelli Musulmani.
Molti in Europa non sarebbero d’accordo, perché i Fratelli Musulmani, malgrado la cattiva prova dell’ex presidente egiziano, l’islamista Mohamed Morsi, restano ancora la speranza di una prospettiva democratica nella regione, come d’altra parte si è visto in Tunisia. Perciò, anche se la necessaria solidarietà istituzionale europea spuntasse overnight, nondimeno essa non sarebbe sorretta dalla necessaria solidarietà politica.
Coalizione anti-Califfo
Un’altra ipotesi di intervento potrebbe essere racchiusa nella dinamica della coalizione contro l’Isis e l’estremismo islamista che oggi combatte nel Vicino Oriente.
Se questa coalizione dovesse espandersi al nascente jihadismo libico e saldarsi con il jihadismo che la Francia già tiene a bada nel Sahel, allora l’intervento armato in Libia ci sarebbe e avverrebbe dalla parte del governo libico che la comunità internazionale considera ancora legale - cioè quello legato all’Egitto, agli Emirati e all’Arabia Saudita, che combatte contro tutti gli islamismi e ha ottime relazioni con i governi occidentali.
Non è però sicuro se, a conti fatti, tutto ciò corrisponderebbe ai fini che il professor Vandewalle e la stessa Ue hanno in mente.
Perciò, l’intervento militare appare un’ipotesi poco fattibile, piuttosto rischiosa, anche controproducente. Forse, allora, bisogna farsi coraggio e sforzarsi di ritrovare il filo di un’azione diplomatica efficace.
Sulle conseguenze di qualsiasi pur vittorioso intervento militare non coi si può fare molte illusioni: meglio se il successo è raggiunto con mezzi politici e diplomatici.
Roberto Aliboni è consigliere scientifico dello IAI.
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